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Il presente ed il futuro della logistica. Intervista al Presidente dell’Interporto di Pordenone Giuseppe Bortolussi | RSPP Bergamo

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Il presente ed il futuro della logistica. Intervista al Presidente dell’Interporto di Pordenone Giuseppe Bortolussi

RSPP Bergamo

Presidente può scattare una fotografia inquadrando il mondo della logistica intesa come movimento che deve lavorare a rete?  Gli interporti nascono come un approdo di terra che cerca nuove strade per dare più concretezza alle reti infrastrutturali, industriali e commerciali. Nel mondo delle merci, mutuando il turismo, sapere che esistono luoghi che non si chiamano Venezia, ma si chiamano Bologna, Pordenone, Padova, Milano e Marcianise, sono modi per capire dove siamo. Gli interporti nascono in modo complesso e difficile proprio perché qualcuno ha pensato a questi snodi, ma un tempo, ognuno faceva quello che voleva, un industriale poteva organizzare la logistica internamente, si dotava di una flotta di trasportatori, realizzava il raccordo ferroviario, aveva un proprio magazzino. Oggi le cose sono molto cambiate… Il 70% dei servizi di logistica e trasporto è dato in outsourcing, perché ci si avvale di una rete (interporti) che tenta di concretizzare dei volumi ed abbassare i costi, questo è un passaggio cruciale, facile da dire, difficile da attuare, ma contiene 3 elementi fondamentali: l’elemento sicurezza, l’elemento green e il livello economico. Lo dico per terzo il livello economico perché è quello preponderante ed è stato quello che ha spostato ad est Europa volumi enormi di produzioni e di conseguenza trasporti. I trasportatori sfruttando il differenziale di costo tra un lavoratore italiano e uno bulgaro, ad esempio, hanno creato la marginalità. In tutto questo parliamo di sicurezza? Parliamo di orari di guida? Tornando a fotografare la situazione logistica italiana, aver connesso porti, aeroporti e interporti, è stata una visione illuminata, non sempre compresa dal mondo produttivo, perché le nostre fabbriche ragionano o hanno spesso ragionato con il franco partenza, ovvero con il trasporto a carico del cliente, il che vuol dire che le responsabilità del produttore finiscono quando il prodotto esce dalla fabbrica. Il mondo della logistica è un movimento che deve lavorare a rete e ha bisogno di essere veicolato e sintetizzarsi su nodi specifici (porti, aeroporti e interporti). Gli interporti rappresentano quindi gli snodi di una rete più ampia e devono saper sfruttare molto meglio le reti infrastrutturali, che non sono solo le autostrade ma anche le ferrovie. Oggi la quota di trasporto su gomma è assolutamente esagerata, nel caso del nord est per esempio, in A4 viaggia una media annuale di 14 milioni di veicoli pesanti, circa 240 mila veicoli pesanti al giorno da Trieste a Torino. Questi trasporti che collegano est/ovest sono agevolati dal fatto che il mezzo su gomma è più flessibile ed è figlio del just in time, dell’adesso per ieri, ma il sistema non potrà reggere a lungo questo tipo di modalità, soprattutto se parliamo di sicurezza. L’Interporto Centro Ingrosso di Pordenone lavora in una grande location industriale, mentre Nola, Marcianise e Bologna lavorano su grandi piattaforme commerciali. Per la logistica la distinzione commerciale e industriale è fondamentale, la tipologia industriale bilancia il traffico del prodotto che deve essere immesso in produzione con il prodotto che esce dalla produzione, mentre con la tipologia commerciale, ho solo prodotto vocato all’uscita ed è evidente che i costi non vengano ottimizzati, questo per la logistica è un problema. Se riesco a creare il corretto bilancio tra merci in uscita e in ingresso, ho meno camion vuoti sulla strada, solo nel nord est la quota di mezzi pesanti che viaggia in A4 senza carico è del 50%. Parlando di sicurezza quali sono i rischi per un interporto? L’interporto si dà una struttura che ha dentro di sé la ferrovia, le autostrade e di conseguenza i parcheggi di scambio e deve garantire alti standard di sicurezza. Secondo una ricerca di Autovie, che nel 2008 tracciò 30.000 carichi pericolosi in A4, si può presumere che dei 14 milioni di carichi che transitano ogni anno in A4, circa il 30% contiene carichi pericolosi. Ecco perché è importante che vengano creati parcheggi di scambio con idonee misure di sicurezza. L’Interporto di Pordenone ha poi in seno una serie di servizi come la motorizzazione, la dogana le officine e i distributori che permettono di spostare il meno possibile i mezzi e questo vuol dire anche meno emissioni in atmosfera. Meno movimentazione delle merci significa meno emissioni, un esempio ce lo offre un’azienda che lavora per Ikea che si è localizzata nell’area dell’Interporto di Pordenone e a giugno inizierà la produzione dando lavoro a 160 dipendenti, la sola localizzazione nell’interporto e la connessione diretta alla ferrovia, permetterà all’azienda di risparmiare la movimentazione di circa 300.000 bancali dal sito produttivo al sito di magazzino, da qui si evince che saranno notevolmente abbattute le emissioni di polveri sottili in atmosfera. Oggi nel settore della logistica il problema della sicurezza unito alla sensibilità ambientale, cominciano ad essere sentiti dai grandi player industriali. Come Interporto abbiamo ritenuto fondamentale dotarci di un innovativo terminal ferroviario che ha ricevuto il premio come miglior terminal intermodale ferroviario d’Italia.

Quali sono gli elementi innovativi che caratterizzano il nuovo terminal ferroviario dal punto di vista della sicurezza? Il terminal non è un semplice raccordo, ma si struttura come una vera stazione merci, di conseguenza oltre ad aver gli standard di lunghezza necessari, si è dotato di una serie di elementi di sicurezza per le persone, i carri e la protezione delle merci. Partendo dal fondo del binario dove si muovono le merci, abbiamo fatto dei piazzali con pochissima pendenza per permettere alle gru semoventi di operare in piena sicurezza. È stato improntato un sistema di recupero delle acque piovane e degli sversamenti con impianti adeguati, inoltre abbiamo previsto un binario morto per carri che necessitano di verifiche. I mezzi restano in questo modo in sosta senza bloccare l’operatività del terminal e possono essere ispezionati e sottoposti ai trattamenti di affumicazione, ove necessario. Il terminal è sotto controllo doganale, quindi completamente perimetrato con controllo degli accessi in ingresso e uscita. Ogni mezzo e persona transitante verrà tracciato. L’obiettivo del terminal è quello di operare su tratte regolari creando un sistema continuativo e costante di merci in ingresso e uscita. La telematizzazione della linea Mestre/Udine è poi un altro standard di sicurezza importante, il controllo elettronico presidia la linea 24/24 ore permettendo l’uscita di un carico in pochi minuti e anche in orario notturno. Il terminal è studiato per abbattere i costi delle manovre ferroviarie, permettendo ai treni di evitare l’ingresso diretto in stazione, grazie a zone di sosta e transito che abbassano anche i costi di gestione della sicurezza.

Quali sono le prospettive per il nuovo Terminal? Nel prossimo futuro è cruciale ottimizzare i volumi per aumentare la competitività sui mercati, è importante ridurre i costi di manovra dei mezzi e creare connessioni confacenti con le destinazioni tipiche dei nostri industriali per produrre una massa di volumi sufficiente ad abbattere i costi di trasporto anche su tratte inferiori ai 300 km.

 

Giuseppe Bortolussi, Amministratore Delegato Interporto di Pordenone

Cleaning professionale: I rischi del settore | Valutazione rischi Bergamo

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Cleaning professionale: I rischi del settore

Valutazione rischi Bergamo

Contusioni, abrasioni, fratture e disturbi muscolari causati da carichi troppo pesanti: sono gli infortuni più frequenti che si verificano nel settore del cleaning. Tra gli incidenti ricorrenti anche il contatto o l’inalazione di prodotti chimici e gli infortuni a rischio biologico prevalentemente da aghi a sospetta contaminazione. I disturbi muscolo scheletrici costituiscono il 30-40 per cento delle malattie professionali del settore. Altre patologie frequenti riguardano la cute, quindi dermatiti, e l’apparato respiratorio, asma.

I rischi

I rischi per la sicurezza e la salute di chi lavora nel comparto sono diversi. Quelli dovuti a cadute dall’alto nell’uso di scale portatili, rischi di scivolamento, urto, schiacciamento, rischi di contatto con agenti chimici o biologici. E ancora movimentazione manuale di carichi e movimenti ripetitivi, e rischi da utilizzo di attrezzature elettriche.

Gli infortuni da caduta dalle scale portatili sono spesso gravi e legati a lavori svolti in quota: la pulizia dei vetri, delle tapparelle, degli androni, o durante piccole manutenzioni come il cambio di lampadine. Le scale, infatti, vengono utilizzate come luoghi dove i lavoratori svolgono attività che impegnano le due mani, spesso spostando o sollevando pesi o assumendo posture che facilitano lo sbilanciamento. Tra i danni più frequenti ci sono le abrasioni, le contusioni, le fratture agli arti inferiori e superiori.

L’infortunio più ricorrente nel settore delle pulizie è quello da “urto, schiacciamento”, in gran parte legato all’utilizzo di attrezzature ma anche agli spazi ridotti in cui, spesso, il lavoratore si trova ad operare. Rispetto al rischio di caduta per scivolamento i danni tipici sono le contusioni, le distorsioni e le lesioni agli arti superiori e inferiori.

E poi ci sono i prodotti chimici per la pulizia e la disinfezione ambientale utilizzati in questo settore. L’esposizione al rischio è correlata alla qualità dei prodotti utilizzati, alla frequenza e alla modalità con cui vengono impiegati. Nonché dalla presenza di adeguati ricambi d’aria nel luogo di lavoro.

Malattie della pelle

Dermatiti irritative e allergiche localizzate alle mani, ai polsi, agli avambracci. Si sviluppano nel tempo per esposizioni ripetute anche a quantità basse di sostanze irritanti, ed assumono la forma cronica con possibile remissione nel lungo periodo. La patologia più diffusa è sicuramente l’eczema alle mani che secondo alcuni studi rappresenta il 60-90 per cento di tutte le affezioni della pelle riscontrate nei lavoratori delle pulizie. Oltre alla presenza di sostanze irritanti vanno prese in considerazione le diminuite difese della pelle, dovute sia alle sostanze utilizzate, sia al fatto che i lavoratori delle pulizie stanno con le mani bagnate per lunghi periodi dell’orario di lavoro.

Malattie respiratorie e asma

Patologie irritative delle prime vie aeree, delle mucose e degli occhi. Secondo alcune ricerche risulta che l’incidenza di asma è cresciuta tra i lavoratori delle pulizie negli ultimi dieci anni. E che le pulizie sono la quarta attività lavorativa con il più alto rischio di asma dopo quelle degli agricoltori, dei verniciatori e degli operai dell’industria plastica. Il rischio di asma differisce a seconda delle attività e dei locali dove si svolgono i lavori di pulizia ed è più alto per le pulizie di cucine, le lucidature mobili e la pulizia dei sanitari. Questo si può spiegare con l’uso di spray e prodotti per pulire come clorina, sale di ammonio, composti di ammonio quaternario ed etanolammine.

 

A cura della redazione di Muletti Dappertutto

Imprese ed associazioni insieme per un 2019 ricco di novità | Corsi Sicurezza Lavoro Bergamo

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Imprese ed associazioni insieme per un 2019 ricco di novità

Corsi Sicurezza Lavoro Bergamo

Venezia, 14 Dicembre 2018 – Si è concluso nei migliori dei modi il Meeting Nazionale 2018 della Fondazione Asso.Safe. L’incontro ha avuto come protagonisti nomi di spicco dell’associazionismo e delle realtà imprenditoriali del paese ed è stata l’occasione per valutare i risultati del 2018 e presentare le prospettive per il 2019. L’incontro tra le esigenze delle aziende e le risposte delle associazioni, attraverso i numerosi accordi intersindacali, è stata al centro dell’incontro con la presenza di una importante rappresentanza da un lato delle aziende che da anni lavorano con la Fondazione Asso.Safe e A.D.L.I. e dall’altra una nutrita rappresentanza dell’associazione Federlavoro che di recente ha stipulato un accordo di collaborazione con la Fondazione Asso.Safe per una maggiore diffusione della cultura della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

La presenza all’evento di rappresentanti delle autorità, in particolar modo del sindaco di Santa Maria di Sala Nicola Fragomeni e di Crisitano Cafini, rappresentante del Sindacato di Polizia S.I.A.P., hanno arricchito maggiormente di prestigio un incontro che aveva anche lo scopo di avvicinare istituzioni e il mondo delle imprese.

Il Meeting Nazionale è stata anche la migliore cornice per presentare i due nuovi testimonial scelti dalla Fondazione Asso.Safe per le campagne previste nel 2019: Italo Screpanti, concorrente di Masterchef Italia 7, ex comandante di volo Alitalia, testimonial della campagna a favore dell’igiene alimentare ed incentivazione all’utilizzo del sistema H.A.C.C.P., e la Campionessa Mondiale di Muay Thai, Anna Marie Turcin, che a partire da Febbraio 2019 si occuperà della nuova campagna per l’autodifesa delle donne finanziata dalla Fondazione Asso.Safe con il patrocinio del Comune di Santa Maria di Sala (VE).

L’incontro ha poi visto susseguirsi con rapidi ma efficaci interventi inerenti i risultati appena conseguiti da A.D.L.I., attraverso la voce del Presidente Carlo Parlangeli, e dalla Fondazione Asso.Safe, rappresentata per l’occasione dall’A.D. Dott.ssa Giuseppina Filieri. Durante il loro intervento sono stati esposti i risultati del 2018 evidenziando la crescita costante che ha visto protagoniste entrambe le associazioni.

Sono quindi intervenuti, in rappresentanza del mondo dell’associazionismo il Presidente di Federlavoro Dott. Bertino Trolese, il Dott. Giuseppe Ligotti, sempre in rappresentanza di Federlavoro, il Dott. Gianpaolo Basile, responsabile di Fonditalia e inoltre sempre in nome della Fondazione Asso.Safe sono intervenuti Alberto Faggionato, presentando le novità 2019 di 81check.it, servizio dedicato alla realizzazione dei documenti di valutazione dei rischi e quest’anno abilitato anche per la realizzazione dei documenti inerenti il nuovo GDPR 2016/679 sulla privacy e il Dott. Simone Ascolese per presentare la nuova Associazione Europea dei Professionisti e delle Imprese A.E.P.I. di cui A.D.L.I. fa parte.

In rappresentanza delle imprese sono intervenuti, l’Ing. Sergio Muller, esperto in certificazioni, e il Dott. Alberto Minarelli, che ha illustrato l’evoluzione dei sistemi D.P.I. nell’ultimo secolo.

Dott.ssa Laura Faggiotto

La vendemmia, come in questi anni sono cambiate le attività di raccolta dell’uva – RSPP Bergamo

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La vendemmia, come in questi anni sono cambiate le attività di raccolta dell’uva

RSPP Bergamo

L’afa dell’estate ha ceduto il passato all’aria mite di settembre, le foglie degli alberi ci raccontano che non è più tempo di festa, e le giornate, sempre più corte, ci ricordano che l’autunno è ormai alle porte.

Gli odori di questo mese però, non fanno altro che ricordarmi che questo per me, da piccola, era un periodo di festa.

C’era la vendemmia! E la vendemmia ai tempi di mio nonno, metteva tutti in fermento.

Organizzare gli uomini e le donne per la raccolta, il rimorchio dietro il vecchio trattore per trasportare l’uva, il lavaggio dei tini. Io, invece, mi preoccupavo di quali indumenti e di quali scarpe avrei dovuto indossare e mi accertavo che ci fossero un paio di forbici anche per me. La sveglia era all’alba e alle quattro del mattino era ancora buio.

Le gocce di brina sulle viti brillavano, e gli acini dei grandi grappoli d’uva, mi sembravano preziosi gioielli.

Percorrevo la “carrara” (dialetto salentino), un corridoio di terreno che divideva in due i campi in cui c’erano i filari, con mio fratello e i miei cugini, seguendo le voci delle donne, che già a quell’ora ridevano e scherzavano, raccontando aneddoti divertenti e barzellette. Con un secchio bianco in mano e le forbici, fiera, sceglievo un filare. Io e mio cugino dividevamo il filare.

Dovevo fare attenzione con le forbici e stare attenta a non tagliarmi, altrimenti non avrei più potuto vendemmiare.

Gli uomini, invece, avevano già disposto i tini neri nei filari, in modo che i secchi d’uva potessero essere svuotati e successivamente riempiti.

Sento ancora addosso la brina delle viti che mi bagna, l’odore e, al tempo stesso, il peso dei grappoli. E che dolore alla mano a forza di tagliare, la schiena e le gambe, a mezzogiorno, mi facevano male! Oltre al vociare delle donne, sentivo il rumore delle forbici, che prepotente si univa all’unisono a ricordarci che la fine del filare era ancora lontano.

Gli uomini, invece, avevano il compito di portare fuori i tini e svuotarli nel grande carrello posto dietro al trattore. I tini venivano sollevati da due uomini e posti sulla spalla di uno dei due (tra collo e braccio).

Questi avevano il compito di trasportare il “cofano” (così veniva chiamato in dialetto il tino pieno d’uva). I più piccoli si divertivano a pressare l’uva all’interno del tino, affinché il carico potesse diventare più pesante.

Quanto mi faceva ridere vederli imprecare perché il tino era pesantissimo.

 Ogni tino poteva contenere dai 50 ai 60 kg d’uva.

Ricordo che per evitare che il tino poggiasse direttamente sulla spalla, avevano una protezione, di materiale soffice avvolta in un pezzo di sacco di juta, cucito al centro, ai cui lati era stato fissato uno spago (si metteva sotto il braccio opposto a quello sul quale si sarebbe posto il carico). Aveva la forma di una mezza luna.

Mio nonno coordinava le operazioni di carico e scarico, accertandosi che durante lo svuotamento dei tini nel grande carro, l’uva non cadesse per terra. Mia nonna, invece, coordinava le donne nel lavoro di raccolta.

Di tanto in tanto mi capitava di vederla andare, col secchio in mano, qua e là tra i filari: raccoglieva l’uva migliore che sarebbe stata posta per ultima sopra il rimorchio, prima del trasporto in cantina. In questo modo la gradazione dell’uva sarebbe stata più alta e di conseguenza anche la retribuzione.

Era molto scaltra e si muoveva velocemente: non ho mai capito come facesse a terminare prima delle altre donne il suo filare, che non si dovevano accorgere di questo stratagemma che aveva ideato. Credo che neanche mio nonno ne fosse al corrente.

Mio nonno, prima di congedare le raccoglitrici, controllava tra i filari, e, se vedeva degli acini d’uva caduti e lasciati per terra, erano davvero guai. Urlava che erano grandi come fichi fioroni (culumbi, diceva lui), si metteva a raccoglierli e noi bambini, dovevamo, appresso a lui, fare la stessa cosa.

Alle undici e mezza arrivava l’attesa “pagnotta” con mortadella e provola: che bello era mangiarla con le mani ancora sporche d’uva, seduti al fresco sotto un albero. Era il nostro compenso!

Questi tesori di inestimabile valore, e per me sono ricordi preziosissimi, ma solo oggi, pesandoci, mi rendo conto a quanti rischi ci si esponeva, incoscientemente. È vero, parliamo di trent’anni fa, e di certo, allora, la priorità era il raccolto e non la messa in sicurezza delle persone.

Con la mente ritorno a quei giorni e vedo persone come muletti, donne chine sotto le viti a tagliare, con la schiena arcuata, il fresco e l’umido del mattino, che penetra nelle ossa, il caldo di metà giornata che toglie il respiro, il trasporto su strada del raccolto su un mezzo forse non troppo a norma.

Le modalità di raccolta dell’uva, a distanza di molti anni, sono ancora prevalentemente di tipo manuale, e, se anche sono cambiate alcune condizioni lavorative, di fatto l’esposizione ai rischi degli operatori, è pressoché invariata.

Se un tempo le attività agricole non rientravano all’interno di categorie o classi lavorative considerate a rischio, o all’interno di una determinazione tale da rendere la subordinazione tra titolare e dipendente (ricordiamo che le aziende agricole a conduzione familiare non rientravano, fino a pochissimo tempo fa, nella definizione di azienda data dal Testo Unico) una condizione lavorativa (quindi l’espletamento di una mansione), da mettere in sicurezza, oggi diventa di prioritaria importanza considerare gli agricoltori alla stregua di qualsiasi altro lavoratore. Questo vale anche per il personale cosiddetto “avventizio”.

All’interno di detta categoria rientrano anche i lavoratori, definiti stagionali, perché svolgono la stessa attività, presso la stessa azienda, per un numero di giornate non superiori a cinquanta nell’arco dell’anno.

Unica condizione è che le lavorazioni in cui vengono impiegati, siano semplici e generiche e non richiedano requisiti professionali specifici.

Con la pubblicazione del Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 riguardante la “Semplificazione in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo” vengono definiti due punti importanti:

  • La formazione del personale
  • La Sorveglianza Sanitaria e la visita preventiva

A seguito dell’art. 3 del D.M. 23 marzo 2013, per la formazione del personale stagionale, si propone una metodologia specifica per ottemperare a tale obbligo, affinché il processo di apprendimento possa essere non solo potenziato, ma anche mirato alla specifica mansione e possa, contestualmente, essere facilmente gestito dall’azienda agricola.

Tale metodologia prevede una formazione ed un addestramento da effettuarsi prima dell’inizio dell’attività lavorativa.

L’applicazione di questa metodica, definisce e sottolinea tre elementi chiave che, a mio avviso, dovrebbero essere adottati per tutte le realtà lavorative:

Effettuare la formazione specifica calibrandola sulla singola realtà aziendale. La formazione e la sicurezza, quali elementi integrati alla cultura del lavoro, prevedono l’attivazione di un processo di apprendimento che dovrebbe avvenire, non solo mediante la fruizione di lezioni in aula, ma dovrebbe essere necessariamente contestualizzato alle attività di lavoro.

Pertanto le informazioni devono essere utili al lavoratore nello scenario operativo e non essere dei meri riferimenti normativi generali ed aspecifici.

Per quanto concerne la Sorveglianza Sanitaria e la Visita Preventiva, è lo stesso Decreto Interministeriale a definire l’obbligo di Visita se, dalla valutazione dei rischi emerge che, il lavoratore stagionale, durante l’espletamento della mansione è esposto a dei rischi specifici. Tenendo conto dei rischi cui è esposto il lavoratore addetto alla vendemmia manuale (movimentazione manuale dei carichi, tagli agli arti superiori, movimenti ripetitivi, esposizione e clima severo caldo, scivolamenti e/o cadute a livello, cadute dall’alto, investimenti, rischio biologico) è necessario che il datore di lavoro li sottoponga alla visita preventiva.

Con questo non intendo dire che il datore di lavoro debba scegliere addetti alti, belli, forti e con un sorriso smagliante, ma uomini e donne che possano svolgere un lavoro che, seppur nella sua semplicità, possa ridurre al minimo i rischi cui, gioco forza, sono esposti.

Se da un lato le aziende agricole fanno fatica a “digerire l’obbligo normativo”, dall’altro ci troviamo con costi di raccolta altissimi e mancanza di personale avventizio da poter impiegare nelle operazioni di raccolta.

Per queste ragioni, pur prediligendo, a tutt’oggi, una vendemmia di tipo manuale, si sta facendo strada, e a grandi passi, soprattutto nelle grandi realtà viticole, la vendemmia meccanizzata.

Le vendemmiatrici, ce ne sono di diversi tipi sul mercato a seconda del tipo di coltura e terreno su cui verranno utilizzate, risolvono il problema dell’organizzazione e della gestione del personale, limitando le problematiche connesse alla sicurezza sul lavoro, ai rapporti fra gli operai e quelle relative alla manodopera. Inoltre sono in grado di velocizzare le operazioni di raccolta.

Di tipo semovente o trainato e lavorando avanzando nell’interfilare, oppure a cavallo del filare (scavallatrici), in base alle forme di allevamento, operano uno scuotimento della parete produttiva del vigneto, potendo così, in un’unica operazione, provvedere al distacco degli acini, alla separazione delle foglie e al caricamento del prodotto in un apposito serbatoio.

L’addetto all’uso della vendemmiatrice è comunque esposto a rischi specifici, quali ad esempio: rischio biologico, rischio meccanico connesso alle fasi di scarico, carico e regolazione della macchina, rischi connessi all’utilizzo della trattrice agricola.

Quindi, anche per gli “autisti” addetti alla conduzione della vendemmiatrice, il titolare dell’azienda agricola, deve provvedere alla messa in sicurezza dell’operatore ed alla verifica dell’idoneità psicofisica per la conduzione del mezzo. Se da un lato, quindi, cerchiamo, attraverso la meccanizzazione e la tecnologia di dare la giusta innovazione, dall’altro, rimaniamo ancorati a sistemi di lavoro fin troppo tradizionali, e a gap culturali, che, a volte non ci consentono di comprendere che, avere una persona sana e formata, significa investire su una risorsa che permette di risparmiare tempo e di conseguenza portano ad avere una diminuzione dei costi.

La saggezza e la sapienza dei contadini di un tempo, sono passati, oggi, nelle mani di viticoltori specializzati che, oltre alla custodia delle tradizioni non possono dimenticare che, nella pratica agricola, la custodia dell’uomo è di fondamentale importanza.

Che sia manuale o meccanica, la vendemmia rimane il momento dell’anno che ha sapore di antico, di mani che raccolgono, di piedi che pestano, di odori e colori che seducono, di risate di bimbi che, festosi, corrono su e giù per i filari. Questo è il vero patrimonio dell’umanità.

Dott.ssa Giuseppina Filieri, A.D. della Fondazione Asso.Safe

CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C) – Corso Primo Soccorso

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CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C)

Corso Primo Soccorso

L’Addetto al primo soccorso è il lavoratore incaricato dell’attuazione in azienda dei provvedimenti previsti in materia di primo soccorso ai sensi dell’art. 18 e 45 del D. Lgs. 81/08.

Il corso ha l’obiettivo di formare e informare gli addetti al pronto soccorso aziendale trasferendo ai partecipanti le opportune conoscenze di natura tecnica nonché le necessarie abilità di natura pratica.

Tutta la formazione è svolta da personale medico.

 

Il corso di Primo Soccorso si articola in tre moduli A, B e C:

Modulo A

  • Allertare il sistema di soccorso
  • Riconoscere un’emergenza sanitaria
  • Attuare gli interventi di primo soccorso
  • Conoscere i rischi specifici dell’attività svolta

Modulo B

  • Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro
  • Acquisire conoscenze generali su patologie specifiche in ambiente di lavoro

 Modulo C

  • Acquisire capacità di intervento pratico

 

Studio Samele è un Centro Convenzionato a Fondazione Asso.Safe in collaborazione con A.D.L.I. (Associazione Datori di Lavoro Italiani) e CONF.A.M.A.R. (Confederazione Autonoma dei Movimenti Associativi di Rappresentanza) nonché riconosciuto come Sede Territoriale A.D.L.I.

Tutta la formazione erogata è certificata ed approvata da:

O.N.P.A.C. (Organo Nazionale Paritetico Adli Confamar)

O.P.N.E. (Organo Paritetico Nazionale Edilizia)

Al termine del corso verrà consegnato il Programma Formativo approvato dagli Organismi Paritetici competenti, il registro presenze, le dispense, i test finali di valutazione dell’apprendimento, gli attestati di Fondazione Asso.Safe.

Sede di svolgimento: Studio Samele S.r.l., via C. Colombo, 24 – 24044 – Dalmine (BG)

 

DATE 1° corso: lunedì 26 novembre ore 8:30/14:30 e lunedì 3 dicembre ore 8:30/14:30;

DATE 2° corso: lunedì 10 dicembre ore 8:30/14:30 e lunedì 17 dicembre ore 8:30/14:30.

 

COSTO: 150.00 euro (iva esclusa)