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Lo Storytelling: una strategia per formare i lavoratori | RSPP esterno

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Lo Storytelling: una strategia per formare i lavoratori

RSPP esterno

«La narrazione è un’attività umana fondamentale, un modo di pensare e di essere». Parole di Steve Jobs che è stato capace di raccontare la sua storia nel modo più efficace. Chi non conosce oggi Apple e la sua mela?

Una storia cattura l’attenzione e coinvolge chi ascolta: lo storytelling utilizza la narrazione dei racconti ed è una innovativa ed efficace tecnica di comunicazione a cui un numero sempre maggiore di aziende ricorre.

Con obiettivi precisi, far sì che i consumatori diventino parte della storia e vivano le stesse esperienze ed emozioni.

Far sì che le storie raccontate si propaghino grazie al passaparola, che non è cosa insolita perché nessuno di noi riesce a smettere di raccontare storie, così come non rinuncia mai a cercarne di nuove.

Far sì che i clienti scelgano i prodotti più per ciò che essi rappresentano con la loro storia che per quello che sono.

Far sì che si creino brand aziendale forti, marchi basati essenzialmente su una storia.

Tra i primi a sperimentare questa tecnica Rana e Amadori che hanno scelto di essere testimonial in prima persona delle campagne pubblicitarie.

Lo storytelling è tutto questo, ed è molto di più.

Preso in prestito dal marketing americano, oggi viene applicato anche in diversi campi della formazione. Nel business come in politica: i candidati la utilizzano per spiegare i loro programmi agli elettori e convincerli a votarli.

Il saper narrare è generatore di apprendimento e cambiamento ed è qui che entrano in campo formatori e manager.

Il termine “formazione” deriva dal latino  formatiōne: significa attivazione di un processo che dalla prima acquisizione di concetti giunga alla loro assimilazione.

Nella formazione, il racconto di storie aumenta la potenza della comunicazione perché trasmette emozioni grazie ai percorsi narrativi nei quali le persone riescono a identificarsi. Lo storytelling garantisce l’ascolto e il coinvolgimento delle persone, influenza il loro pensiero e il loro comportamento.

Uno strumento potente quindi, soprattutto per trasmettere nuovi obiettivi, proporre cambiamenti, superare ostacoli.

Ma la tecnica dello storytelling si può applicare a tutte le attività di formazione per la sicurezza nel mondo del lavoro? Assolutamente si! È facile da applicare? Forse no, ma sicuramente possibile.

Lo storytelling è una tecnica precisa. Ci sono studi specifici che classificano le tipologie delle storie, indicano quali sono i fattori da tenere presente per poter creare i racconti. È necessario quindi studiare una strategia adeguata per ogni realtà.

Le storie devono essere reali, fruibili, apprezzabili ed efficaci. Devono poter coinvolgere il nostro interlocutore come se stesse ascoltando una fiaba. Quindi servono: una trama, un eroe, un’impresa, le avversità e la conquista di un “el dorado”.

Bisogna creare storie che possano condividere conoscenze, che raccontino quello che siamo, che producano azioni e che trasmettano valori morali. Ma soprattutto che abbiano un obiettivo finale che permetta di vedere ciò che potrà accadere di positivo in un prossimo futuro.

Cosa ci serve oggi? Cercare di applicare quello che sappiamo già, non dimenticare le competenze e le esperienze apprese nel tempo, specialmente quando dobbiamo salvaguardare la nostra vita dai pericoli che corriamo durante il nostro lavoro quotidiano.

Lo storytelling è il metodo di formazione migliore in questo campo perché mette al centro del percorso di apprendimento la “persona”, e non solo le competenze operative spesso unicamente teoriche.

Si è imparato sempre qualcosa di nuovo quando è finita la formazione, e quello che si è appreso lo si applica tutti i giorni nell’attività lavorativa, mettendosi “alla prova”. Magari semplicemente domandandosi: «Che cosa sto facendo? È corretto il modo in cui svolgo il mio lavoro? Posso farlo in maniera più sicura?». A queste domande troveremo le risposte nel ricordo della storia raccontata e vissuta dal formatore e creando a nostra volta una propria storia personale che potrà essere di esempio ai nostri colleghi.

No, non è un’impresa facile! Per fare questo bisogna prima guardarci allo specchio e poi interrogarci su chi siamo, cosa facciamo, quali obiettivi ci poniamo costantemente, quali sono i nostri sogni, dove vogliamo arrivare, cosa vogliamo trasmettere agli altri, in cosa crediamo veramente. Questo vale per tutti i ruoli, sia per il formatore sia per il discente.

Ops! Troppe domande? Forse mi sono lasciato prendere la mano.

Nelle mie esperienze lavorative vissute in azienda come manager spesso ho dovuto costatare che i primi a non voler rispondere sono proprio gli imprenditori e spesso anche gli stessi formatori.

Ti dicono cosa e come devi fare solo perché hanno l’autorità per farlo. Come se divulgando i propri sogni e le proprie ambizioni svelassero la ricetta segreta del loro successo.

Ma le aziende sono fatte di persone. Che contribuiscono giornalmente al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Questo non dovremmo dimenticarlo mai.

Prima di creare la nostra storia, dobbiamo perciò conoscere la storia dei nostri collaboratori. E in questo ci può aiutare la formazione che aiuta noi e loro a raccontarci e a conoscerci, per poi poter creare e realizzare la nostra storia personale.

Non importa quello che produciamo, se macchine o servizi, vendita o noleggio, sicurezza o formazione. Conta in che modo lo trasmettiamo ai nostri potenziali allievi, collaboratori, discenti. E se anche loro avessero delle storie da raccontarci? Proviamo ad ascoltarle! Buon storytelling a tutti.

 

Dott. Michele Curatella, Membro del C.T.S. della Fondazione Asso.Safe

Il patentino per gli addetti alla conduzione di carrelli elevatori | Corso carrello elevatore

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Il patentino per gli addetti alla conduzione di carrelli elevatori

Corso carrello elevatore

L’impiego del carrello elevatore presuppone la massima attenzione e il rispetto di precise regole da parte dell’operatore carrellista: manovre scorrette o comportamenti inadeguati possono avere conseguenze, anche gravi, sia sulla propria sia sull’incolumità altrui.

È per questa ragione che ciascun addetto deve conseguire l’abilitazione per la conduzione dei carrelli elevatori, il cosiddetto patentino, frequentando un corso della durata di almeno 12 ore (8 ore di teoria a cui se ne sommano altre 4 di pratica che diventano 8, in caso di abilitazione per carrelli industriali semoventi, semoventi a braccio telescopico e carrelli e sollevatori elevatori semoventi telescopici rotativi) da effettuare presso soggetti formatori accreditati.

Gli argomenti trattati durante la parte teorica sono molteplici. Si inizia con un modulo giuridico-formativo della durata di 1 ora in cui vengono forniti cenni di normativa generale in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, seguito da un modulo tecnico di 7 ore in cui vengono descritte le varie tipologie e caratteristiche delle macchine, i principali rischi connessi al loro uso, i dispositivi di comando e di sicurezza, i controlli e le manutenzioni.

Al termine dei due moduli ai candidati verrà somministrato un test, che una volta superato consentirà il passaggio allo step successivo. Durante la parte pratica, seguendo le istruzioni d’uso del carrello, vengono illustrati i vari componenti e le sicurezze del mezzo, manutenzione e verifiche periodiche e quotidiane da effettuare, e infine è prevista la guida del carrello in un percorso di prova.

Anche questo modulo viene accompagnato da prove pratiche che, se affrontate con successo, portano al conseguimento dell’abilitazione. E visto che, per dirla con le parole di Eduardo De Filippo, “gli esami non finiscono mai”, dopo 5 anni dal conseguimento il carrellista abilitato dovrà prendere parte ad un corso di aggiornamento della durata minima di 4 ore.

E infine, bisogna ricordare un’altra regola d’oro: una guida sicura inizia con un carrello elevatore sicuro. Non si deve mettere a operare nessun mezzo che non sia in perfette condizioni, cosa che l’operatore deve testare preliminarmente all’inizio della giornata lavorativa, e, se vengono riscontrate delle avarie, vanno segnalate al datore di lavoro affinché siano riparate.

 

A cura della redazione di Muletti Dappertutto

Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti | Valutazione Rischio Chimico

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Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti

Valutazione Rischio Chimico

Rutilio Segatori è nato a Milano nel 1963 e si è diplomato come perito industriale nel 1983. Per motivi famigliari si trasferisce in provincia di Cremona nel 1985 e qui, grazie alla patente di caldaista, ha iniziato a lavorare come manutentore in quest’ambito, come dipendente del comune di Robecco D’Oglio.

Fino al 1998, oltre alla manutenzione degli stabili e del depuratore, ho utilizzato sia diserbanti che pesticidi, a seconda dell’area da pulire o della struttura comunale da preservare. I diserbanti, distribuiti sui viali di ghiaia, erano utilizzati per mantenere “pulite” le aree verdi e i parchi, i prodotti granulari a lenta cessione venivano utilizzati sia nei cimiteri affinchè si potesse avere un maggior tempo di rilascio che sulle strade per mantenere puliti bordi e marciapiedi. Poi utilizzavo gli insetticidi contro mosche e zanzare sia presso la casa di riposo comunale che nelle scuole.

L’esposizione a diserbanti e a pesticidi, mi ha inevitabilmente causato dei problemi di salute. Ho consultato diversi medici, ma è solo grazie al dott. Luigi Mancini che siamo venuti a capo del problema: ero affetto da un blocco nel metabolismo dovuto all’atrazina e metabenzene. Ricordo che dissi al dott. Mancini che il problema emerso non poteva essere dovuto all’uso di diserbanti e pesticidi, in quanto noi operai, non solo eravamo in possesso delle abilitazioni necessarie per poterli usare (i patentini), ma che prima di entrare in contatto con dette sostanze, quindi in piena coscienza di ciò a cui ci esponevamo, indossavamo le protezioni necessarie e prendevamo le dovute precauzioni. Per queste ragioni proprio non capivo! Come potevo aver assorbito i principi attivi dei prodotti che utilizzavo? Il dottore mi fece notare una cosa molto semplice: “se non cresce l’erba e non ci sono insetti, vuol dire che il prodotto è presente ed agisce”. Quindi, noi operai, andando a lavorare in questi luoghi e sollevando le polveri o addirittura triturando l’erba secca, inevitabilmente respiravamo il prodotto, introducendolo così nel nostro corpo. Ero intossicato! Con l’aiuto dell’omeopatia impiegai un anno per liberarmi dell’atrazina e quasi due, per debellare il metabenzene. Proprio in quel periodo questi due principi attivi venivano eliminati dal mercato a favore del glifosate. A detta dei venditori del settore, si trattava di un prodotto rivoluzionario, a basso costo ed efficace. Sistemico perchè colpiva la radice delle erbe infestanti e selettivo perché lavorava solo sul DNA delle piante, risultando così innocuo per l’uomo. A distanza di 25 anni dalla sua comparsa in commercio, su larga scala, sta venendo a galla che si tratta di un prodotto altamente nocivo per l’uomo. I residui di glifosato infatti rimangono per lungo tempo nelle piante, ma soprattutto in quelle di mais e di grano. I trinciati di mais vengono mangiati dalle mucche che poi producono latte, il grano viene trasformato in farina: ecco spiegato perché molti bambini soffrono di intolleranze alimentari (generalmente al latte vaccino e alla pasta o ai prodotti derivati dalle farine). Ed il clima di certo non aiuta, anzi rende tutto più difficoltoso. Se pensiamo all’estate appena trascorsa, alla siccità causata dall’assenza di pioggia, non possiamo far altro che riflettere sull’alta concentrazione delle polveri che si sono disperse in aria, anche a causa di un utilizzo massivo e massiccio di macchine e mezzi agricoli sempre più veloci per le lavorazioni del terreno. I dati del 2015 dell’International Agency For Research On Cancer classificano i GLIFOSATE come cancerogeni sia per gli esseri umani che per gli animali (basti pensare quanti cani, che portiamo a fare le passeggiate nei campi e nel verde, soffrono di tumori perché annusano e toccano con il muso il terreno), mentre l’ESFA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) dichiara che il pesticida non è poi così pericoloso, non classificandolo come cancerogeno, ma che un uso improprio potrebbe causare dei danni agli occhi e potrebbe risultare tossico per gli ambienti acquatici. Peccato che queste informazioni si basino sui dati forniti dall’azienda che produce l’erbicida.

Di diverso parere sono i medici per l’ambiente ISDE (International Society of Doctors for the Environment), un’associazione non governativa che riunisce medici di varia nazionalità che mettono come problemi di tipo ecologico possono essere correlate a problematiche sanitarie. I medici di quest’ associazione dichiarano che una prolungata esposizione all’erbicida produce gravi malattie, sia che si tratti di agricoltori che vengono a contatto diretto con l’erbicida, sia che si tratti di consumatori che assumono alimenti trattati con glifosate. A causa di ciò, malattie come la SLA o il PARCHINSON sono in aumento. Assistiamo così a malesseri generali sia ai danni di alcuni calciatori che vanno a giocare sui prati di calcio trattati da erbicidi, o ad agricoltori che, durante il periodo di raccolta, soprattutto dei trinciati, accusano malattie più o meno gravi, che si accentuano maggiormente, quando sono a stretto contatto con il prodotto. Anche le persone che hanno la loro casa confinante con campi coltivati soprattutto a mais, accusano malori o malesseri, più o meno gravi. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) mette in guardia dagli effetti dannosi dei pesticidi e degli erbicidi, dichiarando che sono causa di morte per circa 200.000 persone al mondo. La Commissione Europea è chiamata ad esprimersi sul prolungamento o la revoca della licenza sull’uso del glifosate. Solo Francia, Italia, Austria, Lussemburgo, Belgio sono contrari all’uso del glifosate, mentre gli altri stati europei no. Si parla di una proroga di altri tre anni prima che venga presa una decisione definitiva. In Italia, alcuni venditori non danno più di uno o due litri al privato, alcuni comuni hanno vietato l’utilizzo di detti diserbi nelle aree urbane. In alcune regioni bisogna mantenere distanze di 20 metri dai confini del terreno, strade e fossi, in cui viene distribuito il prodotto. Alcune incentivano procedimenti alternativi come vapore e schiumogeno a base di prodotti naturali, oppure la pulizia meccanica delle erbe. Sembra quasi che qualcosa si muova. Non faccio parte né dell’ISDE, né dell’OMS, ma posso raccontarvi la storia dei miei amici/colleghi. Luigi è morto 6 anni fa con il fegato sciolto da un tumore e faceva il seppellitore. Roberto, che andrà in pensione a fine anno, 9 anni fa si sottoponeva ad un intervento di esportazione della milza, perché con un tumore. Luciano 7 anni fa, dopo appena una settimana dal suo pensionamento, riscontrava dai medici di avere gravi problemi alle valvole cardiache. Sergio, andato in pensione 8 anni fa, ulcera perforante e aneurisma al cuore. Stefano, andato in pensione 20 anni fa, aveva dei grossi problemi ai reni: sono già 7 anni che è morto. Saranno coincidenze, ma 5 operai su 6 hanno avuto problemi seri. Io sono riuscito a curami e sono riuscito ad eliminare queste tossine che si accumulano, in primis, nell’intestino, poi nel fegato, nel pancreas e nella milza. Quando si accumulano nella milza, che è il sacchetto dell’aspirapolvere del nostro corpo, e quindi si intasa, compaiono dolori articolari e tendiniti. Mi sono molto documentato in primo luogo perché dovevo disintossicarmi, ma soprattutto per capire gli effetti dannosi delle tossine aero disperse e contrastarne gli effetti sul mio corpo. Ho letto molti testi e ho cominciato a tenere un diario alimentare quotidiano: in questo modo mi sono fatto un’idea di quali sono i cibi che al mio organismo fanno male perché trattiene i veleni e ciò che fa bene e aiuta a smaltirli (come per esempio la malva, il rosmarino, il tarassaco, l’argilla) e quello che mi fa male (come il lievito, la farina, i formaggi ecc…). Ho impiegato vent’anni nello studio al contrasto ai veleni che ci circondano e per me è molto difficile raccontarlo in poche righe. Ad esempio, le piogge di questi ultimi giorni, sono benefiche perché, se le persone che vi circondano hanno iniziato a stare meglio, è perché si è abbassato il livello di polveri avvelenate disperse nell’aria che respiriamo. Una cosa è certa però: non ci sono pezzi d’aria in cui non si disperdano questi veleni, pertanto anche coloro che li progettano, li producono e li vendono li respirano. Questo per far capire come questi veleni che vanno nell’aria li respiriamo tutti, anche quelli che li producono e li vendono.

Mi auguro si cominci realmente a fare qualcosa, affinché, la salute, DIVENTI UN DIRITTO PER TUTTI.

 

Per. Ind. Rutilio Segatori, Dipendente del comune di Robecco D’Oglio

Industria 4.0: la rivoluzione annunciata | Consulente RSPP

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Industria 4.0: la rivoluzione annunciata

Consulente RSPP

Una rivoluzione già iniziata ha portato l’industria ad un nuovo livello tecnologico. Dall’utilizzo massivo di macchine automatizzate all’avvento di internet e dell’intelligenza artificiale. Come saranno gli sviluppi presenti e futuri della tecnologia produttiva?

Se il mondo lo guardiamo a testa in giù, è perché pensiamo che la posizione assunta dai pipistrelli per dormire sia quella più comoda. Ciò che così riusciamo a guardare, è un mondo alla rovescia, in cui i ruoli si sono incontrovertibilmente invertiti, in cui l’illecito diventa lecito, in cui i cantanti ed i comici fanno politica e dove i politici fanno spettacolo. I diritti vengono scambiati per favori, i mariti e le mogli, quando si sentono stanchi del loro rapporto, si eliminano a colpi di accetta, la cultura è diventata un contorno perché superflua e non è richiesta tra i requisiti necessari per fare successo, le buone pratiche e il buon esempio lasciano il posto a malefatte, delitti, ed è normale giudicare stupido chi si ostina ancora a credere che, in tutto ciò, esista qualcosa di buono. Siamo sicuri che parliamo di rivoluzione? Siamo sicuri che non stiamo parlando invece di involuzione? Esistono oggi rivoluzionari? Chi è un rivoluzionario?

Per me, Rivoluzionario è colui che, oggi, ha il coraggio di usare ancora le paroline magiche “grazie, scusa, per favore, buongiorno”, colui che insegna l’educazione e il rispetto, colui che prova ancora quel sano senso di riverenza per i “saggi”, colui che insegna a fare le cose con gentilezza e prova gratitudine per le cose che ottiene. Pretendere, mercificare, comprare e scambiare: queste sono le combinazioni che fanno dell’uomo del XXI secolo un essere vincente. E se da un lato assistiamo a profondi cambiamenti (politici, sociali ed economici), dall’altro stiamo assistendo ad un “umano” che nasce, cresce e si sviluppa, ascoltando istinti e pulsioni, e se un tempo con l’intellighentia veniva purgata l’utopia, oggi con la stupidità vengono alimentati i peccati.

La percepisci, ma non riesci a sintetizzarla quest’apatia letargica. Uno degli indicatori fondamentali, che ti dà l’indicazione di quanto sia presente all’interno di un contesto (lavorativo, relazionale, umano) è la mancanza di curiosità. Ecco per me, ad una involuzione corrisponde necessariamente una mancanza di curiosità. Ma questa è una storia che ricomincia ogni volta, una storia che verrà raccontata nei libri, una storia che ha in sé il peso di un’eredità. La chiameremo parabola o legenda, ma di certo, come in un sogno dai contorni sfumati, parlerà della cultura e della politica del nostro Paese.

E ci ritroviamo, così, a pieno titolo, come un fuoco d’artificio, troppo carico di ambizione e fallimento, a vivere da una parte l’involuzione 1.0 e dall’altra, la rivoluzione industriale 4.0.

Lo stupore, la curiosità, il terrore e l’entusiasmo sono sentimenti che albergano nel mio animo parlando di rivoluzione industriale. Già perché se penso a quello che ho letto nei libri di storia, mi vengono alla mente immagini di roghi, di fiamme, di gente che si ribella, di gente che lotta….

La prima rivoluzione industriale interessa il settore tessile e metallurgico, con l’introduzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. A partire dal 1870 viene convenzionalmente fatta partire la seconda rivoluzione industriale con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Ci si riferisce, invece, agli effetti dell’introduzione massiccia dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nell’industria, come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire intorno al 1950. Quest’ultima, conosciuta anche come rivoluzione digitale, segna il passaggio dalla meccanica, dalle tecnologie elettriche e da quelle analogiche alla tecnologia digitale, sviluppatasi nei Paesi più avanzati mediante l’adozione e la diffusione capillare di computer e la conservazione dei documenti in formato digitale. Che tutto il ‘900 sia stato un periodo di forti rivoluzioni e cambiamenti, lo dice anche la forte spinta alla trasformazione della struttura produttiva, e, più in generale del tessuto socio – economico. Innovazione tecnologica che ha inevitabilmente portato allo sviluppo economico della società. Terza rivoluzione, quindi, legata all’innovazione data dalla nascita dei computer, dei robot, della prima navigazione spaziale e dei satelliti.

E poi, di colpo, ci ritroviamo ad assistere ad un cambiamento epocale, la cui portata e dimensioni apre la strada a strategie, modelli e paradigmi nuovi. Stiamo parlando della Quarta Rivoluzione Industriale. Le parole chiave di questa nuova epoca sono: innovazione, ricerca, validazione, produzione e sviluppo di nuovi prodotti e servizi con il minimo comune denominatore costituito da un alto grado di automazione ed interconnessione. Si tratta della rivoluzione dell’interconnessione e dei sistemi intelligenti, delle fabbriche che, collegate in rete, fanno dialogare i macchinari, gli uomini e i prodotti con il solo obiettivo di creare un unico processo produttivo.  È espressione del profondo cambiamento che il mondo della produzione sta vivendo grazie all’integrazione delle smart technologies nei processi industriali manifatturieri. Le principali direttrici di questo fenomeno sono:

Gestione ed archiviazione di grandi quantità di dati disponibili in rete (BIG DATA), in maniera fruibile liberamente (OPEN). Tali dati vengono acquisiti da oggetti dotati della capacità di interagire tra di loro grazie ad una rete (INTERNET OF THINGS): telecomandi, elettrodomestici, automobili. Questi oggetti, opportunamente dotati di sensori, potranno essere interconnessi ad una rete, così come oggi siamo abituati a fare con smartphone o computer.

ANALITICS. Un insieme di tecniche e di algoritmi saranno necessari per estrarre dai dati (BIG DATA) delle in- formazioni utili e, in ultima analisi, ricavarne un valore. A questo proposito lo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale, può giocare un ruolo fondamentale: il machine learning, ossia l’apprendimento automatico delle macchine. Attualmente poco diffuso a livello industriale, ma si prevede una vera e propria esplosione nei prossimi mesi e anni. Secondo Fortune il 2017 sarà l’anno dell’Intelligenza artificiale. Potenziamento dell’interazione tra esseri umani e macchine, dal consolidamento del touch screen e i comandi vocali, fino allo sviluppo di sistemi di realtà aumentata per l’ottimizzazione degli spazi di lavoro e dei processi produttivi.

Additive manufacturing, costituito da stampa 3D, utilizzo di robotica avanzata, e interazioni tra automi, tramite cui grandi colossi industriali, come General Electric, sta già puntando a realizzare parti di sistemi complessi, come gli aerei a propulsione. Da dove nasce l’Industria 4.0? Da un progetto del governo tedesco che ha avuto origine nel 2012, con l’idea di accrescere la competitività dell’industria manifatturiera tedesca. A ottobre del 2012 un gruppo di lavoro formato da ricercatori e rappresentanti dell’industria presenta al governo federale tedesco una serie di raccomandazioni per l’implementazione di una strategia di sviluppo di soluzioni avanzate nell’industria manifatturiera. Ma quali sono gli effetti che ci aspettiamo da questa rivoluzione? Da un lato avremo la nascita di nuovi posti di lavoro (con  la creazione di posti di lavoro prima sconosciuti), dall’altro una notevole perdita di posti di lavoro. A Novembre 2015 il MiSE ha presentato un documento intitolato “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero”, nel quale sono state indicate 8 aree di intervento per promuovere lo sviluppo dell’industria 4.0 e trasformarlo in opportunità di lavoro e crescita. Ma ahimé, nonostante l’impegno dimostrato dal governo italiano, l’Italia appare molto indietro ed in ritardo sull’industria 4.0. Alla consapevolezza della necessità di evoluzione dimostrata dagli imprenditori, non corrisponde un’adeguata riorganizzazione delle aziende, dei processi della formazione. Mi sa che il cammino è ancora molto lungo.

Dott.ssa Giuseppina Filieri, A.D. della Fondazione Asso.Safe

Punto di Vista – Novembre 2017

Nasce il servizio 81fad.com VR Experience, la realtà virtuale applicata alla sicurezza sui luoghi di lavoro | Corsi e-learning sicurezza

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Nasce il servizio 81fad.com VR Experience, la realtà virtuale applicata alla sicurezza sui luoghi di lavoro

Corsi e-learning sicurezza

La Realtà Virtuale o VR (Virtual Reality in anglosassone) ha sempre rappresentato un obiettivo fin da quando è nato il cinema. Se alla fine dell’800 anche lo stesso cinema “tradizionale” poteva essere considerato una “Realtà Virtuale” con il passare degli anni si è cercato di rendere sempre più realistica la fruizione di contenuti video.

Il primo tentativo di realtà virtuale lo ritroviamo fin dagli anni ’50, più precisamente nel 1955 quando fu creato il Sensorama. Gli utenti erano seduti su una sedia che si muoveva insieme alla simulazione, mentre un grande schermo stereoscopico e casse stereo fornivano stimoli visivi e sonori. Vi era anche un tunnel del vento che simulava effetti d’aria e profumi. Era ovviamente uno strumento di grandi dimensioni e non uscì mai dallo stato prototipale.

A seguire furono creati numerosi altri prototipi che simulavano il mondo reale attraverso sistemi che non si discostano molto da quelli utilizzati oggi. Il principio base era sempre quello di proiettare due immagini differenti, una per occhio, che simulassero così la visione stereoscopica. I famosi occhiali con lenti rosse e ciano ne erano un primo esempio semplificato. Il primo prodotto commerciale a sfruttare un sistema stereoscopico fu il Nintendo Virtual Boy. Il prodotto aveva ovviamente scopo puramente ludico e permetteva la visualizzazione di immagini 3D monocromatiche caratterizzate da linee rosse che ricostruivano ambienti in tre dimensioni. All’epoca fu una rivoluzione dal punto di vista tecnologico soprattutto considerando che Nintendo fu in grado di commercializzare il dispositivo su larga scala cosa che prima di allora sembrava impossibile. Un’errata strategia di vendita errata insieme ad un parco titoli non all’altezza portò alla fine prematura della produzione di questo gioiello tecnologico.

Il fallimento commerciale del prodotto di Nintendo fece capire ai produttori del mondo Hi-Tech che le tecnologie non erano ancora pronte per lo sbarco nel mercato di massa ed accantonarono per molti anni lo sviluppo di sistemi stereoscopici.

Nel 2012, il lavoro di un teenager americano, portò alla rinascita dei sistemi di realtà virtuale. Il nome del progetto era Oculuis Rift, un sistema che sfruttava due schermi LCD ad alta risoluzione per proiettare una immagine stereoscopica che finalmente poteva garantire un livello di realismo tale da essere proposta al grande pubblico nuovamente come aveva fatto 20 anni prima Nintendo. Il sistema, tutt’oggi in via di sviluppo e aggiornamento, pecca soprattutto per la necessità di molta potenza di calcolo ottenibile solo collegandolo a PC di fascia medio-alta.

Nel 2014 vengono finalmente svelati nuovi sistemi che riescono a conciliare economicità e funzionalità utilizzando un sistema che per sua natura è di una semplicità disarmante. Infatti sfruttando la potenza di calcolo e i sensori sempre più precisi presenti sugli smartphone nascono i primi visori con lenti polarizzate che sfruttano per l’appunto il cellulare stesso come “schermo” il quale si divide in due parti visualizzate distintamente dall’occhio destro e dall’occhio sinistro.

Questo sistema evoluto permette finalmente di portare la tecnologia VR a persone e ambienti del tutto nuovi. Le esperienze possibili si moltiplicano con la diffusione di sistemi per la ripresa 3D specifici in grado di creare una resa eccezionale in termini di realismo e sensazione di immersione.

Proprio da questi presupposti nasce anche l’idea di portare la Realtà Virtuale anche all’interno del mondo della Salute e della Sicurezza sui luoghi di lavoro. Durante l’Expo Training 2017 infatti la Fondazione Asso.Safe ha lanciato un nuovo servizio all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, 81fad.com VR Experience è infatti un servizio offerto dalla Fondazione Asso.Safe ai propri centri convenzionati che ha come scopo sia l’informazione sui pericoli inerenti l’utilizzo di determinate attrezzature sia la formazione degli addetti che potranno verificare anche durante la fase di lezione in aula eventuali problematiche tipiche dell’utilizzo di determinati macchinari. Una visione stereoscopica sia di video che di immagini statiche permette quindi di capire meglio le necessarie misure di prevenzione di eventuali incidenti soffermandosi su aspetti che le semplici slide non possono fornire. Inoltre lo strumento può essere utile anche quando ci si interfaccia con i datori di lavoro per poter mostrare concretamente i pericoli che incorrono nell’utilizzo di determinate attrezzature. Infatti spesso che deve formare un addetto della propria ditta ignora completamente i pericoli che il suo dipendente corre quotidianamente. Si finisce con il credere che la formazione sia una mera questione formale mentre il pericolo è relegato all’alveolo delle fatalità.

La visione di un pericolo imminente attraverso la realtà virtuale permetterà a chiunque di capire questi pericoli con i “propri” occhi.

Il servizio offrirà quindi un sistema completo per la visualizzazione dei filmati in 3D che necessiterà di un semplice smartphone per funzionare.

Il servizio 81fad.com VR Experience infatti include il visore 3D personalizzato “81fad.com”, un’applicazione che permetterà di selezionare l’esperienza da visualizzare a seconda delle necessità dell’utente con un semplice tocco, la disponibilità di video a 360° in Virtual Reality in continuo aggiornamento.

Un servizio completo in grado di ottimizzare la gamma di servizi da offrire ai propri clienti e di grande impatto visivo ed esperienziale che oggi nasce all’interno della Fondazione Asso.Safe ma che rappresenta certamente il futuro da un punto di vista professionale.

7 anni fa veniva presentato il primo Ipad, e si cominciarono a vedere i primi tecnici e i primi agenti all’opera con quello che era all’epoca lo strumento futuristico per eccellenza, oggi smartphone e tablet fanno parte della nostra quotidianità così come lo saranno i visori 3D tra qualche anno. Proprio con questa ottica la Fondazione Asso.Safe ha deciso di proporre questo nuovo servizio ai propri centri per vivere già oggi la “normalità” di domani.

Per. Comm. Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

Punto di Vista – Novembre 2017