Author: Giovanni Samele

Intervista di un lavoratore italiano all’estero | Sicurezza lavoro Bergamo

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Intervista di un lavoratore italiano all’estero

Sicurezza lavoro Bergamo

La tutela della sicurezza e della salute del lavoratore italiano all’estero

Si riporta l’esperienza di un lavoratore che da più di 35 anni opera all’estero in ambito metalmeccanico pesante e siderurgico.

La carriera lavorativa ha inizio nel 1978 come aiutante tubista in un’impresa milanese di assemblaggio e posa in opera di tubazioni industriali. Nel 1979 viene assunto, con la qualifica di impiegato tecnico addetto ai cantieri esterni, da una società di Milano del settore metalmeccanico che produce impianti di siderurgia secondaria. Dopo un periodo di prova di 3 mesi al reparto montaggio dell’officina, inizia a seguire lavori su cantieri sia in Italia che all’estero: inizialmente, per circa 5 anni, come meccanico montatore, quindi come capo cantiere di lavori minori per l’ammodernamento e la manutenzione (revamping) di impianti già esistenti. Nel 1989 viene nominato vice capo cantiere in un tubificio in Unione Sovietica; l’anno successivo ottiene la qualifica di capo cantiere in uno stabilimento russo per il montaggio di due linee di presse a stampare, dove collabora dall’inizio dei lavori fino all’accettazione finale dell’impianto da parte del Cliente.

Da allora ha sempre gestito lavori esterni come responsabile di cantiere o responsabile di avviamento impianti, sia in Italia, dove ha lavorato nei maggiori impianti siderurgici del paese (Taranto, Terni, Brescia), sia all’estero: in Turchia, nella Repubblica Popolare Cinese, in Thailandia, in Iran, nei Paesi del Golfo, in Corea del Sud e in India.

Nel 2008 viene assunto da una nuova Azienda, leader mondiale per la fornitura di impianti siderurgici, “in qualità di impiegato categoria Quadro prevista dal CCNL vigente per le aziende metalmeccaniche dell’industria privata, disciplina speciale parte III, con contratto a tempo indeterminato, con mansione di Commissioning Manager”. Contestualmente ha stipulato un Contratto di distacco che ha determinato “la sua funzione di Responsabile Avviamenti” presso un nuovo cantiere.

Nel 2013 ha seguito in Italia un corso di formazione per la sicurezza della durata di 3 giorni (8 ore giornaliere), con rilascio dell’attestato sia per preposto che per dirigente.

Organizzazione dei cantieri all’estero

Si evidenzia che, a seconda del tipo di contratto stipulato, il lavoro di cantiere può essere organizzato come segue:

– “a Supervisione” per quei cantieri in cui il montaggio è a carico del Contraente e dove quindi il Cliente provvede personalmente al montaggio dei macchinari forniti con maestranze locali; la logistica viene garantita dal Cliente finale e così pure la struttura organizzativa. In questo caso il gruppo di cantiere di lavoratori dipendenti dell’impresa italiana ha un suo responsabile della sicurezza, che comunque svolge anche altre mansioni primarie, ma che all’occorrenza sovraintende e garantisce tutti gli aspetti della sicurezza del cantiere. In merito alla gestione della legislazione per lavori in cantieri di questo tipo, viene effettuata un’analisi della legislazione locale prima dell’inizio del cantiere, aggiungendo i requisiti emersi rispetto a quelli italiani sulla lista di controllo legislativa “Salute, Sicurezza ed Ambiente – legal requirement check list”, una norma interna aziendale. La check list viene completata con i requisiti della legge locale dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, oppure dal Safety Manager in cantiere e una volta compilata deve essere condivisa con la Direzione Aziendale. I requisiti della legislazione locale vengono confrontati con i requisiti italiani al fine di verificare quale requisito è più stringente. I requisiti locali sono identificati dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con la collaborazione di consulenti locali, sulla base delle normative locali applicabili. Nel caso di lavoratori assunti localmente saranno applicati i requisiti della normativa locale.

– “Chiavi in Mano” per quei cantieri in cui l’Azienda italiana provvede anche al montaggio, con conseguente responsabilità anche per tale attività. In tal caso (si parla di cantieri che hanno centinaia di lavoratori contrattisti) il cantiere prevede una struttura organizzativa completa così che è previsto un responsabile della sicurezza aziendale. In tale ipotesi, data la natura delle attività svolte dal personale della Contraente, non si richiede di effettuare una specifica analisi di specificità legislativa. Per tale attività sarà comunque applicato il documento interno aziendale “Salute, Sicurezza ed Ambiente”, in linea con i requisiti della normativa italiana in grado di soddisfare anche la normativa locale. Eventuali richieste di legge che differiscano dalla normativa italiana saranno discusse con il Cliente in sede di incontro di coordinamento iniziale opportunamente verbalizzato. Inoltre qualora il Cliente richiedesse di applicare proprie procedure sarà necessaria una preventiva verifica di conformità di tali procedure rispetto a quelle previste dal documento “Salute, Sicurezza ed Ambiente”.

Gestione dei cantieri all’estero

La sicurezza sul lavoro, difatti, sta diventando una questione di primaria importanza in Azienda. La gestione sicurezza dei cantieri, nel caso in esame, fa riferimento ad un ufficio apposito (con sede in Italia) che comprende un team di tre soggetti, con a capo un responsabile, con compito di predisporre e aggiornare la modulistica, nonché organizzare corsi di aggiornamento per il personale operativo di cantiere e i preposti. Talvolta un tecnico di tale ufficio visita personalmente i cantieri svolgendo un’ispezione di qualche giorno, controllando lo stato dell’arte della sicurezza, impartendo suggerimenti e direttive al fine di migliorare l’ambiente e il luogo di lavoro, redigendo un rapporto di efficienza assegnando un corrispondente punteggio. A tale ufficio devono essere inviati periodicamente report, comunicazioni e segnalazioni, nonché le statistiche mensili di cantiere.

Nel cantiere attuale in cui opera il lavoratore intervistato (di tipologia “Chiavi in Mano”, in India) sono presenti circa 500 persone e ci si avvale di un esperto della sicurezza locale, che ha effettuato corsi in Italia, che opera giornalmente tenendo sotto controllo le maestranze e mantiene i rapporti con gli addetti alla sicurezza delle imprese sub-contrattiste. Il lavoratore intervistato, invece, è la figura responsabile del cantiere, riferimento per il Cliente e i fornitori di manodopera, nominato con Contratto di delega dal Dirigente Delegato, con onere di sorvegliare l’applicazione (in loco) delle direttive aziendali in fatto di sicurezza e con “potere di organizzazione, gestione, controllo e di spesa esercitabili a firma singola senza alcun vincolo di indirizzo o ratifica”. In particolare gli è stato conferito il potere: “a) di direzione, organizzazione e controllo delle attività del cantiere; b) di acquisto, manutenzione, riparazione di impianti, macchinari, attrezzature da lavoro, …, beni e prodotti in genere e, comunque, di tutto quanto si riveli necessario al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori nel cantiere nonché la tutela delle persone e delle cose, senza necessità di preventiva autorizzazione e con il potere di impegnare direttamente la spesa e di effettuare il pagamento; c) sospendere, anche solo parzialmente, l’attività lavorativa qualora la stessa avvenga in violazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, o si versi in una situazione di pericolo grave ed immediato per la salute e la sicurezza degli addetti; d) di firma e di rappresentanza della Società, nei limita di spesa indicati.”

Settimanalmente si svolgono riunioni periodiche per la sicurezza, alla presenza di tutti i dipendenti dell’Azienda italiana, della quale si redige verbale. Parallelamente, le maestranze straniere tengono una propria riunione periodica mensile in materia di sicurezza.

Sorveglianza sanitaria

Solo i lavoratori italiani sono sottoposti, nel paese di origine, a sorveglianza sanitaria con cadenza biennale, a mezzo controllo medico generale all’infermeria aziendale o in appositi ambulatori convenzionati. Scopo di queste visite è l’idoneità alla mansione, pertanto viene valutato il buono stato di salute del dipendente a mezzo controllo del peso, schermografia, esame della vista, audiometria, spirometria, prontezza di riflessi, analisi del sangue, delle urine, controllo dello stato psichico e validità vaccini. Nessun lavoratore locale, invece, si sottopone a visita medica, e nessuno è in possesso di specifica idoneità nonostante la “Documentazione di abilitazione di accesso al cantiere” preveda sia per il singolo lavoratore, autonomo o dipendente, che per le ditte lavoratrici un attestato di idoneità tecnica e psico-fisica.

 

Condizioni igienico sanitarie

Le condizioni igienico sanitarie che solitamente si trovano nei cantieri all’estero sono di molto inferiori allo standard europeo. Sovente, all’inizio dei lavori di montaggio degli equipaggiamenti contrattuali ci si trova a cielo aperto con capannoni a costruzione non ultimata, privi di servizi igienici, spogliatoi, illuminazione, docce, acqua potabile e acqua corrente. Tale situazione persiste fintanto che le opere civili non vengono completate, ovvero decorsi alcuni mesi. Per quanto riguarda l’utilizzo delle mense aziendali, le condizioni igieniche, nonché la qualità degli alimenti forniti, incentivano i lavoratori italiani a saltare i pasti, anche se talvolta, non avendo valide alternative si rende necessaria la consumazione di pietanze locali. Anche in questo caso gli stranieri godono di un trattamento privilegiato, tuttavia la qualità del cibo servito è medio-bassa e pure le condizioni igieniche delle cucine non sono adeguate. Il livello igienico e sanitario del posto di lavoro rispecchia in ogni caso quello della nazione, quindi, maggiore è il grado di povertà, più elevato sarà il disagio per il lavoratore europeo. L’infermeria di primo soccorso non è quasi mai presente nelle vicinanze e bisogna solitamente rivolgersi all’ospedale nella città più vicina, a volte a molti chilometri di distanza; per ovviare a tali mancanze, si tiene ben fornita la cassetta di pronto soccorso. Tra tutti i paesi stranieri nei quali ha lavorato, le peggiori condizioni igieniche sanitarie sono state riscontrate in India, Iran, Algeria, Cina; una situazione lievemente migliore invece in Russia, Thailandia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Come già evidenziato, gli stranieri godono sempre di una condizione di favore rispetto agli indigeni, tanto che le medicazioni o visite mediche vengono effettuate con standard migliori. Per quanto riguarda le vaccinazioni richieste per la zona nella quale si lavora, solitamente l’Azienda fornisce indicazioni precise al riguardo. Ad esempio in India, nello stato Jharkhand, è richiesto sia il vaccino anti Epatite A che quello anti-Tifo. Il vaccino anti-tetanico, invece, è obbligatorio per tutti i lavoratori.

Pur non avendo conoscenza delle legislazioni estere in materia di sicurezza, il lavoratore intervistato afferma che la sicurezza sul lavoro va di pari passo con la suddetta classifica relativa alle condizioni sanitarie, dunque agli ultimi posti troviamo India, Iran, Algeria e Cina, mentre ai primi posti ci sono Arabia Saudita e Corea del Sud.

 

Dotazione di DPI

In quasi tutti i paesi visitati l’azienda appaltatrice locale distribuisce ai propri lavoratori solamente l’elmetto, gli occhiali e i tappi per l’udito, raramente il vestiario, mentre i guanti protettivi spesso sono realizzati con materiali inadeguati come semplice stoffa; infine le scarpe antinfortunistiche non vengono fornite per evidenti ragioni economiche. Spesso sui cantieri si vedono lavoratori con l’elmetto ma a piedi nudi. Per i lavoratori italiani se ne fa carico direttamente l’Azienda italiana.

Altra nota dolente nei paesi stranieri riguarda la qualità delle opere provvisionali (ponteggi e protezioni): spesso si tratta di strutture tubolari senza tavole di calpestìo, con semplici correnti come parapetti, così che il lavoratore deve operare poggiando i piedi sui tubi metallici e rimanendo assicurato, nella migliore delle ipotesi, con la sola cintura di sicurezza alla vita. In Cina, in alcuni casi, i ponteggi vengono costruiti con canne robuste in bambù, assemblate con corde di canapa intrecciata.

Gestione degli infortuni

La sicurezza è sicuramente un tema sentito anche nei paesi esteri, tuttavia spesso le informazioni fornite danno un’immagine falsata della realtà. Ad esempio, in Corea del Sud, all’ingresso di ogni capannone di una grossa acciaieria erano esposti i dati inerenti i giorni trascorsi senza infortuni: si rilevava che in più anni non si era verificato alcun incidente! Purtroppo quel numero si riferiva solamente agli infortuni denunciati ufficialmente, in quanto quasi sempre, per una questione di premio assicurativo e di vantaggi (o svantaggi) personali, il lavoratore o la famiglia nei casi di incidenti mortali, preferiscono mantenere il silenzio. Addirittura nei casi di colpa o mancanza personale comprovata, il lavoratore che ha causato l’infortunio deve rispondere personalmente e le sanzioni comminate (a discrezione del datore di lavoro) possono consistere nel pagamento di una multa simbolica ed arrivare fino al licenziamento. In realtà, secondo l’intervistato, nei cantieri in cui ha lavorato, ogni anno circa il 3% dei lavoratori hanno infortuni di una certa gravità anche se ne viene registrato mediamente soltanto uno; durante l’intera carriera lavorativa è stato inoltre testimone di 3 infortuni mortali.

Diritto d’accesso di un lavoratore al DVR | Documento Valutazione Rischi Bergamo

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Diritto d’accesso di un lavoratore al DVR

Commento alla pronuncia T.A.R. Abruzzo, Sez. 1, 12 luglio 2012, n. 467

Documento Valutazione Rischi Bergamo

Il ricorrente, lavoratore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Abruzzo e Molise di Teramo, ha presentato alla predetta amministrazione istanza di accesso alla documentazione inerente il processo di verifica della valutazione del rischio amianto sul luogo di lavoro. La richiesta è stata mossa dal ricorrente, che, dopo aver osservato lo stato di degrado della copertura in amianto della struttura del luogo di lavoro, ha sottolineato che in caso di pioggia lo scioglimento della matrice cementizia avrebbe comportato il fluire delle fibre d’amianto all’interno dei manufatti. L’istanza è stata respinta dalla predetta amministrazione, ai sensi dell’art. 24[1] Legge n. 241 del 1990, inerente il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Il ricorrente ha chiamato dunque in giudizio -avanti il Giudice Amministrativo- l’Istituto, nella figura del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, eccependo il diniego di accesso agli atti amministrativi relativi alla valutazione del rischio amianto sul luogo di lavoro.

Il T.A.R., in composizione collegiale, ha accolto la domanda.

Il ricorso in esame verte principalmente sui precetti di cui all’art. 22[2] Legge n. 241 del 1990, in materia di trasparenza e accesso ai documenti amministrativi. Ha sostenuto la difesa del ricorrente che detta normativa troverebbe applicazione al caso di specie nonostante specifica legislazione giuslavorista (D. Lgs. n. 81 del 2008: “Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”) riservi al solo Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) il diritto a visionare le informazioni contenute all’interno del documento di valutazione dei rischi (DVR).

Controparte ex adverso ha riportato in sua difesa i contenuti di cui all’art. 50[3] comma 1, lettera e) e comma 4 D. Lgs. 81/2008, secondo i quali il RSPP “riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative (…)” nonchè “Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’art. 17 comma 1 lettera a)”.

In base a quanto disciplinato dalla nota n. 52/2008 del Ministero del Lavoro, la PA ha inoltre sostenuto che il solo RLS ha possibilità di visione del DVR mediante consegna su supporto informatico, utilizzabile però su apposito terminale presso la sede dell’Istituto[4]. Si badi che la nota ministeriale è scaturita da un Interpello promosso dall’associazione dei datori di lavoro con il quale l’amministrazione ha affermato che, non essendo prevista alcuna formalità per la consegna del documento, è ammissibile la consegna dello stesso su supporto informatico, anche se utilizzabile solo su terminale video messo a disposizione all’interno dei locali aziendali.

Sulla scorta dell’art. 22 Legge n. 241 del 1990, il T.A.R., con la pronuncia in esame, ha inteso rafforzare il principio di trasparenza della PA dall’accezione stessa di tale concetto, ripreso dal legislatore pure con l’art. 11[5] D. Lgs. n. 150 del 2009, secondo cui la trasparenza va “intesa come accessibilità totale (…) dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti”. Trasparenza quindi come livello essenziale delle prestazioni pubblicistiche, da intendere quale accessibilità totale ad informazioni dell’organizzazione amministrativa, che nel dettaglio concernono dati sulla salubrità e adeguatezza del luogo di lavoro. Il T.A.R. ha ritenuto che tali caratteristiche afferiscano altresì all’art. 2087 Codice Civile, secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo “di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile” sul luogo di lavoro.

Il T.A.R. ha sostenuto quindi che il principio di specialità invocato dalla PA, ovvero l’applicazione della legislazione giuslavorista di cui al D. Lgs. 81/2008, non sussista. Trattandosi di rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, al ricorrente spetta l’accesso ai dati richiesti ex art. 23[6] Legge n. 241 del 1990 in materia di diritto di accesso verso le PA.

In particolare, il ricorrente ha mosso istanza di accesso per la conoscenza dei dati contenuti nel documento di valutazione dei rischi relativi l’insalubrità ambientale e il rischio contaminazione per la presenza di fibre d’amianto in copertura, e non di accesso all’intero DVR. Tali dati, ha sottolineato il T.A.R., possono essere estrapolati dal documento e devono essere resi noti ai lavoratori che ne facciano richiesta, non solo dipendenti di una PA ma anche dipendenti di un ente privato, quale diritto a conoscere il grado di sicurezza dell’ambiente di lavoro. Sebbene il legislatore, con il combinato disposto di cui agli artt. 4 e 5 D. Lgs. 6 febbraio 2007 (attuazione della direttiva 2004/14/CE), imponga al rappresentante dei lavoratori il riserbo verso informazioni segrete riferitegli dal datore di lavoro, il Giudice Amministrativo, nel caso in esame, ha ritenuto le informazioni relative alla salubrità e sicurezza dell’ambiente di lavoro escluse dal campo di segretezza. Tale esegesi è in linea con i principi di tutela della salute e della dignità del cittadino in quanto lavoratore, tutelati dalla Carta Costituzionale a mezzo dell’art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e 35 “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”.

Trattandosi di informazioni relative alla salubrità e sicurezza ambientale, il T.A.R. ha reputato la richiesta del ricorrente meritevole di accoglimento in applicazione della disciplina del diritto ambientale di cui al D. Lgs. n. 195 del 2005 per cui tali dati sono accessibili a tutti coloro ne facciano richiesta: in particolare “lo stato dell’ambiente[7]” viene inteso quale il luogo di lavoro, nel quale il dipendente ha osservato il degrado della copertura della struttura, dovuto a “fattori quali sostanze (…) ed altri rilasci nell’ambiente che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente[8]” e compromettere “lo stato della salute e della sicurezza umana[9]” in relazione alle possibili filtrazioni delle fibre d’amianto nei manufatti, per lo scioglimento della matrice cementizia dovute alla pioggia.

Il ricorrente, secondo la pronuncia in commento, ha dunque diritto di avere accesso all’informazione ambientale che concerne “le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi[10]”, ovvero a conoscere lo stato di insalubrità ambientale del luogo di lavoro, espressa dalla valutazione del rischio amianto riportata nel DVR.

Alla luce di quanto esposto, il Giudice Amministrativo ha evidenziato che il rapporto contrattuale che lega il datore di lavoro e il ricorrente va a rafforzare la legittimazione dell’istanza mossa dal lavoratore: essendo i dati ambientali accessibili a chiunque ne faccia richiesta, anche senza dichiarazione esplicita del motivo d’interesse, ancor più legittima è l’istanza del lavoratore che, avendo anche motivato l’istanza di accesso, presta il proprio operato presso il luogo di lavoro a rischio contaminazione.

Il T.A.R. quindi, in accoglimento al ricorso, ha disposto l’annullamento dell’illegittimo diniego, condannando l’amministrazione a consentire l’accesso alla documentazione relativa al rischio amianto sul luogo di lavoro del ricorrente.

L’accesso ai documenti amministrativi, e nel caso particolare, al documento di valutazione dei rischi, è stato argomento di dibattito con l’emanazione del D. Lgs. 106/2009, che ha introdotto nuove regole di accesso ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Tale disciplina è stata applicata a numerosi procedimenti giudiziari, vista la diffusa opposizione delle imprese alla consegna del materiale di tale documento ai RLS. La giurisprudenza si è spesso pronunciata sulla questione, ritenendo illegittimo il rifiuto di consegna del documento di valutazione dei rischi (Tribunale di Pisa, 7 marzo 2003: “È, pertanto, da ritenersi antisindacale la condotta del datore di lavoro che abbia omesso, nonostante le reiterate richieste da parte del rappresentante per la sicurezza, di fornirgli i documenti e le informazioni riguardanti il piano per la sicurezza, la valutazione dei rischi, il parere del medico competente ed ogni altra comunicazione relativa ai provvedimenti che il datore intendeva adottare ai fini dell’adeguamento dei locali di servizio”). In tal modo si è affermato il pieno diritto al RLS ad avere copia del DVR, rigettando la tesi difensiva del datore di lavoro circa la presunta violazione, in caso di consegna del documento, del segreto aziendale (Tribunale di Brescia, 18 ottobre 2006; Corte d’Appello di Brescia, 27 settembre 2007, n. 414).

Il T.A.R. Sicilia (13 maggio 2003, n. 799) ha inoltre affermato, con riferimento alla pubblica amministrazione, che non solo i RLS ma tutti i dipendenti hanno diritto di ricevere copia del DVR in base al diritto di accesso agli atti amministrativi riconosciuto dalla Legge n. 241 del 1990, in quanto documento inerente ad interessi essenziali della persona. Tale pronuncia, in particolare, verte su caso analogo a quello in commento. I giudici amministrativi hanno difatti accolto un ricorso presentato da una docente, che si era vista rifiutare una domanda di accesso agli atti, riguardante la documentazione che viene predisposta dal dirigente scolastico per valutare i rischi.

Nonostante la riservatezza del DVR, il T.A.R. ha ritenuto che questa prescrizione non possa pregiudicare gli effetti della legge sulla trasparenza amministrativa, che dispone la facoltà di accedere agli atti amministrativi da parte di tutti i soggetti portatori di interesse giuridico qualificato, quale il lavoratore in servizio nell’unità produttiva a cui si riferisce il documento.

La sentenza in commento trova un precedente conforme nella pronuncia del T.A.R. Sicilia 13 maggio 2003, n. 799, secondo la quale tutti i dipendenti, e non solo i RLS, hanno diritto di ricevere copia del DVR in base al diritto di accesso agli atti amministrativi, in quanto trattasi di documento inerente interessi essenziali della persona. Recita l’art. 18[11] comma i) D. Lgs. 81/2008, che il datore di lavoro deve “informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione” a tutela della salute e sicurezza nel luoghi di lavoro. Nel momento in cui il ricorrente ha mosso l’istanza di accesso alla documentazione relativa alla valutazione del rischio amianto per evidente stato di degrado della copertura, il datore di lavoro, oltre a formalizzare il diniego di accesso, nulla ha argomentato sulla possibile esistenza del rischio, in violazione dell’art. 18 comma 3 della citata normativa, per cui il datore di lavoro ha l’obbligo di “prevedere interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare (…) la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni”. Il Giudice Amministrativo ha qualificato dunque come pienamente legittima la richiesta del lavoratore di ricevere copia del documento di valutazione dei rischi nella sola parte della valutazione del rischio amianto, con conseguente obbligo della PA di consegnare al lavoratore tutte le informazioni richieste.

L’informazione a cui il ricorrente ha chiesto accesso, correttamente qualificata dal T.A.R. quale informazione di carattere ambientale, e dunque disciplinata dalla Legge n. 241 del 1990, non può essere negata al soggetto portatore di interesse giuridico qualificato, quale è il ricorrente, essendo necessaria ad assicurare la salubrità del luogo di lavoro e la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per questo motivo il D. Lgs. 81/2008, che prevede la consegna della copia del DVR al solo rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, non è applicabile nella fattispecie in esame, in quanto la normativa sancisce, con l’art. 36[12] comma 2 lettera a), che “il datore di lavoro provvede che ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione sui rischi specifici a cui è esposto”. Inoltre, la predetta disciplina, non gode di alcun principio di specialità nei confronti della Legge n. 241/1990.

Nella prassi, difficilmente le organizzazioni dei datori di lavoro si conformano alle prescrizioni di cui all’art. 50[13] D. Lgs. 81/2008, secondo il quale il rappresentante dei lavoratori “riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative (…)” e “Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’art. 17 comma 1 lettera a)”. Di tal guisa, Confindustria ha emanato una circolare interpretativa volta a limitare gravemente il diritto di accesso del RLS al DVR, stabilendo che la consegna debba essere limitata alla sola parte del documento relativa agli aspetti di specifico interesse evidenziati nella richiesta, e che la consultazione del documento possa avvenire solo all’interno del perimetro aziendale, con riconsegna al termine della lettura. La nota tuttavia appare inconsistente, in quanto lo stesso D. Lgs. 81/2008, relativamente all’obbligo di consegna del DVR, omette di precisare le relative modalità, con l’unica limitazione di non portare il documento al di fuori dell’azienda.

Relativamente al predetto parametro, il Tribunale di Milano, con sentenza del 29 gennaio 2010, si è pronunciato sulle modalità di consultazione del DVR, evidenziando che l’obbligo di consegna da parte del datore di lavoro e il diritto del RLS di ricevere una copia del DVR non è discutibile. Quanto alle modalità di adempimento, che secondo la volontà del legislatore può avvenire sia in forma cartacea che su supporto informatico, il Tribunale ha affermato il principio per cui, trattandosi di modalità alternative, la scelta non può che essere rimessa al RLS, che dunque avrà diritto di stabilire in quale formato ottenere copia del DVR. Difatti l’obbligo di consegna “non può essere obliterato attraverso una semplice messa a disposizione o consultazione di un documento solo su supporto informatico o su computer aziendale”. Inoltre, il datore di lavoro deve consentire la consultazione del documento “per tutto il tempo che sarà necessario, tenuto conto della eventuale complessità del documento stesso”, fermo invece il limite di consultazione del DVR all’interno dell’azienda, ex D. Lgs. 106/2009.

Può dunque ritenersi precluso il divieto di accesso agli atti nel caso in esame, se non per questioni di segreto industriale, non solo le figure principali che lo condividono, ma a tutto il SPP – Servizio Prevenzione e Protezione (art. 2[14], comma 1, lettera l, del D. Lgs. 81/2008) inteso come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”.

Sarebbe auspicabile, ai fini del costante miglioramento della professionalità e della qualità della vita sul lavoro, che ogni lavoratore venisse inserito in quell’insieme di persone, mezzi e sistemi finalizzati all’attività di prevenzione, obiettivo peraltro sancito dell’art. 20[15], comma 1 del D. Lgs. 81/2008 che prevede che i lavoratori debbano “contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro” ed ancora, in caso di eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza “adoperarsi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità (…) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave o incombente”.

È fondamentale quindi che il lavoratore ricevuta formazione, informazione ed addestramento, abbia conoscenza degli argomenti esplicitati nel DVR in relazione alla valutazione dei rischi a cui risulta esposto. Basti pensare all’eventualità che lo stesso possa essere chiamato a svolgere un ruolo attivo per quanto riguarda la tutela di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

Tale concezione è in linea con quanto disciplinato dalla Legge 20 maggio 1970, n. 300, il cui art. 9[16] a fronte della quale: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze” – RLS – “hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

In conclusione, la qualità della vita nell’ambiente di lavoro può essere garantita da una partecipazione equilibrata del lavoratore alle tematiche di salute e sicurezza del luogo di lavoro, e ciò non può prescindere da un atteggiamento propositivo e collaborativo, sia da parte della direzione che da quella dei dipendenti.

[1] “Esclusione dal diritto di accesso”

[2] “Definizioni e principi in materia di accesso”

[3] “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”

[4] Caso Esselunga

[5] “Trasparenza”

[6] “Ambito di applicazione del diritto di accesso”

[7] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 1.

[8] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 2.

[9] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 6.

[10] D. Lgs. n. 195 del 2005, art. 2  lettera a), sub 3

[11] “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”

[12] “Informazione ai lavoratori”

[13] “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”

[14] “Definizioni”

[15] “Obblighi dei lavoratori”

[16] “Tutela della salute e dell’integrità fisica”

 

Il difficile periodo dell’adolescenza tra cyberbullismo e blue whale | Corso sicurezza lavoro Dalmine

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Il difficile periodo dell’adolescenza tra cyberbullismo e blue whale

Corso sicurezza lavoro Dalmine

Analizzando l’agghiacciante fenomeno della Blue Whale, mi è venuto alla mente il più grande suicidio di massa del 1978 in Guyana (Sud America). 912 persone decidono di togliersi la vita ingerendo una dose letale di cianuro.

Mi domando, ma credo non solo io, come possa essere riuscito un solo uomo, a convincere così tante persone a subire soprusi, a farsi del male, ad accettare torture ed umiliazioni, fino a condurle alla morte….

Con una grande capacità persuasiva, Jones, è questo il nome del predicatore “assassino”, riusciva a modificare la percezione della realtà dei suoi seguaci, sia con convincenti sermoni, sia isolandoli dal resto della società. Egli utilizzava la cosiddetta tecnica del “piede nella porta” che consisteva nel chiedere inizialmente un piccolo favore, seguito da richieste man mano più grandi e sconvenienti, ma sempre collegate tra loro, fino ad arrivare alla richiesta di suicidio.

Sono cambiati i tempi e gli strumenti, fatto sta che la tecnica è la stessa. Regole di gioco che diventano mano a mano sempre più complesse e che inducono gli stessi giocatori a tessere una tela di cui poi saranno vittima, alterazione della realtà e dei propri confini, isolamento dalla società. Riuscire a creare un distacco sia cognitivo che emotivo dal mondo reale, è lo scopo di questi psicopatici, consentitemi di chiamarli così perché proprio non mi viene in mente un altro termine, che, costruendo false convinzioni, fanno sentire gli amministrati, vittime sacrificali predestinate, quindi di particolare valore all’interno di quella comunità mortale. Ovviamente è tutta una messa in scena per portare a compimento il loro piano diabolico.

Come nel 1978, anche la generazione 2.0 sembra vivere su un doppio binario che, grazie all’invisibilità del web, si isola dal mondo conoscibile, costruendo identità confuse e bollate che non fanno altro che si possa ripetere lo stesso copione di qualche anno fa. Dall’esterno tutto sembra andare bene e nessuno coglie segni di disagio o sofferenza. E allora, l’immagine che prepotente si affaccia nella mia mente è quella di uomini che sopravvivono in bilico tra un paradiso esteriore, fasullo, ed un inferno che si affaccia continuamente adattandosi ad una realtà corrotta, fatta di incertezze, di abusi mentali e spirituali, di pregiudizi ed ostilità.

Narcotizzarsi è l’unico modo che si ha per sopravvivere all’inferno. Alcuni decidono di farlo con l’alcol, altri con le droghe, altri infliggendosi punizioni, altri ancora sentendosi vittime sacrificali: tutto ciò consente di creare mondi e dimensioni che portano fuori dall’inferno, perché il cervello, riproducendo un’immagine di sé sfalsata ed, in qualche modo, allucinata, conduce, inesorabile, all’eutanasia mentale. Ed è proprio approfittando di questo stato che qualche “pifferaio paranoico” si insinua nella vita dei nostri ragazzi, soggiogandoli e convincendoli che l’unico modo che hanno per “avere un posto di valore nel mondo” è proprio quello di non essere al mondo.

Possiamo chiamarli curatori, predicatori, carnefici… il risultato è sempre lo stesso. In tutti questi fenomeni (suicidi di massa, blue whale, bullismo o cyber bullismo) appare evidente, come la vita venga desacralizzata, mentre la morte, virtualizzata, rappresenta l’unico modo per guadagnarsi “l’immortalità”… peccato, però, che mai nessuno sia potuto tornare indietro per vedere come davvero va a finire.

Mondi fasulli che, anziché diventare una sorta di strumento di “evasione”, diventano un altro modo per ricalcare la realtà corrotta.

Soprattutto nel web si assiste alla celebrazione della  morte, che rappresenta, nell’immaginario collettivo degli adolescenti, l’unica forma di comunicazione, l’unico modo di affermare “avete visto? Io esistevo!”.

Il mondo social e i media, d’altro canto, non fanno altro che spettacolarizzare le morti e, affrontando in maniera superficiale il suicidio di un ragazzo che ha giocato alla Blue Whale, fanno breccia nella fragilissima sensibilità degli adolescenti, spingendoli a credere che, l’unica via possibile di affermazione del se’, sia compiere un gesto che tutti possano guardare.

Il mondo degli adolescenti non è criptico, ma vivendo in una fase di passaggio piuttosto burrascosa, se vogliamo mortifera perché devono simbolicamente uccidere il bambino per far nascere l’adulto, si trovano a vivere ansie ed angosce che fanno parte del ciclo di vita. Quando però, questa naturale sfida evolutiva diventa troppo difficile, e anche gli educatori adulti fanno fatica a relazionarsi con questo nuovo Essere misterioso, subire la “fascinazione” dell’omologazione è quasi un passaggio obbligato.

Fa specie pensare che l’adolescente debba riuscire da solo a cogliere l’essenza dell’essere uomo, non come qualcosa che rimane per sempre, ma come colui che, di passaggio, ne lascia comunque traccia. È la società adulta che, ironizzando, ha espropriato la morte del tabù e degli scenari ideologici, religiosi e mitici che le erano propri, rendendola talmente tanto accessibile e quotidiana, che il nostro ruolo è divenuto quello di “contabili di decessi” e inermi spettatori.

Credo fermamente che, il vero tabù dell’educazione di oggi, sia quello di parlare della morte, ricollocandola e ridandole la giusta centralità dimensionale, perché il morire non continui ad essere concepito come una macabra affermazione del senso della vita, ma come un momento che va rispettato in tutta la sua sacralità.

Siamo riusciti ad erigere una società che si basa sulla potenza di gesti umani violenti, quale unica modalità per comunicare, inscrivendo il male di vivere nelle nostre abitudini quotidiane. Immobili ed inermi, autorizziamo che la morte, gli assassini e i suicidi entrino e la facciano da padroni nelle nostre case. I nostri ragazzi, fragili e scricchiolanti, privati così di radici autentiche, giungono, inconsciamente, alla conclusione che tutto è male e se tutto è male, forse l’unico modo per avere il bene, è nel veder morire e nel dare la morte.

La società adulta deve sentirsi colpevole perché ha depauperato i ragazzi e le ragazze di sogni, speranze, della voglia di ribellarsi e di contestare, incitandoli all’omologazione acritica ed all’appiattimento del senso della vita, in cui diversità e sconfitte non devono essere percepite come segni di inadeguatezza, ma come parti di un bricolage, necessari, affinchè si possa strutturare un individuo ed un adulto sano.

La ricerca della messa in scena della morte, come quel ragazzo che si reca sui binari mentre il treno sta per arrivare, non sono altro che tragici racconti di ciò che ha creato l’organizzazione sociale. La Blue Whale attecchisce perché trova terreno fertile nei ragazzi che sono già abituati alle rappresentazioni  violente, e vivere esperienze che li porta a superare i propri limiti e confini li avvince, scatenando energie e pulsioni insospettate.

Emergenza, così la chiamiamo…. Nel dizionario emergenza viene definita come circostanza imprevista, ma credo davvero che la Blue Whale, il cyberbullismo e tanti altri fenomeni che catturano l’attenzione dei nostri giovani, non siano altro che la tentacolare rappresentazione di tutto ciò a cui li abbiamo mal – educati, privandoli di quegli spazi e di quei luoghi, in grado di poter dare a quei “frammenti di vita”, senso, originalità e dimensioni identitarie.

Aiutiamoli a crescere perché la potenza dei gesti umani, in questo mondo, ha ancora un grandissimo valore.

 

A cura di Giuseppina Filieri – Vicepresidente Fondazione Asso.Safe

Obbligo di partecipazione ai programmi di formazione ed addestramento | Corso Sicurezza Lavoro Treviglio

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Obbligo di partecipazione ai programmi di formazione ed addestramento

Corso Sicurezza Lavoro Treviglio

Il Decreto Legislativo n. 81 del 2008 all’articolo 20 – Obblighi dei lavoratori – non presenta novità sostanziali rispetto all’articolo 5 dell’abrogato Decreto Legislativo n. 626 del 1994, fatta salva l’esplicitazione alla lettera h) dell’obbligo (prima implicito) del lavoratore di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.

Nell’elencazione degli obblighi si dà rilevanza alla collaborazione prevenzionale: i lavoratori devono contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 20, c. 2, lett. a).

Il D. Lgs. 81/2008 pone in effetti al centro della strategia prevenzionistica l’obbligo formativo, informativo e di addestramento; il D. Lgs. 106/2009 ha potenziato tali obblighi in modo incisivo, definendone analiticamente contenuti e modalità e individuando negli accordi Stato-Regioni lo strumento di attuazione completa del dettato normativo.

L’articolo 59 dello stesso D. Lgs. 81/2008 riporta le sanzioni previste per i lavoratori in caso di violazione dell’art. 20: se il lavoratore non partecipa ai programmi di formazione organizzati dal datore di lavoro rischia la sanzione penale dell’arresto fino a un mese o l’ammenda da 219,20 a 657,60 euro.

Un concetto importante enunciato da autorevoli fonti è che le norme di sicurezza dettate a tutela dell’integrità fisica del lavoratore vanno attuate anche contro la volontà del lavoratore stesso, sicché risponde della loro violazione il datore di lavoro che non esplichi la sorveglianza necessaria alla rigorosa osservanza delle norme medesime (Cassazione penale, sez. V, 10/10/1978, Perani e altro). E ciò in base al “più generale dovere di diligenza che il prestatore di lavoro deve osservare nello svolgimento delle mansioni, adeguandosi alle disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai suoi collaboratori (art. 2104 Codice Civile)”.

 

Articolo 20 . Obblighi dei lavoratori

  1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
  2. I lavoratori devono in particolare:
  3. a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  4. b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
  5. c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza;
  6. d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
  7. e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
  8. f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
  9. g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
  10. h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
  11. i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.
  12. I lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.

Articolo 59 . Sanzioni per i lavoratori

  1. I lavoratori sono puniti:
  2. a) con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 219,20 a 657,60 euro per la violazione degli articoli 20, comma 2, lettere b), c), d), e), f), g), h) e i), e 43, comma 3, primo periodo;
  3. b) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 54,80 a 328,80 euro per la violazione dell’articolo 20 comma 3.

 

Solo la coordinazione tra mezzi e uomini può limitare i danni in caso di incendio | Corso Addetto Antincendio Bergamo

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Solo la coordinazione tra mezzi e uomini può limitare i danni in caso di incendio

Corso Addetto Antincendio Bergamo

Nel corso degli ultimi 20 anni le opere relative all’incremento dei livelli di sicurezza antincendio hanno avuto, nel nostro paese, un netto miglioramento, grazie alla maggior conoscenza diffusa, alle procedure più dedicate alla dimostrazione delle prestazioni e, più recentemente, all’entrata in vigore del DPR 151.

La gestione della sicurezza in genere e della sicurezza antincendio in particolare dovrà adesso assumere importanza via via maggiore, con il crescere la consapevolezza, negli operatori, della sua funzione essenziale per il conseguimento di un accettabile livello di sicurezza.

Negli anni scorsi un’intensa attività è stata dedicata, da tutti gli operatori, al miglioramento del processo di realizzazione di quelle che possiamo definire come “le opere” finalizzate al conseguimento di un certo livello di sicurezza antincendio di un insediamento. Con il termine opere intendiamo le realizzazioni umane in generale e quindi esse includono le strutture, le finiture, gli elementi di separazione e compartimentazione, ma anche gli impianti ed i sistemi di controllo ed informazione in genere, aventi finalità di miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio. Non esistono più realizzazioni in questo campo che non siano svolte “in osservanza” ad una normativa tecnica riconosciuta (nazionale, europea od internazionale che sia), non si pone il problema della messa in opera di una struttura o di un impianto “ad muzzum” come prima accadeva, e soprattutto le opere sono tutte corredate di documentazioni e certificazioni di rispondenza o conformità la cui diffusione è ormai generalizzata.

Certo si dirà, questo è vero in un mondo ideale, perché ancora oggi in tanti casi la ricerca della “famigerata documentazione“ per la presentazione della SCIA, ad esempio, può rappresentare per molti professionisti del settore antincendio un percorso lungo ed irto di ostacoli. Ma quello che si vuole dire è che la consapevolezza della necessità di aderenza ad una norma tecnica riconosciuta nella realizzazione e la necessità di documentare e certificare quello che si realizza è ormai condivisa, sebbene poi ci siano quelli che non lo fanno, pensando così di essere più “bravi” degli altri, come purtroppo accade sin troppo spesso per il rispetto delle regole nel nostro paese.

Anche a livello di controllo, le nostre istituzioni rappresentate in questo campo dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, hanno fatto dei notevoli passi avanti e la verifica delle opere tramite la verifica delle documentazioni ad esse relative, è diventata più efficace e puntuale, ponendo sempre più quelli “bravi” di cui si diceva prima, nella condizione di doversi ricredere circa la loro presunta bravura.

Quello che vogliamo dire è che, se pure con tutti i difetti  propri della nostra realtà tecnica e professionale, la situazione in materia di realizzazioni finalizzate al miglioramento della sicurezza antincendio ha fatto passi avanti notevoli e si sono poste le basi per un miglioramento continuo della qualità delle realizzazioni man mano che la consapevolezza e la preparazione degli operatori migliorerà.

Vorremmo poter dire che la stessa consapevolezza sul fatto  che la sicurezza contro l’incendio e contro i maggiori eventi catastrofali in genere si gioca soprattutto sulle modalità di gestione si sia diffusa analogamente fra gli operatori e fra le autorità che di questo si occupano, ma penso che quest’affermazione sia meno sostenibile al momento.

Dovrebbe esistere, soprattutto negli utenti, la consapevolezza che gli incendi che producono i danni maggiori sono quelli che si verificano in concomitanza con tutta una serie di condizioni sfavorevoli, che non solo non contribuiscono a ridurre la possibilità che l’incendio si verifichi, ma soprattutto impediscono ai sistemi predisposti per il suo controllo di operare correttamente, trasformando un evento che potrebbe risolversi in un successo dei sistemi antincendio e delle squadre di emergenza in un evento a grande impatto catastrofico.

Gli esempi che si registrano ormai sempre più frequentemente di grandi calamità naturali dovute a eventi atmosferici sempre più estremi insegnano come solo un’attenta attività di monitoraggio delle condizioni “al contorno” possa aiutare a ridurre le conseguenze di eventi che non è nelle nostre facoltà evitare in alcun modo.

La ratio di questa impostazione richiede uno sforzo che potremmo definire “culturale” nel nostro paese, con l’affermazione che non è tanto o solo l’incendio che si deve prevenire, ma sono soprattutto i sistemi e l’organizzazione in grado di contrastarne lo sviluppo e la propagazione che devono essere efficienti ed efficaci in modo da far sì che l’eventuale incendio, quand’anche si verifichi, possa essere controllato e ridotto nelle sue conseguenze ad un livello accettabile per l’attività in esame.

È questa un’impostazione che difficilmente riesce a fare breccia nelle nostre consuetudini sempre interessate  a ricercare soprattutto le cause che hanno dato luogo all’evento, anche con grande dispendio di energie, invece che ricercare i motivi per cui quell’evento, per il controllo del quale erano con ogni probabilità, stati predisposti grandi mezzi di contenimento e controllo, ha potuto svilupparsi senza essere né limitato né controllato.

Nella nostra cultura la ricerca delle cause serve a dare motivazione all’accaduto, il cui mancato controllo è, come  dire, “…una cosa che succede!”; nella cultura tipicamente calvinista delle società anglosassoni l’incendio che avviene fa semplicemente quello che si suppone che faccia; devono essere i sistemi di controllo che devono operare correttamente! È come dire che noi cerchiamo l’impianto elettrico guasto o la cicca di sigaretta dell’anonimo passante quando analizziamo un incendio avvenuto, gli anglosassoni cercano soprattutto il progettista dell’impianto sprinkler, ove presente, o il costruttore del muro tagliafuoco, per capire se c’era qualcosa di sbagliato nei sistemi di controllo che non hanno fatto il loro dovere.

Le misure preventive a livello di organizzazione.

La prevenzione incendi, e la prevenzione dei danni in genere, è sempre fatta da misure preventive, atte ad evitare l’evento, e misure protettive, atte a contenerne gli effetti. Sulle misure di protezione ha tradizionalmente fatto la parte del leone l’impiantistica e le modalità di costruzione, con installazione di impianti di rilevazione ed allarme e di lotta  contro l’incendio e con la costruzione di strutture di sostanziale resistenza in caso d’incendio.

Ben presto però si è potuto constatare che anche le misure di protezione più sofisticate richiedono un notevole sforzo organizzativo, perché possano sortire il loro effetto di controllo; le misure organizzative vanno infatti dalla immediata gestione dei sistemi di controllo, nel momento in cui essi devono entrare in funzione, alla preventiva manutenzione e verifica dei sistemi stessi nelle fasi in cui non devono operare. La questione della disponibilità dei sistemi antincendio e dei sistemi di sicurezza in genere, è stata più volte trattata, quando si parla di manutenzione dei sistemi di sicurezza, ed è il mantenimento della disponibilità a valori il più possibile prossimi all’unità che viene richiesto per gran parte di essi.

Ma non si deve pensare che l’installazione di misure di protezione attive e passive a regola d’arte e la loro regolare manutenzione siano tutto quanto richiesto per la massimizzazione della probabilità che i suddetti sistemi operino bene in caso di evento accidentale dannoso.

Vi è poi anche una gestione “quotidiana” dell’organizzazione, che deve essere tenuta in conto, con una serie di variabili anche minori, ma che possono avere comunque un grande effetto, che devono essere monitorate per avere la massima prestazione attesa dai sistemi di sicurezza. E vi è soprattutto  la gestione dei sistemi in emergenza che ne può esaltare le prestazioni, se corretta, o vanificarne la funzione se sbagliata o intempestiva.

E si badi, qui non si parla di squadre di emergenza attrezzate per la lotta contro l’incendio anche nelle condizioni più difficili; la squadra di emergenza numerosa ed in grado di intervenire su un effettivo incendio oltre le primissime  fasi è un tipo di organizzazione che solo alcune realtà di grandi dimensioni e complessità si possono permettere. No, noi qui parliamo dell’organizzazione minima che qualsiasi insediamento deve predisporre, specie in tutti quei casi in cui si ha presenza di pubblico, come negli alberghi, nei luoghi espositivi, nei locali di spettacolo, nei negozi e nei grandi magazzini in genere, ecc…

Si tratta di un’organizzazione minima che deve saper fare  due cose essenziali:

  • Guidare i presenti verso le uscite, assistendo chi ne avesse eventualmente bisogno;
  • Governare i sistemi di sicurezza presenti fino all’arrivo e durante l’azione dei vigili del fuoco professionali che intervengono, nell’arco di pochi minuti all’evento.

Guidare i presenti verso le uscite rimane certamente la funzione più importante, perché deve svolgersi nei primissimi minuti, e quindi spesso ben prima dell’arrivo dei VVF. È infatti risaputo che le persone presenti in un’attività generica in veste di “persone sveglie non a conoscenza dei luoghi” o peggio ancora di “persone che possono dormire, non a conoscenza dei luoghi” come abbiamo imparato a classificare le persone secondo il Codice di Prevenzione Incendi, non si avviano verso le uscite di emergenza a meno di essere così istruite dal personale allo scopo formato – almeno fino a che le condizioni di sicurezza non precipitano… ma a quel punto è probabilmente troppo tardi! E    quindi il primo e più importante organismo di emergenza da costituire e formare è la squadra di assistenza all’esodo degli occupanti, tarata ovviamente sulle caratteristiche dell’insediamento e della tipologia di persone ivi presenti.

La gestione dei sistemi di sicurezza potrebbe essere considerata di minore importanza, e forse lo è in quanto ha a che fare con la salvaguardia principalmente dell’insediamento stesso più che delle persone presenti. Ma la funzione è importante in ogni caso e deve essere predisposta per tempo perché altrimenti anche l’intervento dei VVF professionali non potrà essere così efficace come potrebbe. Si intende per gestione dei sistemi di sicurezza tutto quello che va dal momento in cui si attiva un allarme, al momento in cui l’emergenza è dichiarata finita! E comprende il funzionamento dei sistemi antincendio in genere, la conoscenza dei sistemi di interblocco e sgancio eventualmente presenti (sgancio energia, blocco ventilazioni, ecc…), l’avvio di eventuali sistemi  accessori di sicurezza quali i sistemi di ventilazione meccanica dei fumi, l’apertura o meno di eventuali sistemi di evacuazione di fumo in maniera manuale, od anche solo l’apertura o chiusura di porte e finestre, ove necessario, la conoscenza dei luoghi che trasforma la quadra di emergenza negli “occhi” dei pompieri, che a quel punto si possono muovere molto più celermente e con sicurezza nell’insediamento, ottenendo risultati ben migliori, ecc…

È chiaro che le suddette attività sono importanti, ma dovrebbe essere altrettanto chiaro che esse non possono essere avviate all’occorrenza, ma devono essere organizzate e costantemente condotte e verificate per poter sperare che siano efficaci nel momento, per fortuna raro del bisogno! Se no facciamo come quel signore che, alla domanda sul perché lui non metteva la cintura di sicurezza in macchina, rispose che l’avrebbe messa subito, in caso di necessità!

A cura di Luciano Nigro – Presidente di Eurofen