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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano. | DVR Bergamo

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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano.

DVR Bergamo

Il polmone rappresenta l’organo più esposto ai tossici professionali costituendo inoltre la principale via di assorbimento di molte sostanze aerodisperse in ambito lavorativo.

Per capire la ragione dell’importanza dell’apparato respiratorio in ambito lavorativo basti pensare che i nostri polmoni sono costituiti da oltre 120.000 alveoli (piccole “sacchette” dove l’aria e le sostanze tossiche entrano in contatto con i capillari) che hanno una superficie interna complessiva di circa 70 mq, paragonabile a quella di un appartamento di medie dimensioni.

Questa enorme superficie di scambi fa sì che ogni tossico inalato possa essere assorbito nel sangue del lavoratore.

Ogni individuo inoltre effettua circa 17.000 atti respiratori al giorno (se è a riposo) e per tanto il volume d’aria scambiato con l’ambiente esterno giornalmente è di 8.000–20.000 litri.

Alla luce di quanto detto è evidente che ogni agente tossico presente in ambiente lavorato può determinare effetti a carico dell’apparato respiratorio e da questo andare ad interessare anche altri organi per effetto dell’assorbimento attraverso il sangue.

L’esposizione lavorativa può essere causa di una vasta gamma di malattie professionali tra le quali bronchite acuta e cronica da polveri, gas e fumi tossici, fibrosi polmonari da carbone, silice ed amianto, asma professionale (ad esempio da isocianati o polveri di cereali), malattie da iper sensibilità (polmone del contadino da inalazione di spore fungine presenti nel fieno), infezioni (ad esempio la tubercolosi) ed infine i tristemente noti tumori professionali del polmone o delle pleure (mesotelioma pleurico).

In particolare quest’ultimo assume grande rilevanza in quanto trattasi di neoplasia altamente maligna e gravata da una elevata mortalità e la cui incidenza nella popolazione generale è in aumento nonostante il bando nazionale dell’amianto (fuori produzione dal 1992) per via della lunga latenza di insorgenza (il tumore può insorgere anche a 40 anni dall’esposizione).

Tra le altre malattie merita attenzione la bronchite cronica (e l’enfisema) che può manifestarsi nei saldatori che lavorano in assenza di dispositivi di protezione (aspiratori) per effetto dell’inalazione di ossidi di metallo, la bronchite degli esposti a polveri di cemento che può evidenziarsi tra i lavoratori dei cementifici e nel comparto dell’edilizia e l’asma professionale.

Quest’ultima rappresenta una patologia emergente e spesso non diagnosticata in quanto il medico di famiglia e lo pneumologo solitamente non indagano la storia lavorativa dei soggetti visitati.

Dal momento che le malattie polmonari da lavoro possono essere anche molto gravi ed a volte letali è necessario agire in via preventiva, mantenendo salubre l’aria dell’ambiente di lavoro ed utilizzando gli appositi dispositivi di protezione individuale (mascherine/facciali filtranti adeguati alla dimensione delle particelle presenti).

È inoltre fondamentale effettuare una diagnosi precoce di eventuali malattie appena insorte per poter allontanare il lavoratore dall’esposizione nociva; a tal fine il medico competente dell’azienda effettua una visita medica mirata all’apparato respiratorio e integra l’indagine mediante la spirometria.

L’esame spirometrico si esegue con l’ausilio di uno strumento chiamato spirometro.

L’indagine è semplice, per nulla invasiva o fastidiosa ma richiede una completa collaborazione da parte del lavoratore che deve eseguire delle manovre respiratorie mentre è collegato con la bocca allo spirometro. Essa misura la funzione dei polmoni e dei bronchi in maniera semplice ed accurata.

L’indagine clinica in casi specifici può essere integrata da una radiografia del torace o (più modernamente) da una TC del torace ad alta risoluzione. Quest’ultimo esame, comportando una dose di radiazioni più elevata può essere prescritto dal medico solo in casi particolari.

Il lavoratore deve segnalare al medico competente ogni eventuale sintomo (tosse, difficoltà respiratoria, affanno) insorto in ambiente lavorativo affinché questi possa indagarne il motivo.

Ovviamente è tassativo che particolarmente coloro che lavorano esposti a tossici respiratori si astengano dal fumo di sigaretta.

Per quanto riguarda il cuore e l’apparato cardiovascolare, questo può essere il bersaglio di agenti professionali (solventi, metalli) in grado di determinare aritmie, ischemia miocardica e scompenso cardiaco. Tali effetti alle attuali esposizioni lavorative sono però divenuti fortunatamente rari.

Più comunemente può avvenire che una condizione di salute personale (ad esempio un infarto) pongano problemi di idoneità allo svolgimento di una determinata mansione che comporta ad esempio sforzi gravosi (edilizia o magazzinaggio).

In tali casi il medico competente richiederà una serie di esami (elettrocardiogramma, prova da sforzo ecocardiogramma) che sono utili a capire quale è il livello di sforzo che il lavoratore può compiere senza rischio.

Anche e soprattutto in ambito cardiovascolare è molto importante prestare attenzione alla riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare mediante riduzione dei livelli di colesterolo, controllo della pressione arteriosa, pratica di regolare attività fisica, abolizione del fumo di sigaretta.

Dott. Luca Coppeta, Professore Ordinario all’Università degli Studi di Tor Vergata

Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti | Valutazione Rischio Chimico

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Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti

Valutazione Rischio Chimico

Rutilio Segatori è nato a Milano nel 1963 e si è diplomato come perito industriale nel 1983. Per motivi famigliari si trasferisce in provincia di Cremona nel 1985 e qui, grazie alla patente di caldaista, ha iniziato a lavorare come manutentore in quest’ambito, come dipendente del comune di Robecco D’Oglio.

Fino al 1998, oltre alla manutenzione degli stabili e del depuratore, ho utilizzato sia diserbanti che pesticidi, a seconda dell’area da pulire o della struttura comunale da preservare. I diserbanti, distribuiti sui viali di ghiaia, erano utilizzati per mantenere “pulite” le aree verdi e i parchi, i prodotti granulari a lenta cessione venivano utilizzati sia nei cimiteri affinchè si potesse avere un maggior tempo di rilascio che sulle strade per mantenere puliti bordi e marciapiedi. Poi utilizzavo gli insetticidi contro mosche e zanzare sia presso la casa di riposo comunale che nelle scuole.

L’esposizione a diserbanti e a pesticidi, mi ha inevitabilmente causato dei problemi di salute. Ho consultato diversi medici, ma è solo grazie al dott. Luigi Mancini che siamo venuti a capo del problema: ero affetto da un blocco nel metabolismo dovuto all’atrazina e metabenzene. Ricordo che dissi al dott. Mancini che il problema emerso non poteva essere dovuto all’uso di diserbanti e pesticidi, in quanto noi operai, non solo eravamo in possesso delle abilitazioni necessarie per poterli usare (i patentini), ma che prima di entrare in contatto con dette sostanze, quindi in piena coscienza di ciò a cui ci esponevamo, indossavamo le protezioni necessarie e prendevamo le dovute precauzioni. Per queste ragioni proprio non capivo! Come potevo aver assorbito i principi attivi dei prodotti che utilizzavo? Il dottore mi fece notare una cosa molto semplice: “se non cresce l’erba e non ci sono insetti, vuol dire che il prodotto è presente ed agisce”. Quindi, noi operai, andando a lavorare in questi luoghi e sollevando le polveri o addirittura triturando l’erba secca, inevitabilmente respiravamo il prodotto, introducendolo così nel nostro corpo. Ero intossicato! Con l’aiuto dell’omeopatia impiegai un anno per liberarmi dell’atrazina e quasi due, per debellare il metabenzene. Proprio in quel periodo questi due principi attivi venivano eliminati dal mercato a favore del glifosate. A detta dei venditori del settore, si trattava di un prodotto rivoluzionario, a basso costo ed efficace. Sistemico perchè colpiva la radice delle erbe infestanti e selettivo perché lavorava solo sul DNA delle piante, risultando così innocuo per l’uomo. A distanza di 25 anni dalla sua comparsa in commercio, su larga scala, sta venendo a galla che si tratta di un prodotto altamente nocivo per l’uomo. I residui di glifosato infatti rimangono per lungo tempo nelle piante, ma soprattutto in quelle di mais e di grano. I trinciati di mais vengono mangiati dalle mucche che poi producono latte, il grano viene trasformato in farina: ecco spiegato perché molti bambini soffrono di intolleranze alimentari (generalmente al latte vaccino e alla pasta o ai prodotti derivati dalle farine). Ed il clima di certo non aiuta, anzi rende tutto più difficoltoso. Se pensiamo all’estate appena trascorsa, alla siccità causata dall’assenza di pioggia, non possiamo far altro che riflettere sull’alta concentrazione delle polveri che si sono disperse in aria, anche a causa di un utilizzo massivo e massiccio di macchine e mezzi agricoli sempre più veloci per le lavorazioni del terreno. I dati del 2015 dell’International Agency For Research On Cancer classificano i GLIFOSATE come cancerogeni sia per gli esseri umani che per gli animali (basti pensare quanti cani, che portiamo a fare le passeggiate nei campi e nel verde, soffrono di tumori perché annusano e toccano con il muso il terreno), mentre l’ESFA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) dichiara che il pesticida non è poi così pericoloso, non classificandolo come cancerogeno, ma che un uso improprio potrebbe causare dei danni agli occhi e potrebbe risultare tossico per gli ambienti acquatici. Peccato che queste informazioni si basino sui dati forniti dall’azienda che produce l’erbicida.

Di diverso parere sono i medici per l’ambiente ISDE (International Society of Doctors for the Environment), un’associazione non governativa che riunisce medici di varia nazionalità che mettono come problemi di tipo ecologico possono essere correlate a problematiche sanitarie. I medici di quest’ associazione dichiarano che una prolungata esposizione all’erbicida produce gravi malattie, sia che si tratti di agricoltori che vengono a contatto diretto con l’erbicida, sia che si tratti di consumatori che assumono alimenti trattati con glifosate. A causa di ciò, malattie come la SLA o il PARCHINSON sono in aumento. Assistiamo così a malesseri generali sia ai danni di alcuni calciatori che vanno a giocare sui prati di calcio trattati da erbicidi, o ad agricoltori che, durante il periodo di raccolta, soprattutto dei trinciati, accusano malattie più o meno gravi, che si accentuano maggiormente, quando sono a stretto contatto con il prodotto. Anche le persone che hanno la loro casa confinante con campi coltivati soprattutto a mais, accusano malori o malesseri, più o meno gravi. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) mette in guardia dagli effetti dannosi dei pesticidi e degli erbicidi, dichiarando che sono causa di morte per circa 200.000 persone al mondo. La Commissione Europea è chiamata ad esprimersi sul prolungamento o la revoca della licenza sull’uso del glifosate. Solo Francia, Italia, Austria, Lussemburgo, Belgio sono contrari all’uso del glifosate, mentre gli altri stati europei no. Si parla di una proroga di altri tre anni prima che venga presa una decisione definitiva. In Italia, alcuni venditori non danno più di uno o due litri al privato, alcuni comuni hanno vietato l’utilizzo di detti diserbi nelle aree urbane. In alcune regioni bisogna mantenere distanze di 20 metri dai confini del terreno, strade e fossi, in cui viene distribuito il prodotto. Alcune incentivano procedimenti alternativi come vapore e schiumogeno a base di prodotti naturali, oppure la pulizia meccanica delle erbe. Sembra quasi che qualcosa si muova. Non faccio parte né dell’ISDE, né dell’OMS, ma posso raccontarvi la storia dei miei amici/colleghi. Luigi è morto 6 anni fa con il fegato sciolto da un tumore e faceva il seppellitore. Roberto, che andrà in pensione a fine anno, 9 anni fa si sottoponeva ad un intervento di esportazione della milza, perché con un tumore. Luciano 7 anni fa, dopo appena una settimana dal suo pensionamento, riscontrava dai medici di avere gravi problemi alle valvole cardiache. Sergio, andato in pensione 8 anni fa, ulcera perforante e aneurisma al cuore. Stefano, andato in pensione 20 anni fa, aveva dei grossi problemi ai reni: sono già 7 anni che è morto. Saranno coincidenze, ma 5 operai su 6 hanno avuto problemi seri. Io sono riuscito a curami e sono riuscito ad eliminare queste tossine che si accumulano, in primis, nell’intestino, poi nel fegato, nel pancreas e nella milza. Quando si accumulano nella milza, che è il sacchetto dell’aspirapolvere del nostro corpo, e quindi si intasa, compaiono dolori articolari e tendiniti. Mi sono molto documentato in primo luogo perché dovevo disintossicarmi, ma soprattutto per capire gli effetti dannosi delle tossine aero disperse e contrastarne gli effetti sul mio corpo. Ho letto molti testi e ho cominciato a tenere un diario alimentare quotidiano: in questo modo mi sono fatto un’idea di quali sono i cibi che al mio organismo fanno male perché trattiene i veleni e ciò che fa bene e aiuta a smaltirli (come per esempio la malva, il rosmarino, il tarassaco, l’argilla) e quello che mi fa male (come il lievito, la farina, i formaggi ecc…). Ho impiegato vent’anni nello studio al contrasto ai veleni che ci circondano e per me è molto difficile raccontarlo in poche righe. Ad esempio, le piogge di questi ultimi giorni, sono benefiche perché, se le persone che vi circondano hanno iniziato a stare meglio, è perché si è abbassato il livello di polveri avvelenate disperse nell’aria che respiriamo. Una cosa è certa però: non ci sono pezzi d’aria in cui non si disperdano questi veleni, pertanto anche coloro che li progettano, li producono e li vendono li respirano. Questo per far capire come questi veleni che vanno nell’aria li respiriamo tutti, anche quelli che li producono e li vendono.

Mi auguro si cominci realmente a fare qualcosa, affinché, la salute, DIVENTI UN DIRITTO PER TUTTI.

 

Per. Ind. Rutilio Segatori, Dipendente del comune di Robecco D’Oglio

L’importanza della formazione per gli istituti di credito| Corso formazione Bergamo

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L’importanza della formazione per gli istituti di credito

Corso formazione Bergamo

La corretta gestione degli obblighi formativi per quanto riguarda la prevenzione e protezione dei lavoratori ha assunto negli anni una valenza sempre maggiore poiché, al di là degli aspetti sanzionatori, rappresenta una necessità sociale per ogni azienda.

La sensibilità sul tema della sicurezza risente della percezione che i dipendenti hanno del pericolo durante lo svolgimento della propria prestazione lavorativa ed in un ambiente ”sicuro” come un ufficio o una filiale bancaria tale sensibilità risulta generalmente bassa.

Il cosiddetto “lavoro d’ufficio” non espone a rischi rilevanti, per cui le difficoltà maggiori sono rappresentate dalla polarizzazione delle risorse, raggruppate in unità relativamente piccole, su un territorio molto vasto; ciò comporta spesso di ritrovarsi ad inseguire situazioni discoperture formative, generate dalle prioritarie esigenze commerciali.

I professionisti della Safety si trovano quindi a dover coadiuvare i Datori di Lavoro nel garantire il rispetto degli obblighi normativi in una situazione commerciale di grande movimentazione del personale e con una percezione di necessità relativamente bassa per l’assenza, fortunatamente, di infortuni rilevanti sui luoghi di lavoro.

L’anacronismo è che una centrale nucleare, un’agenzia bancaria ed il fruttivendolo sotto casa devono ottemperare, con piccole differenze, alla stessa normativa in merito alla salute e sicurezza su luoghi di lavoro decisamente diversi.

Il Gruppo Banca Carige (che comprende Banca Carige, Banca del Monte di Lucca, Banca Cesare Ponti, Creditis e Centro Fiduciario) ha sempre affrontato in maniera molto decisa la tematica della formazione “safety” ed infatti, numeri alla mano, circa il 50% del personale attualmente in servizio risulta formato sia all’antincendio che al primo soccorso.

Questo sforzo è reso necessario dall’impostazione che ci siamo dati: in ogni unità lavorativa devono essere presenti almeno due addetti correttamente formati per ogni emergenza ed un Preposto alla sicurezza generale.

Tutti i Direttori di filiale o referenti “Spoke” ed i Responsabili d’ufficio sono stati infatti individuati nel ruolo di Preposti e conseguentemente formati, i Dirigenti svolgono la loro mansione a seguito di una nomina di Dirigenti per la Sicurezza e della relativa formazione, si aggiungono gli RLS e nell’ambito di una gestione interna del Servizio H&S anche due Responsabili e tutti gli Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione.

Tutte queste figure sono ovviamente sottoposte agli aggiornamenti di legge previsti e vengono periodicamente richiamate facendo riferimento ad uno scadenziario emanazione diretta dei loro curricula formativi.

Nel corso degli anni, seppur come anticipato il lavoro d’ufficio non sia certamente fra i più rischiosi, abbiamo potuto verificare sul campo l’importanza della formazione erogata a tutti i livelli.

Essendo l’Ufficio Sicurezza e Monitoraggio Frodi/Reparto Safety il referente per il Sistema di Gestione Salute e Sicurezza, abbiamo avuto modo di sentire crescere la sensibilità dei colleghi sui temi della prevenzione ed in occasione degli Audit Interni presso i luoghi di lavoro constatiamo ogni anno il maggior livello di attenzione con cui sempre più dipendenti approcciano la propria postazione e tutelano l’ordine e la pulizia.

Puntuali arrivano, anche al nostro Ufficio Tecnico, le segnalazioni che riguardano condizioni di microclima non adeguato, ergonomie delle postazioni che non siano più consone, vie di esodo ingombre o malfunzionamenti nelle uscite di sicurezza, ritardi manutentivi nei presidi antincendio fino ai cavi dei personal computer fascettati in maniera non idonea.

Risulta evidente come nel corso degli anni, sia il miglioramento della proposta formativa che, nel nostro caso, l’implementazione di un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza abbiano portato ad una sempre maggiore consapevolezza dei rischi celati nei luoghi di lavoro ed hanno chiarito i comportamenti da tenere e le responsabilità di ognuno, a seconda del ruolo ricoperto in azienda.

La consapevolezza di poter intervenire per aiutare chiunque dovesse essere in difficoltà si è manifestata anche nei confronti della clientela: abbiamo avuto diverse segnalazioni di corrette gestioni di infortuni all’interno delle nostre agenzie, fortunatamente sempre riguardo incidenti di relativa entità (per esempio schiacciamenti di arti nelle bussole motorizzate, scivolamenti, svenimenti).

Un aspetto formativo non trascurabile, che viene ancora erogato da personale interno, è quello che prepara i colleghi all’evento rapina: è sempre complesso trasmettere in aula i principi con cui dovrebbe essere affrontato un evento tanto traumatico ma abbiamo riscontrato dalla gestione degli eventi criminosi, di cui purtroppo siamo stati oggetto, che mediamente i colleghi sono più preparati e quindi anche più pronti, avendo affrontato la situazione acuta nella maniera migliore, a metabolizzare i sentimenti post evento.

E’ facile immaginare quanto possa essere complessa l’erogazione di tutto questo corpus formativo, che si fa ad aggiungere ad altre necessità di tipo più commerciale ed operativo, nei confronti dei dipendenti di un’azienda ramificata come un gruppo bancario che ha praticamente tutti gli uffici di sede (compreso il centro formativo) in una sola città.

Non tutti i corsi, mi permetto di aggiungere fortunatamente, possono essere erogati in modalità e-learning e spesso i colleghi non riescono a partecipare per necessità operative: le filiali non possono essere chiuse!

Con il periodo di contrazione degli organici che tutti gli istituti stanno affrontando negli ultimi anni è facile immaginare come anche l’assenza di una risorsa possa creare nocumento alla corretta operatività di un’unità.

In questo contesto di difficoltà organizzative e necessità normative si va ad inquadrare la collaborazione nata con la Fondazione Asso.Safe che ci permette di poter erogare formazione di qualità nelle vicinanze dei luoghi di lavoro in maniera da non dover costringere il collega ad impegnative trasferte, difficili da incastrare nella routine dei compiti lavorativi.

La soluzione ci permette anche di indirizzare i colleghi a classi miste, ovvero composte da persone che svolgono attività differenti da quella bancaria e che quindi portano diversi spunti di approfondimento, aumentando sia il livello di attenzione che arricchendo l’esperienza formativa.

 

A cura dell’Ufficio Tecnico-Sicurezza della Banca Carige

La Fondazione incontra le autoscuole per diffondere la cultura della sicurezza | Corso sicurezza lavoro Bergamo

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La Fondazione incontra le autoscuole per diffondere la cultura della sicurezza

Corso sicurezza lavoro Bergamo

Ancora una volta il messaggio della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro ha avuto modo di essere portato anche verso altri settori che, anche se in maniera diversa, curano la sicurezza delle persone. Il 25 giugno, la Fondazione Asso.Safe, è stata invitata a partecipare ad un convegno organizzato a Padova da Antares, l’Associazione Nazionale Titolari Autoscuole Riunite e Studi, che rappresenta gli interessi dei propri associati nei settori dell’istruzione e formazione dei conducenti, dell’educazione stradale, degli studi di consulenza, delle scuole nautiche, dei centri di revisione dei veicoli ed agenzie infortunistiche.

L’invito ci è pervenuto dal Presidente di ANTARES nonché titolare di un nostro centro convenzionato che da anni collabora con noi, il Sig. Ulisse Cecchin, titolare dell’autoscuola Giove. Il Presidente, considerati gli ottimi risultati conseguiti grazie alla collaborazione con la Fondazione, ci ha “esortati” a divulgare informazioni e conoscenze nel campo della salute e sicurezza sul lavoro durante l’evento.

Come in altre occasioni la Fondazione ha subito accettato l’invito e ha presenziato orgogliosamente a questa nuova occasione di confronto con altre realtà operanti sul territorio nazionale.

Nel caso specifico è stata richiesta la nostra  partecipazione per dare ai presenti, membri di autoscuole di tutta Italia, delucidazioni sulla necessità, imposta dall’accordo della Conferenza Stato-Regioni raggiunto il 22 febbraio 2012, di una specifica abilitazione all’utilizzo delle attrezzature elencate nel comma 4 e 5 dell’articolo 73 del Decreto Legislativo 81/08 da parte degli operatori addetti. Grazie a questo accordo la sicurezza per gli operatori di attrezzature è stato finalmente regolamentato in maniera completa ed esaustiva almeno per quanto concerne i macchinari maggiormente diffusi.

A tale convegno, cui ho partecipato io direttamente quale relatore, in rappresentanza della Fondazione, abbiamo avuto la possibilità di spiegare che l’utilizzo di macchine agricole (trattori e cingoli), carrelli elevatori o delle altre macchine sopra elencate, oltre alla patente, richiede una abilitazione specifica, chiamata “patentino agricolo” che, in realtà, rispecchia la frequenza di un corso sulla sicurezza per la gestione di strumenti di lavoro secondo il Decreto Legislativo 81/08.

Pertanto, a prescindere da chi utilizza la macchina, sia esso un individuo operante in ambito privato (sul proprio terreno, orto, etc), il titolare di un’attività, un coadiuvante familiare, un socio, un dipendente, un lavoratore autonomo, addirittura pensionati, famigliari, collaboratori esterni provenienti da altri settori lavorativi o disoccupati che guidano il trattore o collaborano con un’azienda agricola pur non facendone direttamente parte, il medesimo è obbligato a conseguire tale patentino (è obbligato a conseguirlo anche chi noleggia o prende a prestito un trattore).

Questo per fare in modo che le autoscuole, beneficiando dei servizi messi a disposizione da aziende di primo piano con cui la Fondazione ha stretto una partnership e potendo contare su docenti con esperienza professionale pratica, documentata, almeno triennale, nelle tecniche dell’utilizzazione delle attrezzature di cui trattasi, messi a disposizione da Asso Safe possano avere la possibilità di offrire ai propri clienti, oltre alla consueta patente di guida, i sopra detti patentini speciali, con relativa abilitazione professionale come operatore di attrezzatura speciale.

Il nostro intervento ha suscitato grande interesse nei partecipanti, i quali, numerosi, mi hanno chiesto ulteriori chiarimenti su come poter godere del nostro supporto e conoscere in maniera più dettagliata i singoli servizi che offriamo sia per quanto concerne la formazione elearning, quella che si effettua direttamente online, che quella svolta in aula.

Molte le richieste anche sull’utilizzo della Piattaforma Pratica e sulla possibilità di diventare docenti nel campo della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Ciò a dimostrazione del fatto che, anche in questa occasione, l’interesse nei confronti delle opportunità offerte dalla Fondazione si è dimostrato molto alto. E’ evidente che anche in questo settore sia importante fornire agli operatori i necessari mezzi affinché anch’essi siano portatori della cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro così come loro sono interpreti delle norme che regolano la sicurezza stradale. La diffusione di questa cultura passa anche dalla presenza della Fondazione Asso.Safe in queste occasioni utili per migliorare la consapevolezza e occasione per creare nuovi tipi di collaborazioni che intreccino diversi settori del mondo della sicurezza.

In questo caso sono state le autoscuole i protagonisti del convegno ma anche in altre circostanze si è riscontrata la volontà di offrire ai propri clienti ulteriori servizi, sapendo di poter contare sul sostegno di una realtà e di un network ormai consolidato su tutto il territorio nazionale.

 

A cura di Simone Ascolese – Comitato Scientifico Fondazione Asso.Safe

Intervista di un lavoratore italiano all’estero | Sicurezza lavoro Bergamo

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Intervista di un lavoratore italiano all’estero

Sicurezza lavoro Bergamo

La tutela della sicurezza e della salute del lavoratore italiano all’estero

Si riporta l’esperienza di un lavoratore che da più di 35 anni opera all’estero in ambito metalmeccanico pesante e siderurgico.

La carriera lavorativa ha inizio nel 1978 come aiutante tubista in un’impresa milanese di assemblaggio e posa in opera di tubazioni industriali. Nel 1979 viene assunto, con la qualifica di impiegato tecnico addetto ai cantieri esterni, da una società di Milano del settore metalmeccanico che produce impianti di siderurgia secondaria. Dopo un periodo di prova di 3 mesi al reparto montaggio dell’officina, inizia a seguire lavori su cantieri sia in Italia che all’estero: inizialmente, per circa 5 anni, come meccanico montatore, quindi come capo cantiere di lavori minori per l’ammodernamento e la manutenzione (revamping) di impianti già esistenti. Nel 1989 viene nominato vice capo cantiere in un tubificio in Unione Sovietica; l’anno successivo ottiene la qualifica di capo cantiere in uno stabilimento russo per il montaggio di due linee di presse a stampare, dove collabora dall’inizio dei lavori fino all’accettazione finale dell’impianto da parte del Cliente.

Da allora ha sempre gestito lavori esterni come responsabile di cantiere o responsabile di avviamento impianti, sia in Italia, dove ha lavorato nei maggiori impianti siderurgici del paese (Taranto, Terni, Brescia), sia all’estero: in Turchia, nella Repubblica Popolare Cinese, in Thailandia, in Iran, nei Paesi del Golfo, in Corea del Sud e in India.

Nel 2008 viene assunto da una nuova Azienda, leader mondiale per la fornitura di impianti siderurgici, “in qualità di impiegato categoria Quadro prevista dal CCNL vigente per le aziende metalmeccaniche dell’industria privata, disciplina speciale parte III, con contratto a tempo indeterminato, con mansione di Commissioning Manager”. Contestualmente ha stipulato un Contratto di distacco che ha determinato “la sua funzione di Responsabile Avviamenti” presso un nuovo cantiere.

Nel 2013 ha seguito in Italia un corso di formazione per la sicurezza della durata di 3 giorni (8 ore giornaliere), con rilascio dell’attestato sia per preposto che per dirigente.

Organizzazione dei cantieri all’estero

Si evidenzia che, a seconda del tipo di contratto stipulato, il lavoro di cantiere può essere organizzato come segue:

– “a Supervisione” per quei cantieri in cui il montaggio è a carico del Contraente e dove quindi il Cliente provvede personalmente al montaggio dei macchinari forniti con maestranze locali; la logistica viene garantita dal Cliente finale e così pure la struttura organizzativa. In questo caso il gruppo di cantiere di lavoratori dipendenti dell’impresa italiana ha un suo responsabile della sicurezza, che comunque svolge anche altre mansioni primarie, ma che all’occorrenza sovraintende e garantisce tutti gli aspetti della sicurezza del cantiere. In merito alla gestione della legislazione per lavori in cantieri di questo tipo, viene effettuata un’analisi della legislazione locale prima dell’inizio del cantiere, aggiungendo i requisiti emersi rispetto a quelli italiani sulla lista di controllo legislativa “Salute, Sicurezza ed Ambiente – legal requirement check list”, una norma interna aziendale. La check list viene completata con i requisiti della legge locale dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, oppure dal Safety Manager in cantiere e una volta compilata deve essere condivisa con la Direzione Aziendale. I requisiti della legislazione locale vengono confrontati con i requisiti italiani al fine di verificare quale requisito è più stringente. I requisiti locali sono identificati dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con la collaborazione di consulenti locali, sulla base delle normative locali applicabili. Nel caso di lavoratori assunti localmente saranno applicati i requisiti della normativa locale.

– “Chiavi in Mano” per quei cantieri in cui l’Azienda italiana provvede anche al montaggio, con conseguente responsabilità anche per tale attività. In tal caso (si parla di cantieri che hanno centinaia di lavoratori contrattisti) il cantiere prevede una struttura organizzativa completa così che è previsto un responsabile della sicurezza aziendale. In tale ipotesi, data la natura delle attività svolte dal personale della Contraente, non si richiede di effettuare una specifica analisi di specificità legislativa. Per tale attività sarà comunque applicato il documento interno aziendale “Salute, Sicurezza ed Ambiente”, in linea con i requisiti della normativa italiana in grado di soddisfare anche la normativa locale. Eventuali richieste di legge che differiscano dalla normativa italiana saranno discusse con il Cliente in sede di incontro di coordinamento iniziale opportunamente verbalizzato. Inoltre qualora il Cliente richiedesse di applicare proprie procedure sarà necessaria una preventiva verifica di conformità di tali procedure rispetto a quelle previste dal documento “Salute, Sicurezza ed Ambiente”.

Gestione dei cantieri all’estero

La sicurezza sul lavoro, difatti, sta diventando una questione di primaria importanza in Azienda. La gestione sicurezza dei cantieri, nel caso in esame, fa riferimento ad un ufficio apposito (con sede in Italia) che comprende un team di tre soggetti, con a capo un responsabile, con compito di predisporre e aggiornare la modulistica, nonché organizzare corsi di aggiornamento per il personale operativo di cantiere e i preposti. Talvolta un tecnico di tale ufficio visita personalmente i cantieri svolgendo un’ispezione di qualche giorno, controllando lo stato dell’arte della sicurezza, impartendo suggerimenti e direttive al fine di migliorare l’ambiente e il luogo di lavoro, redigendo un rapporto di efficienza assegnando un corrispondente punteggio. A tale ufficio devono essere inviati periodicamente report, comunicazioni e segnalazioni, nonché le statistiche mensili di cantiere.

Nel cantiere attuale in cui opera il lavoratore intervistato (di tipologia “Chiavi in Mano”, in India) sono presenti circa 500 persone e ci si avvale di un esperto della sicurezza locale, che ha effettuato corsi in Italia, che opera giornalmente tenendo sotto controllo le maestranze e mantiene i rapporti con gli addetti alla sicurezza delle imprese sub-contrattiste. Il lavoratore intervistato, invece, è la figura responsabile del cantiere, riferimento per il Cliente e i fornitori di manodopera, nominato con Contratto di delega dal Dirigente Delegato, con onere di sorvegliare l’applicazione (in loco) delle direttive aziendali in fatto di sicurezza e con “potere di organizzazione, gestione, controllo e di spesa esercitabili a firma singola senza alcun vincolo di indirizzo o ratifica”. In particolare gli è stato conferito il potere: “a) di direzione, organizzazione e controllo delle attività del cantiere; b) di acquisto, manutenzione, riparazione di impianti, macchinari, attrezzature da lavoro, …, beni e prodotti in genere e, comunque, di tutto quanto si riveli necessario al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori nel cantiere nonché la tutela delle persone e delle cose, senza necessità di preventiva autorizzazione e con il potere di impegnare direttamente la spesa e di effettuare il pagamento; c) sospendere, anche solo parzialmente, l’attività lavorativa qualora la stessa avvenga in violazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, o si versi in una situazione di pericolo grave ed immediato per la salute e la sicurezza degli addetti; d) di firma e di rappresentanza della Società, nei limita di spesa indicati.”

Settimanalmente si svolgono riunioni periodiche per la sicurezza, alla presenza di tutti i dipendenti dell’Azienda italiana, della quale si redige verbale. Parallelamente, le maestranze straniere tengono una propria riunione periodica mensile in materia di sicurezza.

Sorveglianza sanitaria

Solo i lavoratori italiani sono sottoposti, nel paese di origine, a sorveglianza sanitaria con cadenza biennale, a mezzo controllo medico generale all’infermeria aziendale o in appositi ambulatori convenzionati. Scopo di queste visite è l’idoneità alla mansione, pertanto viene valutato il buono stato di salute del dipendente a mezzo controllo del peso, schermografia, esame della vista, audiometria, spirometria, prontezza di riflessi, analisi del sangue, delle urine, controllo dello stato psichico e validità vaccini. Nessun lavoratore locale, invece, si sottopone a visita medica, e nessuno è in possesso di specifica idoneità nonostante la “Documentazione di abilitazione di accesso al cantiere” preveda sia per il singolo lavoratore, autonomo o dipendente, che per le ditte lavoratrici un attestato di idoneità tecnica e psico-fisica.

 

Condizioni igienico sanitarie

Le condizioni igienico sanitarie che solitamente si trovano nei cantieri all’estero sono di molto inferiori allo standard europeo. Sovente, all’inizio dei lavori di montaggio degli equipaggiamenti contrattuali ci si trova a cielo aperto con capannoni a costruzione non ultimata, privi di servizi igienici, spogliatoi, illuminazione, docce, acqua potabile e acqua corrente. Tale situazione persiste fintanto che le opere civili non vengono completate, ovvero decorsi alcuni mesi. Per quanto riguarda l’utilizzo delle mense aziendali, le condizioni igieniche, nonché la qualità degli alimenti forniti, incentivano i lavoratori italiani a saltare i pasti, anche se talvolta, non avendo valide alternative si rende necessaria la consumazione di pietanze locali. Anche in questo caso gli stranieri godono di un trattamento privilegiato, tuttavia la qualità del cibo servito è medio-bassa e pure le condizioni igieniche delle cucine non sono adeguate. Il livello igienico e sanitario del posto di lavoro rispecchia in ogni caso quello della nazione, quindi, maggiore è il grado di povertà, più elevato sarà il disagio per il lavoratore europeo. L’infermeria di primo soccorso non è quasi mai presente nelle vicinanze e bisogna solitamente rivolgersi all’ospedale nella città più vicina, a volte a molti chilometri di distanza; per ovviare a tali mancanze, si tiene ben fornita la cassetta di pronto soccorso. Tra tutti i paesi stranieri nei quali ha lavorato, le peggiori condizioni igieniche sanitarie sono state riscontrate in India, Iran, Algeria, Cina; una situazione lievemente migliore invece in Russia, Thailandia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Come già evidenziato, gli stranieri godono sempre di una condizione di favore rispetto agli indigeni, tanto che le medicazioni o visite mediche vengono effettuate con standard migliori. Per quanto riguarda le vaccinazioni richieste per la zona nella quale si lavora, solitamente l’Azienda fornisce indicazioni precise al riguardo. Ad esempio in India, nello stato Jharkhand, è richiesto sia il vaccino anti Epatite A che quello anti-Tifo. Il vaccino anti-tetanico, invece, è obbligatorio per tutti i lavoratori.

Pur non avendo conoscenza delle legislazioni estere in materia di sicurezza, il lavoratore intervistato afferma che la sicurezza sul lavoro va di pari passo con la suddetta classifica relativa alle condizioni sanitarie, dunque agli ultimi posti troviamo India, Iran, Algeria e Cina, mentre ai primi posti ci sono Arabia Saudita e Corea del Sud.

 

Dotazione di DPI

In quasi tutti i paesi visitati l’azienda appaltatrice locale distribuisce ai propri lavoratori solamente l’elmetto, gli occhiali e i tappi per l’udito, raramente il vestiario, mentre i guanti protettivi spesso sono realizzati con materiali inadeguati come semplice stoffa; infine le scarpe antinfortunistiche non vengono fornite per evidenti ragioni economiche. Spesso sui cantieri si vedono lavoratori con l’elmetto ma a piedi nudi. Per i lavoratori italiani se ne fa carico direttamente l’Azienda italiana.

Altra nota dolente nei paesi stranieri riguarda la qualità delle opere provvisionali (ponteggi e protezioni): spesso si tratta di strutture tubolari senza tavole di calpestìo, con semplici correnti come parapetti, così che il lavoratore deve operare poggiando i piedi sui tubi metallici e rimanendo assicurato, nella migliore delle ipotesi, con la sola cintura di sicurezza alla vita. In Cina, in alcuni casi, i ponteggi vengono costruiti con canne robuste in bambù, assemblate con corde di canapa intrecciata.

Gestione degli infortuni

La sicurezza è sicuramente un tema sentito anche nei paesi esteri, tuttavia spesso le informazioni fornite danno un’immagine falsata della realtà. Ad esempio, in Corea del Sud, all’ingresso di ogni capannone di una grossa acciaieria erano esposti i dati inerenti i giorni trascorsi senza infortuni: si rilevava che in più anni non si era verificato alcun incidente! Purtroppo quel numero si riferiva solamente agli infortuni denunciati ufficialmente, in quanto quasi sempre, per una questione di premio assicurativo e di vantaggi (o svantaggi) personali, il lavoratore o la famiglia nei casi di incidenti mortali, preferiscono mantenere il silenzio. Addirittura nei casi di colpa o mancanza personale comprovata, il lavoratore che ha causato l’infortunio deve rispondere personalmente e le sanzioni comminate (a discrezione del datore di lavoro) possono consistere nel pagamento di una multa simbolica ed arrivare fino al licenziamento. In realtà, secondo l’intervistato, nei cantieri in cui ha lavorato, ogni anno circa il 3% dei lavoratori hanno infortuni di una certa gravità anche se ne viene registrato mediamente soltanto uno; durante l’intera carriera lavorativa è stato inoltre testimone di 3 infortuni mortali.