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Progettare la sicurezza antincendio con il Codice di Prevenzione Incendi | Corso addetto antincendio

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Progettare la sicurezza antincendio con il Codice di Prevenzione Incendi

Corso addetto antincendio

La progettazione della sicurezza antincendio degli edifici e delle attività soggette alle visite ed ai controlli del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (cfr. Allegato I al DPR 151/2011) rappresenta un processo complicato per il progettista ed il titolare o responsabile dell’attività soprattutto quando gli obiettivi di sicurezza devono essere raggiunti in edifici di attività esistenti che si stanno modificando in attività più complesse.

Alla stessa maniera, l’inizio di una nuova attività in un edificio esistente, come il caso di capannoni industriali delle aree ormai non più periferiche delle grandi città che devono essere trasformati in edifici residenziali e di servizio, presenta vincoli molto stringenti alla progettazione della sicurezza antincendio che difficilmente possono trovare soluzioni attuabili con una progettazione meramente prescrittiva basata sulla sterile applicazione di regole tecniche di prevenzione incendi.

L’utilizzo di codici prescrittivi, inoltre, richiede l’applicazione di misure antincendio molto spesso non coordinate e per le quali non è possibile indentificare a priori per ciascuna il proprio contributo al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza richiesti.

Sulla scorta di queste considerazioni, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco dal gennaio del 2014 ha intrapreso un progetto di innovazione della metodologia di progettazione della sicurezza antincendio che ha portato alla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del 20 agosto 2015 del Decreto del Ministero dell’Interno 3 agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’art. 15 del Decreto Legislativo 8 marzo 2006, n. 139”, denominato da tutti gli addetti del settore come Codice di Prevenzione Incendi (di seguito COPI).

Il COPI è stato sviluppato condividendo sin dalle fasi di formulazione della nuova proposta normativa, tutti i portatori di interesse, ordini e collegi professionali, associazioni di professionisti ed imprese, consentendo di ottimizzare il processo di razionalizzazione, riorganizzazione ed aggiornamento delle norme tecniche di prevenzione incendi.

Le norme tecniche di prevenzione incendi allegate al DM 3 agosto 2015 sono state sviluppate sulla solida base dei criteri di prevenzione incendi emanati dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco nel corso degli ultimi 40 anni e confrontati con le norme di sicurezza antincendio adottate da enti di normazione sia europea che internazionale. Lo sforzo maggiore è stato quello di riorganizzare, in maniera omogenea, tutti i principi e le misure di sicurezza antincendio all’interno di un solo documento organico e sistematico, contenente disposizioni applicabili a molte delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi.

Il nuovo approccio metodologico risulta essere, pertanto, più aderente al progresso tecnologico e agli standard internazionali, offrendo quel grado di flessibilità necessario alla progettazione di edifici complessi o di attività esistenti.

La progettazione della sicurezza antincendio con il COPI può essere effettuata su base volontaria: il nuovo testo è alternativo ai decreti ministeriali di prevenzione incendi cosiddetti “orizzontali”, come ad esempio il DM 9 marzo e 16 febbraio 2007 – resistenza al fuoco – DDM 10 e 15 marzo 2005 – reazione al fuoco –, DM 20 dicembre 2012 – protezione attiva – che continueranno a rimanere in vigore.

La ulteriore novità introdotta dal Corpo Nazionale risiede anche nel fatto di non abrogare in modo repentino le attuali disposizioni e criteri di sicurezza antincendio, ma di lasciare in vigore l’attuale corpus normativo assieme al nuovo testo, consentendo a professionisti ed ai committenti di valutare e scegliere lo strumento più idoneo per la progetta-zione, costruzione ed esercizio delle attività nei confronti del rischio incendio.

Il DM 3 Agosto 2015 raccoglie la Regola Tecnica Orizzontale – RTO – riportando tutte le misure (Resistenza al fuoco, Reazione al Fuoco, Compartimentazione, Esodo, Gestione della sicurezza antincendio, Controllo dell’Incendio) della strategia di sicurezza antincendi indipendentemente dalla tipologia di attività soggetta, ed aggiunge a queste “regole comuni” alcune Regole Tecniche Verticali – RTV – che, pur essendo specifiche per la tipologia di area o processo considerato, non si riferiscono ad alcuna delle attività contemplate nell’allegato I del DPR 151/2011. Le RTV presenti nell’allegato tecnico al DM 3 agosto 2015 sono, infatti: Capitolo V1 “Aree a rischio specifico”, Capitolo V2 “Aree a rischio per atmosfere esplosive” e Capitolo V3 “Vani corsa ascensori”. È possibile utilizzare il codice anche per tutte le attività soggette dotate di regola tecnica verticale.

Ad oggi le RTV pubblicate sono quella degli Uffici (RTV 4) , Alberghi (RTV 5), Autorimesse (RTV 6) e scuole (RTV7). Si segnala, inoltre, che alla data di pubblicazione di questo articolo è stata approvata la RTV per i centri commerciali.

La progettazione della sicurezza antincendi con il COPI si concretizza sempre passando dalla valutazione del rischio incendio dell’attività che, come risultato finale, consente di determinare i profili di rischio Rvita, Rbeni ed Rambiente.

Il profilo di rischio vita viene stabilito in funzione di due parametri, il primo relativo alla tipologia di occupanti (in stato di veglia, che conoscono o meno i luoghi, che possono essere addormentati) ed il secondo parametro legato al rilascio di energia termica dell’incendio prevedibile nel compartimento oggetto di valutazione del rischio.

Il tasso di rilascio termico dell’incendio, definito in letteratura tecnica come Heat Release Rate (HRR), descrive incendi lenti, ovvero che rilasciano una potenza termica di 1000 kW in 600 s sino a incendi ultraveloci dove la potenza termina di 1000 kW viene raggiunta in meno di 75 s. Il rischio beni (Rbeni) si ricava considerando se l’attività è soggetta e/o vincolata ma può tener conto anche della necessità non voler interrompere l’attività in caso di incendio (business continuity).

In ultimo il Rischio ambiente deve essere valutato e mitigato progettando l’attività in modo da limitare, sino ad un livello accettabile, la compromissione dell’ambiente in caso di incendio. Con i risultati della valutazione del rischio ed i profili di rischio vita, beni ed ambiente, si possono selezionare i livelli di prestazione di ciascuna misura antincendio. Infine, per ciascuna misura antincendio il COPI mette a disposizione una soluzione conforme di immediata applicazione, ma, nel caso di impossibilità di attuazione della soluzione conforme, consente di ricorrere a soluzioni alternative utilizzando gli strumenti di progettazione messi a disposizione dalla ingegneria della sicurezza antincendi (capitoli M.1, M.2 ed M.3 del COPI).

La possibilità offerta da COPI di attuare soluzioni conformi e di ricorrere, ove necessario, a soluzioni alternative, definisce questa metodologia di progettazione come “semi prestazionale”. In ultimo, si rappresenta che le norme tecniche di prevenzione incendi non saranno scolpite sulla pietra, il testo è stato progettato affinché ciascuna misura di sicurezza antincendi possa essere aggiornata in funzione dell’evoluzione tecnologica o emendata alla luce dell’aggiornamento normativo europeo ed internazionale.

Ing. Piergiacomo Cancelliere, Direttore Vice Dirigente CNVVF

I costi standard nell’istruzione | Sicurezza Lavoro Scuole

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I costi standard nell’istruzione

Sicurezza Lavoro Scuole

Suor Anna Monia Alfieri, si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 2001. Ha conseguito il Magistero di Teologia, indirizzo pedagogico-didattico presso l’ISSR di Milano e la laurea in Economia nell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 2007. Dal 2012 è Presidente della Fidae Lombardia e dal 2017 collabora con la Fondazione Asso.Safe al Progetto di sensibilizzazione contro il bullismo e il cyberbullismo Frena il Bullo.

Mentre si susseguono numerosi i fatti di cronaca che stigmatizzano violenze a scuola di vari studenti della Penisola, non mancano purtroppo le “ricette” di soluzioni semplicistiche al problema.

Nemmeno la scuola è indenne dal costume italiano di trasformare gli accadimenti in “fenomeni”, da curare con pillole di saggezza spiccia o direttamente con il Codice Penale: c’è, infatti, chi invoca un richiamo al contratto dei docenti per tutelarli da ragazzi bulli e genitori violenti, chi propone di chiamare i Carabinieri… Uno scenario da Far West. D’altra parte, allo stato dei fatti, non ci sono soluzioni miracolistiche.

Innanzitutto, non occorre affatto invocare nuove leggi (come se il Legislatore non avesse nulla da fare e occorresse a tutti i costi riempirgli l’agenda): sarebbe sufficiente applicare quelle che già esistono.

A che cosa serve riconoscere un diritto se poi non lo si garantisce? All’art. 3 dei princìpi fondanti della Costituzione, è scritto: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».

Ma dove sta la libertà di esercitare questo dovere e diritto? La libertà implica una possibilità di scelta, che necessariamente – se non si vuol ricadere in quella contraddizione in termini che, per dirla con le parole di Aristotele, ci rende “come dei tronchi” – domanda pluralismo educativo.

In parole povere, il genitore cittadino italiano deve scegliere una buona scuola pubblica, come è definita dalla Legge 62 del 2000: la scuola pubblica statale (cioè dallo Stato gestita e controllata) e la scuola pubblica paritaria (quella scuola che dallo Stato non è gestita, ma controllata).

Gli aggettivi “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico” non è necessariamente “statale”, cioè prescinde dal soggetto gestore.

Il San Raffaele è “pubblico”, cioè serve a tutti e quindi riceve fondi pubblici, ma non è “statale” (per sua fortuna, direbbero i maligni). Ma il genitore cittadino italiano può scegliere per il proprio figlio l’educazione che desidera? Può. Solo se è ricco.

Il ricco può scegliere, per il proprio figlio, la scuola pubblica che desidera. Il povero no.

In realtà, in Italia, la famiglia povera è considerata dallo Stato “incapace di intendere e di volere”. Può scegliere, infatti, di ricoverare il nonno al San Raffaele pagando un ticket, ma non può scegliere di educare il figlio presso una buona scuola pubblica paritaria, la quale fa parte, come la pubblica statale, del Servizio Nazionale di Istruzione. Infatti i genitori, con il loro lavoro, non riescono a pagare e le tasse per la scuola pubblica statale e la retta che fa funzionare la scuola pubblica paritaria che vorrebbero. I poveri, insomma, non ce la fanno a pagare due volte per esercitare il loro diritto di libera scelta, nonostante la Costituzione reciti: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, comma 4)».

In Italia il figlio dell’operaio e quello del portinaio non possono scegliere una buona scuola pubblica paritaria, mentre può farlo il figlio del deputato.

La famiglia povera, dunque, deve iscrivere il figlio alla scuola pubblica statale, anche se sarebbe felice di scegliere una pubblica paritaria. Dunque… lo Stato italiano ha forse applicato il secondo comma dell’art. 30: «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti»? Parrebbe di sì!

Una libertà così calpestata poteva forse non alimentare il processo di delegittimazione del ruolo dei genitori e, con loro, dei docenti?

Una scuola che negli anni ha rifiutato la valutazione e la meritocrazia, una scuola preda dei sindacati, che l’hanno ridotta ad ammortizzatore sociale, poteva forse aspettarsi un esito differente?

E oggi, pur di continuare a negare l’urgenza di garantire la libertà di scelta educativa ai genitori (assicurata invece, ad esempio, nella laica Francia), si stigmatizzano gli studenti come violenti, si rispolvera la notizia di reato e la pena, invocando i CC nelle classi… Follia, ignoranza o – peggio – malafede?

Si ricorda che l’art. 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (…)». Si ricorda inoltre che la Legge 62/2000 ha dichiarato “pubbliche” le scuole paritarie, equiparandole in tutto alle statali, esclusa – piccola svista! – la parte economica.

Il Parlamento Europeo ribadisce (risoluzione del 14 marzo 1984, art. 7): «La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Tale libertà comprende inoltre diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata». E all’art. 9 si legge, dal punto di vista del docente: «Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti, all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale».

Affermazioni riproposte dallo stesso Parlamento UE con la risoluzione dell’ottobre 2014.

Ma come potrà, oggi, lo Stato italiano – stremato da corruzione, sprechi, disonestà – permettere ai genitori poveri di scegliere le scuole paritarie?  È necessario, dunque, spendere meglio e di meno. Come?

La via maestra per assicurare una effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero Sistema Nazionale di Istruzione attraverso la definizione del costo standard di sostenibilità per allievo.

Lo dimostra scientificamente – dati alla mano – il saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione dell’on. Stefania Giannini.

In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto pubblico (statale o paritario) che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, a costo zero.

Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. Non esiste alternativa scientificamente valida.

Il fenomeno sociale odierno ci impone una riflessione non punitiva o di tutela, bensì di garanzia del diritto fondamentale dei genitori, che è quello di esercitare liberamente la propria responsabilità educativa: solo da qui potrà scaturire la legittimazione di tutte le parti coinvolte.

I sindacati, i politici, i cittadini sono disponibili ad essere seri su questo tema? Oppure ci stiamo avviando verso una campagna contro il bullismo minorile nei confronti del corpo docenti combattuta nel tribunale televisivo, con la conseguente punibilità del minore sotto i 14 anni e, a cascata, dei genitori?

La conseguenza: sovraffollamento delle carceri e defezione della classe docente. È il rischio della scuola unica di regime. O della fine della scuola. Che si spera non arrivi.

 

Suor Monia Alfieri, Esperta di politiche scolastiche

CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C) | Corso Primo Soccorso

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CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C)

Corso Primo Soccorso

L’Addetto al primo soccorso è il lavoratore incaricato dell’attuazione in azienda dei provvedimenti previsti in materia di primo soccorso ai sensi dell’art. 18 e 45 del D. Lgs. 81/08.

Il corso ha l’obiettivo di formare e informare gli addetti al pronto soccorso aziendale trasferendo ai partecipanti le opportune conoscenze di natura tecnica nonché le necessarie abilità di natura pratica.

Tutta la formazione è svolta da personale medico.

Il corso di Primo Soccorso si articola in tre moduli A, B e C:

Modulo A

  • Allertare il sistema di soccorso
  • Riconoscere un’emergenza sanitaria
  • Attuare gli interventi di primo soccorso
  • Conoscere i rischi specifici dell’attività svolta

Modulo B

  • Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro
  • Acquisire conoscenze generali su patologie specifiche in ambiente di lavoro

 Modulo C

  • Acquisire capacità di intervento pratico

Studio Samele è un Centro Convenzionato a Fondazione Asso.Safe in collaborazione con A.D.L.I. (Associazione Datori di Lavoro Italiani) e CONF.A.M.A.R. (Confederazione Autonoma dei Movimenti Associativi di Rappresentanza) nonché riconosciuto come Sede Territoriale A.D.L.I.

Tutta la formazione erogata è certificata ed approvata da:

O.N.P.A.C. (Organo Nazionale Paritetico Adli Confamar)

O.P.N.E. (Organo Paritetico Nazionale Edilizia)

Al termine del corso verrà consegnato il Programma Formativo approvato dagli Organismi Paritetici competenti, il registro presenze, le dispense, i test finali di valutazione dell’apprendimento, gli attestati di Fondazione Asso.Safe.

DATE corso: mercoledì 27 marzo ore 8:30/14:30 e giovedì 28 marzo ore 8:30/14:30;

Sede di svolgimento: Studio Samele S.r.l., via C. Colombo, 24 – 24044 – Dalmine (BG)

COSTO: 150.00 euro (iva esclusa)

Gli spazzini del web. Quando la tecnologia non è sufficiente | Corso sicurezza lavoratori Bergamo

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Gli spazzini del web. Quando la tecnologia non è sufficiente

Corso sicurezza lavoratori Bergamo

Facebook, così come altre piattaforme web, hanno dato come prerogativa fin dalla loro nascita una netta censura nei confronti dei contenuti violenti e pornografici. Questa linea “editoriale” è stata adottata proprio per non portare ad una degenerazione dei contenuti che avrebbe potuto in pochi anni trasformare siti come Facebook in grandi bacheche del vizio dove l’aspetto sociale e di interazione degli utenti avrebbe avuto un’importanza marginale. La scelta è dovuta anche al tipo di utenza che popola il mondo di Facebook che è composta anche in parte da minorenni (circa il 6% del totale, 120.000 utenti) ma soprattutto per la volontà da parte di Mark Zuckerberg di tutelare al 100% la propria piattaforma. Per garantire quindi i contenuti del social più famoso del mondo intervengono 2 filtri: un primo filtro è “automatico” e gestito da un sistema di analisi computerizzata dei contenuti delle foto e un secondo filtro invece è fatto da persone reali che filtrano in base alle linee guida indicate dal social network cosa può essere pubblicato e cosa no. Il primo filtro è appunto automatizzato e si basa sul cosiddetto Intelligent Learning. In pratica il sistema è in grado di analizzare una fotografia non solo nei suoi aspetti tecnici ma anche nel suo contenuto ed è in grado di capire quando in essa sono presenti scene di sesso o di violenza. È un sistema che si basa sull’apprendimento. Il software confronta l’immagine caricata con altre presenti nel web riuscendo di volta in volta ad affinare la sua capacità di filtraggio. Fatta una prima scrematura attraverso un sistema automatico interviene in seconda battuta l’intervento umano. Infatti molte delle immagini filtrate devono essere visionate da un essere umano che in base alle linee guida dettate dal social network decide se possono essere pubblicate oppure no. Vi sono delle sfaccettature che un software non è ancora in grado di identificare con precisione. Lo scorso anno il Guardian, giornale famoso a livello mondiale, è venuta in possesso delle linee guida che vengono fornite ai cosiddetti spazzini del web. Le sfumature sono diverse sia dal punto divista sessuale che sulla violenza. Infatti si fa l’esempio di una frase rivolta verso il Presidente degli Stati Uniti Trump: se la frase è “qualcuno dovrebbe sparare a Trump” vanno rimosse, perché i capi di stato sono una categoria protetta sul social network. Al contrario, affermazioni del tipo: “muori” o “spero che qualcuno ti uccida” vengono tollerate poiché non costituiscono una minaccia credibile. Così come accade per alcune foto. I nudi sono sempre eliminati ma ad esempio scene in cui i rappresentati sono nudi ma non vengono mai inquadrati interamente rispettano la policy e quindi rimangono online nel sito. I casi possono essere quindi innumerevoli e solo il giudizio umano può stabilire alla fine cosa può e cosa non può rimanere nel social network. Queste persone vengono definite “spazzini del web”. Il loro lavoro è quello di decidere in pochi secondi se il contenuto rispetta o meno i dettami delle linee guida previste. Un lavoro che come ben spiegato dal documentario “The Moderators”, di Ciaran Cassidy e Adrian Chen, richiede una buona dose di sangue freddo. Sono migliaia le foto che vengono visualizzate che vanno dalla semplice pornografia a scene di violenza che purtroppo in alcuni casi coinvolgono anche bambini. Non mancano immagini video di suicidi che al solo pensiero fanno rabbrividire ma che tali persone sono “costrette” per lavoro a visionare ogni giorno. Questi centri sono dislocati in tutto il mondo, principalmente in India, dove persone alla prima esperienza lavorativa si occupano di decidere cosa può rimanere e cosa dev’essere rimosso dalla rete. Vi è poi una terza via che porta all’eliminazione di un contenuto. Infatti se il sistema per qualche ragione non individua un contenuto “sensibile” vi sono le segnalazioni degli utenti a metterlo in evidenza. Infatti un altro compito degli “spazzini del web” è quello di esaminare le segnalazioni da parte degli utenti. Queste sono preponderanti ad esempio negli episodi di bullismo dove molto spesso non vi è formalmente una violazione della policy dei social network, non essendo presenti nudità o violenza vera e propria, ma si evince un comportamento criminale dato dal perpetuarsi di certi comportamenti. Ad esempio la foto di uno scherzo tra adolescenti potrebbe essere classificata come un episodio normale ma se a questo fatto vi è poi un susseguirsi di azioni discriminatorie come commenti oppure il ripetersi di tali atti nei confronti di un’unica persona o da parte di un’unica persona si viene a conformare la classica situazione di cyberbullismo. La segnalazione di tali atti da parte di una o più persone porta velocemente alla cancellazione del contenuto potendo quindi bloccare “sul nascere” eventuali atti lesivi alla persona. Quello che ci deve far riflettere è come, nonostante l’evoluzione della tecnologia, vi sia ancora bisogno della sensibilità umana per capire cosa è tollerabile e cosa no in una determinata piattaforma online. Passaggi che ovviamente più andremo avanti e più verranno automatizzati ma che necessitano dell’input umano per non cadere in contraddizioni ed esasperazioni. La più famosa delle “censure” di Facebook fu in occasione della pubblicazione di un album contenente la foto di una ragazza Nord Vietnamita completamente nuda che scappava dal proprio villaggio in fiamme dopo un attacco al Napalm. Uno scatto molto famoso inserito anche in alcuni libri di storia che nella sua crudità rappresenta in maniera efficace l’orrore che contraddistinse quel conflitto. Tempo fa questo scatto venne censurato ed eliminato proprio perché non rispettava ovviamente la policy prevista da Facebook ovvero il suo contenuto rappresentava una minorenne senza vestiti. La “censura” in questa occasione colpì proprio perché non vi era stato l’intervento umano che avrebbe quindi impedito l’eliminazione considerando la foto al pari di un diritto di cronaca. Dopo questo caso, che ovviamente suscitò clamore mondiale, vi fu una modifica delle regole sui nudi sul social network più famoso al mondo che provvedeva la possibilità di inserirli nel caso in cui essi facciano parte della cronaca di una notizia. Allo stesso modo è stata consentita la pubblicazione di opere artistiche contenenti nudi integrali che in un primo momento il sistema censurava. Lo sviluppo dell’Intelligent Lear- ning, un sistema che confronta le informazioni da analizzare con i contenuti del web, porterà nei prossimi anni ad una graduale diminuzione dell’intervento umano in favore di un sempre più preciso sistema automatizzato ma fino a quel momento l’intervento degli “spazzini del web” sarà indispensabile per garantire una navigazione sicura per noi e soprattutto per i più giovani.

 

Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

Il presente ed il futuro della logistica. Intervista al Presidente dell’Interporto di Pordenone Giuseppe Bortolussi | RSPP Bergamo

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Il presente ed il futuro della logistica. Intervista al Presidente dell’Interporto di Pordenone Giuseppe Bortolussi

RSPP Bergamo

Presidente può scattare una fotografia inquadrando il mondo della logistica intesa come movimento che deve lavorare a rete?  Gli interporti nascono come un approdo di terra che cerca nuove strade per dare più concretezza alle reti infrastrutturali, industriali e commerciali. Nel mondo delle merci, mutuando il turismo, sapere che esistono luoghi che non si chiamano Venezia, ma si chiamano Bologna, Pordenone, Padova, Milano e Marcianise, sono modi per capire dove siamo. Gli interporti nascono in modo complesso e difficile proprio perché qualcuno ha pensato a questi snodi, ma un tempo, ognuno faceva quello che voleva, un industriale poteva organizzare la logistica internamente, si dotava di una flotta di trasportatori, realizzava il raccordo ferroviario, aveva un proprio magazzino. Oggi le cose sono molto cambiate… Il 70% dei servizi di logistica e trasporto è dato in outsourcing, perché ci si avvale di una rete (interporti) che tenta di concretizzare dei volumi ed abbassare i costi, questo è un passaggio cruciale, facile da dire, difficile da attuare, ma contiene 3 elementi fondamentali: l’elemento sicurezza, l’elemento green e il livello economico. Lo dico per terzo il livello economico perché è quello preponderante ed è stato quello che ha spostato ad est Europa volumi enormi di produzioni e di conseguenza trasporti. I trasportatori sfruttando il differenziale di costo tra un lavoratore italiano e uno bulgaro, ad esempio, hanno creato la marginalità. In tutto questo parliamo di sicurezza? Parliamo di orari di guida? Tornando a fotografare la situazione logistica italiana, aver connesso porti, aeroporti e interporti, è stata una visione illuminata, non sempre compresa dal mondo produttivo, perché le nostre fabbriche ragionano o hanno spesso ragionato con il franco partenza, ovvero con il trasporto a carico del cliente, il che vuol dire che le responsabilità del produttore finiscono quando il prodotto esce dalla fabbrica. Il mondo della logistica è un movimento che deve lavorare a rete e ha bisogno di essere veicolato e sintetizzarsi su nodi specifici (porti, aeroporti e interporti). Gli interporti rappresentano quindi gli snodi di una rete più ampia e devono saper sfruttare molto meglio le reti infrastrutturali, che non sono solo le autostrade ma anche le ferrovie. Oggi la quota di trasporto su gomma è assolutamente esagerata, nel caso del nord est per esempio, in A4 viaggia una media annuale di 14 milioni di veicoli pesanti, circa 240 mila veicoli pesanti al giorno da Trieste a Torino. Questi trasporti che collegano est/ovest sono agevolati dal fatto che il mezzo su gomma è più flessibile ed è figlio del just in time, dell’adesso per ieri, ma il sistema non potrà reggere a lungo questo tipo di modalità, soprattutto se parliamo di sicurezza. L’Interporto Centro Ingrosso di Pordenone lavora in una grande location industriale, mentre Nola, Marcianise e Bologna lavorano su grandi piattaforme commerciali. Per la logistica la distinzione commerciale e industriale è fondamentale, la tipologia industriale bilancia il traffico del prodotto che deve essere immesso in produzione con il prodotto che esce dalla produzione, mentre con la tipologia commerciale, ho solo prodotto vocato all’uscita ed è evidente che i costi non vengano ottimizzati, questo per la logistica è un problema. Se riesco a creare il corretto bilancio tra merci in uscita e in ingresso, ho meno camion vuoti sulla strada, solo nel nord est la quota di mezzi pesanti che viaggia in A4 senza carico è del 50%. Parlando di sicurezza quali sono i rischi per un interporto? L’interporto si dà una struttura che ha dentro di sé la ferrovia, le autostrade e di conseguenza i parcheggi di scambio e deve garantire alti standard di sicurezza. Secondo una ricerca di Autovie, che nel 2008 tracciò 30.000 carichi pericolosi in A4, si può presumere che dei 14 milioni di carichi che transitano ogni anno in A4, circa il 30% contiene carichi pericolosi. Ecco perché è importante che vengano creati parcheggi di scambio con idonee misure di sicurezza. L’Interporto di Pordenone ha poi in seno una serie di servizi come la motorizzazione, la dogana le officine e i distributori che permettono di spostare il meno possibile i mezzi e questo vuol dire anche meno emissioni in atmosfera. Meno movimentazione delle merci significa meno emissioni, un esempio ce lo offre un’azienda che lavora per Ikea che si è localizzata nell’area dell’Interporto di Pordenone e a giugno inizierà la produzione dando lavoro a 160 dipendenti, la sola localizzazione nell’interporto e la connessione diretta alla ferrovia, permetterà all’azienda di risparmiare la movimentazione di circa 300.000 bancali dal sito produttivo al sito di magazzino, da qui si evince che saranno notevolmente abbattute le emissioni di polveri sottili in atmosfera. Oggi nel settore della logistica il problema della sicurezza unito alla sensibilità ambientale, cominciano ad essere sentiti dai grandi player industriali. Come Interporto abbiamo ritenuto fondamentale dotarci di un innovativo terminal ferroviario che ha ricevuto il premio come miglior terminal intermodale ferroviario d’Italia.

Quali sono gli elementi innovativi che caratterizzano il nuovo terminal ferroviario dal punto di vista della sicurezza? Il terminal non è un semplice raccordo, ma si struttura come una vera stazione merci, di conseguenza oltre ad aver gli standard di lunghezza necessari, si è dotato di una serie di elementi di sicurezza per le persone, i carri e la protezione delle merci. Partendo dal fondo del binario dove si muovono le merci, abbiamo fatto dei piazzali con pochissima pendenza per permettere alle gru semoventi di operare in piena sicurezza. È stato improntato un sistema di recupero delle acque piovane e degli sversamenti con impianti adeguati, inoltre abbiamo previsto un binario morto per carri che necessitano di verifiche. I mezzi restano in questo modo in sosta senza bloccare l’operatività del terminal e possono essere ispezionati e sottoposti ai trattamenti di affumicazione, ove necessario. Il terminal è sotto controllo doganale, quindi completamente perimetrato con controllo degli accessi in ingresso e uscita. Ogni mezzo e persona transitante verrà tracciato. L’obiettivo del terminal è quello di operare su tratte regolari creando un sistema continuativo e costante di merci in ingresso e uscita. La telematizzazione della linea Mestre/Udine è poi un altro standard di sicurezza importante, il controllo elettronico presidia la linea 24/24 ore permettendo l’uscita di un carico in pochi minuti e anche in orario notturno. Il terminal è studiato per abbattere i costi delle manovre ferroviarie, permettendo ai treni di evitare l’ingresso diretto in stazione, grazie a zone di sosta e transito che abbassano anche i costi di gestione della sicurezza.

Quali sono le prospettive per il nuovo Terminal? Nel prossimo futuro è cruciale ottimizzare i volumi per aumentare la competitività sui mercati, è importante ridurre i costi di manovra dei mezzi e creare connessioni confacenti con le destinazioni tipiche dei nostri industriali per produrre una massa di volumi sufficiente ad abbattere i costi di trasporto anche su tratte inferiori ai 300 km.

 

Giuseppe Bortolussi, Amministratore Delegato Interporto di Pordenone