sicurezza sul lavoro bergamo

Gestione dell’emergenza | RSPP Bergamo

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Gestione dell’emergenza

RSPP Bergamo

L’emergenza è una circostanza, situazione imprevista o momento critico che richiede un intervento immediato; nell’ambito dell’attività lavorativa può determinare danni più o meno gravi a persone o cose.

  • incendio, esplosione
  • allagamento
  • terremoto
  • cedimento strutturale di edifici o impianti
  • infortunio grave
  • malore
  • emergenza sanitaria

Le emergenze dovute ad allagamento e terremoto possono sussistere in condizioni valutabili in base alle caratteristiche del territorio di ubicazione dell’insediamento produttivo medesimo.

Il cedimento strutturale è un’emergenza che deve essere analizzata in funzione delle caratteristiche della struttura stessa oggetto della valutazione.

L’emergenza sanitaria (contagio) deve essere valutata in funzione delle caratteristiche dell’ambiente operativo se presenta possibilità di elevata promiscuità con soggetti a rischio.

L’emergenza incendio e l’emergenza sanitaria (infortunio o malore) devono essere analizzate meglio al fine di garantire un minimo di preparazione sui comportamenti corretti da adottare in tali frangenti.

 

Procedure di esodo

Qualsiasi persona che si trovasse presente sul luogo dell’emergenza (incendio, scoppio od altro) dovrà comportarsi come segue:

  • lanciare subito l’allarme telefonando al Responsabile dell’emergenza indicando le caratteristiche dell’emergenza in corso;
  • sospendere le attività operative in corso;
  • evitare, qualora ci si trovasse in altra area del complesso, di raggiungere il proprio posto di lavoro attenendosi alle disposizioni impartite;
  • non fare uso degli idranti (operazione riservata ai Vigili del Fuoco o personale abilitato) sia perché in presenza di corrente elettrica si potrebbero creare contatti e folgorazioni, sia perché risulterebbe pericoloso l’uso della manichetta se effettuato da persone non esperte;
  • non richiedere, di proprio arbitrio, l’intervento dei Vigili del Fuoco o di altri organismi esterni;
  • a seguito di avvenuta comunicazione, abbandonare l’area con calma seguendo le indicazioni fornite dal personale;
  • non sostare nelle immediate vicinanze delle uscite esterne ma portarsi nei luoghi di raduno previsti sia per essere più facilmente identificati sia per non ostacolare gli eventuali soccorsi;
  • rientrare nelle aree di lavoro solo quando espressamente autorizzato dal Responsabile dell’emergenza.

Il Responsabile dell’emergenza, ricevuta la segnalazione:

  • darà l’allarme di evacuazione al fine di consentire la predisposizione per l’allontanamento di tutto il personale dal complesso;
  • si metterà in contatto con il personale della squadra di pronto intervento per la definizione delle operazioni previste dalle schede tecniche predisposte in base alle diverse tipologie di rischi presenti nell’attività;
  • interverrà sul principio di incendio, con un estintore idoneo, in funzione delle proprie capacità, possibilità e della formazione ricevuta, senza mettere in pericolo la propria incolumità fisica.

Al suono del segnale di emergenza tutto il personale non direttamente interessato in operazioni di emergenza si metterà in condizioni di preallarme fermando in sicurezza le attività operative e si comporterà come indicato nelle raccomandazioni dello specifico punto.

Il personale così avvisato si recherà presso il posto di raduno prestabilito.

Ai fini dell’abbandono dei posti di lavoro si ricordano le seguenti modalità:

  • a seguito dell’avviso di emergenza abbandonare senza indugi il proprio posto dopo averlo messo in sicurezza;
  • uscire dai luoghi di lavoro con calma e seguendo i percorsi più brevi per raggiungere l’uscita;
  • non sostare per il recupero di oggetti o telefonate;
  • raggiungere e sostare nel punto di raduno;
  • svolgere un’azione di verifica al fine di valutare l’eventuale assenza non giustificata di colleghi e provvedere a richiederne la ricerca;
  • attendere comunicazioni dal Responsabile dell’emergenza circa i futuri comportamenti.

Prevenzione dei rischi derivanti dall’impiego delle macchine | Sicurezza lavoro macchine

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Prevenzione dei rischi derivanti dall’impiego delle macchine

Sicurezza lavoro macchine

Pericoli delle macchine

La complessità dell’argomento obbliga a riassumere per quanto possibile i problemi e a condensare quanto previsto dalla normativa.

I pericoli, fonti di danno per la sicurezza, si possono così riassumere:

 a) afferramento, imprigionamento (es. cilindri controrotanti);

b) cesoiamento, schiacciamento, amputazione (es. cesoie, fustelle, presse);

c) rottura, proiezione parti (es. cinghie di trasmissione, volani, dischi mole);

d) taglio, amputazione (es. taglierine, cesoie);

e) trascinamento, afferramento (es. nastri trasportatori, catene);

f) proiezione di trucioli, schegge, scintille, faville incandescenti, spruzzi;

g) parti o componenti accessibili ad elevata temperatura non protetti, spigoli taglienti e pungenti accessibili;

h) equilibrio instabile, caduta di parti, ribaltamento, spostamenti repentini durante il montaggio, lo smontaggio e la preparazione;

i) investimento di persone durante la manovra di macchine semoventi;

l) ribaltamento;

m) illuminazione inadeguata della zona di lavoro (macchine semoventi);

n) accessibilità difficile o non agevole;

o) cedimenti strutturali;

p) incendi ed esplosioni.

I pericoli, fonti di danno per la salute, si possono così riassumere:

a) rumore;

b) vibrazioni;

c) posture fisse mantenute;

d) posture incongrue, sovraccarico degli arti superiori;

e) radiazioni;

f) temperature elevate;

g) illuminazione inadeguata, nel caso di lavoro che comporti elevato impegno visivo;

h) emissione di fumi, polveri, vapori e gas nocivi.

Protezione delle macchine

Le macchine, gli stessi componenti, gli organi lavoratori, le trasmissioni, quando costituiscono un pericolo in fase di avviamento o funzionamento devono essere realizzati in modo da non costituire pericolo per il lavoratore – utilizzatore.

Protezioni segregazioni e dispositivi di sicurezza

La normativa definisce, oltre ai concetti di ergonomia e sicurezza nell’impiego, un concetto fondamentale: ogni pericolo creato da una macchina deve essere eliminato; i sistemi fondamentali sono di tipo tecnico o di tipo organizzativo e gestionale.

Tra i concetti di tipo tecnico volti a preservare l’incolumità del lavoratore è fondamentale l’isolamento delle parti in movimento pericolose e delle zone di rischio, ove cioè sussistano pericoli specifici per l’addetto. La nota vale per le parti di macchine a funzionamento intermittente che possono trarre in inganno l’utilizzatore e causare gravi lesioni.

I sistemi di protezione sono essenzialmente i seguenti:

a) Protezione: avvolge, isolando la parte pericolosa; esempio un carter che avvolge una trasmissione a catena, un involucro che protegge una coppia di ingranaggi. Può essere realizzata in modo da consentire il passaggio del pezzo da lavorare ma non delle mani dell’operatore. La protezione deve essere applicata in modo da consentirne l’asportazione a mezzo utensili o chiave. Il fissaggio mediante pomelli con vite, ganci, magneti, apribili manualmente, non è consentito.

b) Segregazione: isola la zona pericolosa, impedendo ai lavoratori di avvicinarsi; esempio: una barriera o una robusta rete; deve comunque essere realizzata in modo tale che, anche sporgendosi, una persona non acceda alla zona di pericolo.

c) Dispositivo di sicurezza: arresta la macchina o le parti in movimento in caso di pericolo immediato. Può essere realizzato nei modi più diversi:

– barriera fotoelettrica (fotocellula): blocca la macchina qualora una mano o parte del corpo dell’addetto si avvicinasse alla zona di pericolo;

– microinterruttore: collegato ad uno sportello o riparo atto a segregare la zona di pericolo, toglie tensione all’alimentazione della macchina;

– dispositivo meccanico: blocca l’organo lavoratore nel caso non sia predisposta una protezione;

Esistono poi dispositivi di sicurezza per altri tipi di impianti, quali valvole di sicurezza per circuiti idraulici, pneumatici, bombole, flange a rottura.

Le protezioni ed i dispositivi di sicurezza non possono essere rimossi se non per necessità di lavoro. Qualora debbano essere rimossi, dovranno essere immediatamente adottate misure atte a mantenere in evidenza e a ridurre al minimo possibile il pericolo che ne deriva.

La rimessa a posto della protezione o del dispositivo deve avvenire non appena siano cessate le ragioni che hanno resa necessaria la loro temporanea rimozione.

Organi di comando delle macchine

Ogni macchina deve avere gli organi di comando per la messa in moto e l’arresto ben visibili e individuabili; i comandi a tasto devono essere contrassegnati da una marcatura adatta (simboli normalizzati secondo norma UNI/ISO 7000) e a facile portata dell’operatore. Qualora l’organo di comando possa essere manovrato da altri, devono adottarsi misure per evitare lesioni alle altre persone.

I comandi di messa in moto delle macchine devono essere collocati in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali o indesiderati, quindi essere dotati di dispositivi atti a conseguire lo scopo.

Lo scopo è ottenibile attraverso sistemi meccanici o con dispositivi elettromeccanici (doppi comandi, comandi a uomo presente, a movimento multiplo, protezioni passive). I comandi a pedale devono essere provvisti di un riparo efficace (custodia) che eviti ogni possibilità di azionamento accidentale.

Istruzioni di sicurezza

Le macchine qualora, nonostante le protezioni, presentino rischi residui durante l’utilizzo, debbono recare precise istruzioni per il montaggio, l’impiego, l’attrezzaggio, la manutenzione. Il manuale delle istruzioni diviene un componente fondamentale della macchine che deve essere presente nei pressi della stessa e oggetto della formazione operativa dell’addetto da parte dei preposti.

Le istruzioni di sicurezza devono essere facilmente comprensibili ed essere nella lingua del paese utilizzatore, nella fattispecie italiano.

Il personale utilizzatore deve essere informato su rischi che la macchina può comportare, compreso l’uso improprio che può essere fatto della stessa e delle contro indicazioni dovute allo stesso.

Divieto di intervenire sulle parti in moto della macchina

È vietato compiere, su organi in moto, qualsiasi operazione di pulitura, riparazione, regolazione o registrazione (a meno che la macchina sia espressamente predisposta).

Qualora sia necessario eseguire tali operazioni durante il moto, deve essere previsto un sistema che consenta di svolgere l’operazione in tutta sicurezza.

Trasmissioni

Nastri trasportatori, rulli, alberi, pulegge, cinghie, funi, catene di trasmissione, corone, cilindri e coni di frizione devono essere protetti nel caso siano accessibili e, se in moto, costituire un  pericolo. Le norme di buona tecnica e gli allegati alla normativa di legge stabiliscono nel dettaglio le caratteristiche che le protezioni devono avere per evitare qualunque contatto che possa generare infortunio.

Marcatura

Le macchine immesse sul mercato dal settembre 1996 devono recare il marchio CE apposto dal fabbricante come attestazione della conformità alle specifiche norme di buona tecnica esistenti.

Tale marchio viene applicato dal costruttore su propria specifica responsabilità.

Il marchio CE deve essere apposto in etichetta serigrafata contenente marchio del fabbricante, ragione sociale, indirizzo, anno di fabbricazione, tipo di macchina e numero di serie.

Controlli periodici sull’efficienza della macchina e dei dispositivi di sicurezza

Parte importante nella prevenzione dei rischi derivanti dall’utilizzo delle macchine nei luoghi di lavoro è la verifica periodica sul funzionamento dei dispositivi di sicurezza, sullo stato delle protezioni e sul corretto stato d’uso.

La verifica deve essere svolta periodicamente da un addetto alla manutenzione o da un preposto e ha lo scopo di verificare che non vi siano malfunzionamenti o manomissioni che possano compromettere la sicurezza di funzionamento delle macchine stesse, sulla base dei modelli previsti dalla linee guida INAIL.

In caso di ripetute non conformità devono essere effettuati richiami e adottati provvedimenti disciplinari nei confronti dell’utilizzatore.

Interventi di manutenzione

Prima di procedere a qualsiasi intervento di manutenzione bisogna chiedere l’autorizzazione al responsabile di produzione e segnalare al capo reparto o capo turno il tipo di intervento da effettuare e la macchina o impianto oggetto dell’intervento stesso.

Durante gli interventi di manutenzione, di preparazione o modifica delle possibilità operative delle macchine si devono attuare quelle precauzioni volte ad evitare ogni possibile pericolo di avviamento intempestivo o movimento di parti delle macchine provvedendo a:

– collocare cartelli appositi di avviso e divieto di effettuare manovre sugli interruttori dei quadri di alimentazione;

– aprire l’interruttore di alimentazione a bordo macchina;

– predisporre blocchi meccanici per le parti della macchina che possono spostarsi o cadere durante gli smontaggi;

– mettere in sicurezza le parti da smontare che, a causa del peso o della particolare forma, potrebbero causare danni all’addetto in caso di spostamento repentino dalla propria posizione;

– segnalare e mettere in sicurezza l’area destinata all’intervento, ricorrendo anche a segregazioni qualora potesse esservi il rischio di proiezione o caduta di parti, schegge o utensili che possano investire le persone.

La rimessa in marcia di macchine o impianti deve essere autorizzata dal capo reparto.

Ripristino delle condizioni di sicurezza dopo un intervento di manutenzione

Ogni intervento di manutenzione eseguito su una macchina deve ripristinarne le condizioni originali. Eventuali parti sostituite devono essere parti originali oppure essere, per caratteristiche tecniche e di funzionalità, identiche a quelle sostituite, ciò vale anche per i dispositivi di sicurezza.

Il mancato ripristino o, peggio, la manomissione di dispositivi di sicurezza e protezioni comporterebbe il sollevamento da ogni responsabilità del costruttore e l’assunzione di dette responsabilità da parte dell’azienda.

Il personale addetto a tali interventi deve attenersi alle istruzioni ricevute e/o a quanto previsto sul manuale di manutenzione e deve essere personale qualificato ed incaricato in maniera specifica.

Intervista di un lavoratore italiano all’estero | Sicurezza lavoro Bergamo

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Intervista di un lavoratore italiano all’estero

Sicurezza lavoro Bergamo

La tutela della sicurezza e della salute del lavoratore italiano all’estero

Si riporta l’esperienza di un lavoratore che da più di 35 anni opera all’estero in ambito metalmeccanico pesante e siderurgico.

La carriera lavorativa ha inizio nel 1978 come aiutante tubista in un’impresa milanese di assemblaggio e posa in opera di tubazioni industriali. Nel 1979 viene assunto, con la qualifica di impiegato tecnico addetto ai cantieri esterni, da una società di Milano del settore metalmeccanico che produce impianti di siderurgia secondaria. Dopo un periodo di prova di 3 mesi al reparto montaggio dell’officina, inizia a seguire lavori su cantieri sia in Italia che all’estero: inizialmente, per circa 5 anni, come meccanico montatore, quindi come capo cantiere di lavori minori per l’ammodernamento e la manutenzione (revamping) di impianti già esistenti. Nel 1989 viene nominato vice capo cantiere in un tubificio in Unione Sovietica; l’anno successivo ottiene la qualifica di capo cantiere in uno stabilimento russo per il montaggio di due linee di presse a stampare, dove collabora dall’inizio dei lavori fino all’accettazione finale dell’impianto da parte del Cliente.

Da allora ha sempre gestito lavori esterni come responsabile di cantiere o responsabile di avviamento impianti, sia in Italia, dove ha lavorato nei maggiori impianti siderurgici del paese (Taranto, Terni, Brescia), sia all’estero: in Turchia, nella Repubblica Popolare Cinese, in Thailandia, in Iran, nei Paesi del Golfo, in Corea del Sud e in India.

Nel 2008 viene assunto da una nuova Azienda, leader mondiale per la fornitura di impianti siderurgici, “in qualità di impiegato categoria Quadro prevista dal CCNL vigente per le aziende metalmeccaniche dell’industria privata, disciplina speciale parte III, con contratto a tempo indeterminato, con mansione di Commissioning Manager”. Contestualmente ha stipulato un Contratto di distacco che ha determinato “la sua funzione di Responsabile Avviamenti” presso un nuovo cantiere.

Nel 2013 ha seguito in Italia un corso di formazione per la sicurezza della durata di 3 giorni (8 ore giornaliere), con rilascio dell’attestato sia per preposto che per dirigente.

Organizzazione dei cantieri all’estero

Si evidenzia che, a seconda del tipo di contratto stipulato, il lavoro di cantiere può essere organizzato come segue:

– “a Supervisione” per quei cantieri in cui il montaggio è a carico del Contraente e dove quindi il Cliente provvede personalmente al montaggio dei macchinari forniti con maestranze locali; la logistica viene garantita dal Cliente finale e così pure la struttura organizzativa. In questo caso il gruppo di cantiere di lavoratori dipendenti dell’impresa italiana ha un suo responsabile della sicurezza, che comunque svolge anche altre mansioni primarie, ma che all’occorrenza sovraintende e garantisce tutti gli aspetti della sicurezza del cantiere. In merito alla gestione della legislazione per lavori in cantieri di questo tipo, viene effettuata un’analisi della legislazione locale prima dell’inizio del cantiere, aggiungendo i requisiti emersi rispetto a quelli italiani sulla lista di controllo legislativa “Salute, Sicurezza ed Ambiente – legal requirement check list”, una norma interna aziendale. La check list viene completata con i requisiti della legge locale dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, oppure dal Safety Manager in cantiere e una volta compilata deve essere condivisa con la Direzione Aziendale. I requisiti della legislazione locale vengono confrontati con i requisiti italiani al fine di verificare quale requisito è più stringente. I requisiti locali sono identificati dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con la collaborazione di consulenti locali, sulla base delle normative locali applicabili. Nel caso di lavoratori assunti localmente saranno applicati i requisiti della normativa locale.

– “Chiavi in Mano” per quei cantieri in cui l’Azienda italiana provvede anche al montaggio, con conseguente responsabilità anche per tale attività. In tal caso (si parla di cantieri che hanno centinaia di lavoratori contrattisti) il cantiere prevede una struttura organizzativa completa così che è previsto un responsabile della sicurezza aziendale. In tale ipotesi, data la natura delle attività svolte dal personale della Contraente, non si richiede di effettuare una specifica analisi di specificità legislativa. Per tale attività sarà comunque applicato il documento interno aziendale “Salute, Sicurezza ed Ambiente”, in linea con i requisiti della normativa italiana in grado di soddisfare anche la normativa locale. Eventuali richieste di legge che differiscano dalla normativa italiana saranno discusse con il Cliente in sede di incontro di coordinamento iniziale opportunamente verbalizzato. Inoltre qualora il Cliente richiedesse di applicare proprie procedure sarà necessaria una preventiva verifica di conformità di tali procedure rispetto a quelle previste dal documento “Salute, Sicurezza ed Ambiente”.

Gestione dei cantieri all’estero

La sicurezza sul lavoro, difatti, sta diventando una questione di primaria importanza in Azienda. La gestione sicurezza dei cantieri, nel caso in esame, fa riferimento ad un ufficio apposito (con sede in Italia) che comprende un team di tre soggetti, con a capo un responsabile, con compito di predisporre e aggiornare la modulistica, nonché organizzare corsi di aggiornamento per il personale operativo di cantiere e i preposti. Talvolta un tecnico di tale ufficio visita personalmente i cantieri svolgendo un’ispezione di qualche giorno, controllando lo stato dell’arte della sicurezza, impartendo suggerimenti e direttive al fine di migliorare l’ambiente e il luogo di lavoro, redigendo un rapporto di efficienza assegnando un corrispondente punteggio. A tale ufficio devono essere inviati periodicamente report, comunicazioni e segnalazioni, nonché le statistiche mensili di cantiere.

Nel cantiere attuale in cui opera il lavoratore intervistato (di tipologia “Chiavi in Mano”, in India) sono presenti circa 500 persone e ci si avvale di un esperto della sicurezza locale, che ha effettuato corsi in Italia, che opera giornalmente tenendo sotto controllo le maestranze e mantiene i rapporti con gli addetti alla sicurezza delle imprese sub-contrattiste. Il lavoratore intervistato, invece, è la figura responsabile del cantiere, riferimento per il Cliente e i fornitori di manodopera, nominato con Contratto di delega dal Dirigente Delegato, con onere di sorvegliare l’applicazione (in loco) delle direttive aziendali in fatto di sicurezza e con “potere di organizzazione, gestione, controllo e di spesa esercitabili a firma singola senza alcun vincolo di indirizzo o ratifica”. In particolare gli è stato conferito il potere: “a) di direzione, organizzazione e controllo delle attività del cantiere; b) di acquisto, manutenzione, riparazione di impianti, macchinari, attrezzature da lavoro, …, beni e prodotti in genere e, comunque, di tutto quanto si riveli necessario al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori nel cantiere nonché la tutela delle persone e delle cose, senza necessità di preventiva autorizzazione e con il potere di impegnare direttamente la spesa e di effettuare il pagamento; c) sospendere, anche solo parzialmente, l’attività lavorativa qualora la stessa avvenga in violazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, o si versi in una situazione di pericolo grave ed immediato per la salute e la sicurezza degli addetti; d) di firma e di rappresentanza della Società, nei limita di spesa indicati.”

Settimanalmente si svolgono riunioni periodiche per la sicurezza, alla presenza di tutti i dipendenti dell’Azienda italiana, della quale si redige verbale. Parallelamente, le maestranze straniere tengono una propria riunione periodica mensile in materia di sicurezza.

Sorveglianza sanitaria

Solo i lavoratori italiani sono sottoposti, nel paese di origine, a sorveglianza sanitaria con cadenza biennale, a mezzo controllo medico generale all’infermeria aziendale o in appositi ambulatori convenzionati. Scopo di queste visite è l’idoneità alla mansione, pertanto viene valutato il buono stato di salute del dipendente a mezzo controllo del peso, schermografia, esame della vista, audiometria, spirometria, prontezza di riflessi, analisi del sangue, delle urine, controllo dello stato psichico e validità vaccini. Nessun lavoratore locale, invece, si sottopone a visita medica, e nessuno è in possesso di specifica idoneità nonostante la “Documentazione di abilitazione di accesso al cantiere” preveda sia per il singolo lavoratore, autonomo o dipendente, che per le ditte lavoratrici un attestato di idoneità tecnica e psico-fisica.

 

Condizioni igienico sanitarie

Le condizioni igienico sanitarie che solitamente si trovano nei cantieri all’estero sono di molto inferiori allo standard europeo. Sovente, all’inizio dei lavori di montaggio degli equipaggiamenti contrattuali ci si trova a cielo aperto con capannoni a costruzione non ultimata, privi di servizi igienici, spogliatoi, illuminazione, docce, acqua potabile e acqua corrente. Tale situazione persiste fintanto che le opere civili non vengono completate, ovvero decorsi alcuni mesi. Per quanto riguarda l’utilizzo delle mense aziendali, le condizioni igieniche, nonché la qualità degli alimenti forniti, incentivano i lavoratori italiani a saltare i pasti, anche se talvolta, non avendo valide alternative si rende necessaria la consumazione di pietanze locali. Anche in questo caso gli stranieri godono di un trattamento privilegiato, tuttavia la qualità del cibo servito è medio-bassa e pure le condizioni igieniche delle cucine non sono adeguate. Il livello igienico e sanitario del posto di lavoro rispecchia in ogni caso quello della nazione, quindi, maggiore è il grado di povertà, più elevato sarà il disagio per il lavoratore europeo. L’infermeria di primo soccorso non è quasi mai presente nelle vicinanze e bisogna solitamente rivolgersi all’ospedale nella città più vicina, a volte a molti chilometri di distanza; per ovviare a tali mancanze, si tiene ben fornita la cassetta di pronto soccorso. Tra tutti i paesi stranieri nei quali ha lavorato, le peggiori condizioni igieniche sanitarie sono state riscontrate in India, Iran, Algeria, Cina; una situazione lievemente migliore invece in Russia, Thailandia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Come già evidenziato, gli stranieri godono sempre di una condizione di favore rispetto agli indigeni, tanto che le medicazioni o visite mediche vengono effettuate con standard migliori. Per quanto riguarda le vaccinazioni richieste per la zona nella quale si lavora, solitamente l’Azienda fornisce indicazioni precise al riguardo. Ad esempio in India, nello stato Jharkhand, è richiesto sia il vaccino anti Epatite A che quello anti-Tifo. Il vaccino anti-tetanico, invece, è obbligatorio per tutti i lavoratori.

Pur non avendo conoscenza delle legislazioni estere in materia di sicurezza, il lavoratore intervistato afferma che la sicurezza sul lavoro va di pari passo con la suddetta classifica relativa alle condizioni sanitarie, dunque agli ultimi posti troviamo India, Iran, Algeria e Cina, mentre ai primi posti ci sono Arabia Saudita e Corea del Sud.

 

Dotazione di DPI

In quasi tutti i paesi visitati l’azienda appaltatrice locale distribuisce ai propri lavoratori solamente l’elmetto, gli occhiali e i tappi per l’udito, raramente il vestiario, mentre i guanti protettivi spesso sono realizzati con materiali inadeguati come semplice stoffa; infine le scarpe antinfortunistiche non vengono fornite per evidenti ragioni economiche. Spesso sui cantieri si vedono lavoratori con l’elmetto ma a piedi nudi. Per i lavoratori italiani se ne fa carico direttamente l’Azienda italiana.

Altra nota dolente nei paesi stranieri riguarda la qualità delle opere provvisionali (ponteggi e protezioni): spesso si tratta di strutture tubolari senza tavole di calpestìo, con semplici correnti come parapetti, così che il lavoratore deve operare poggiando i piedi sui tubi metallici e rimanendo assicurato, nella migliore delle ipotesi, con la sola cintura di sicurezza alla vita. In Cina, in alcuni casi, i ponteggi vengono costruiti con canne robuste in bambù, assemblate con corde di canapa intrecciata.

Gestione degli infortuni

La sicurezza è sicuramente un tema sentito anche nei paesi esteri, tuttavia spesso le informazioni fornite danno un’immagine falsata della realtà. Ad esempio, in Corea del Sud, all’ingresso di ogni capannone di una grossa acciaieria erano esposti i dati inerenti i giorni trascorsi senza infortuni: si rilevava che in più anni non si era verificato alcun incidente! Purtroppo quel numero si riferiva solamente agli infortuni denunciati ufficialmente, in quanto quasi sempre, per una questione di premio assicurativo e di vantaggi (o svantaggi) personali, il lavoratore o la famiglia nei casi di incidenti mortali, preferiscono mantenere il silenzio. Addirittura nei casi di colpa o mancanza personale comprovata, il lavoratore che ha causato l’infortunio deve rispondere personalmente e le sanzioni comminate (a discrezione del datore di lavoro) possono consistere nel pagamento di una multa simbolica ed arrivare fino al licenziamento. In realtà, secondo l’intervistato, nei cantieri in cui ha lavorato, ogni anno circa il 3% dei lavoratori hanno infortuni di una certa gravità anche se ne viene registrato mediamente soltanto uno; durante l’intera carriera lavorativa è stato inoltre testimone di 3 infortuni mortali.

Diritto d’accesso di un lavoratore al DVR | Documento Valutazione Rischi Bergamo

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Diritto d’accesso di un lavoratore al DVR

Commento alla pronuncia T.A.R. Abruzzo, Sez. 1, 12 luglio 2012, n. 467

Documento Valutazione Rischi Bergamo

Il ricorrente, lavoratore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Abruzzo e Molise di Teramo, ha presentato alla predetta amministrazione istanza di accesso alla documentazione inerente il processo di verifica della valutazione del rischio amianto sul luogo di lavoro. La richiesta è stata mossa dal ricorrente, che, dopo aver osservato lo stato di degrado della copertura in amianto della struttura del luogo di lavoro, ha sottolineato che in caso di pioggia lo scioglimento della matrice cementizia avrebbe comportato il fluire delle fibre d’amianto all’interno dei manufatti. L’istanza è stata respinta dalla predetta amministrazione, ai sensi dell’art. 24[1] Legge n. 241 del 1990, inerente il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Il ricorrente ha chiamato dunque in giudizio -avanti il Giudice Amministrativo- l’Istituto, nella figura del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, eccependo il diniego di accesso agli atti amministrativi relativi alla valutazione del rischio amianto sul luogo di lavoro.

Il T.A.R., in composizione collegiale, ha accolto la domanda.

Il ricorso in esame verte principalmente sui precetti di cui all’art. 22[2] Legge n. 241 del 1990, in materia di trasparenza e accesso ai documenti amministrativi. Ha sostenuto la difesa del ricorrente che detta normativa troverebbe applicazione al caso di specie nonostante specifica legislazione giuslavorista (D. Lgs. n. 81 del 2008: “Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”) riservi al solo Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) il diritto a visionare le informazioni contenute all’interno del documento di valutazione dei rischi (DVR).

Controparte ex adverso ha riportato in sua difesa i contenuti di cui all’art. 50[3] comma 1, lettera e) e comma 4 D. Lgs. 81/2008, secondo i quali il RSPP “riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative (…)” nonchè “Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’art. 17 comma 1 lettera a)”.

In base a quanto disciplinato dalla nota n. 52/2008 del Ministero del Lavoro, la PA ha inoltre sostenuto che il solo RLS ha possibilità di visione del DVR mediante consegna su supporto informatico, utilizzabile però su apposito terminale presso la sede dell’Istituto[4]. Si badi che la nota ministeriale è scaturita da un Interpello promosso dall’associazione dei datori di lavoro con il quale l’amministrazione ha affermato che, non essendo prevista alcuna formalità per la consegna del documento, è ammissibile la consegna dello stesso su supporto informatico, anche se utilizzabile solo su terminale video messo a disposizione all’interno dei locali aziendali.

Sulla scorta dell’art. 22 Legge n. 241 del 1990, il T.A.R., con la pronuncia in esame, ha inteso rafforzare il principio di trasparenza della PA dall’accezione stessa di tale concetto, ripreso dal legislatore pure con l’art. 11[5] D. Lgs. n. 150 del 2009, secondo cui la trasparenza va “intesa come accessibilità totale (…) dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti”. Trasparenza quindi come livello essenziale delle prestazioni pubblicistiche, da intendere quale accessibilità totale ad informazioni dell’organizzazione amministrativa, che nel dettaglio concernono dati sulla salubrità e adeguatezza del luogo di lavoro. Il T.A.R. ha ritenuto che tali caratteristiche afferiscano altresì all’art. 2087 Codice Civile, secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo “di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile” sul luogo di lavoro.

Il T.A.R. ha sostenuto quindi che il principio di specialità invocato dalla PA, ovvero l’applicazione della legislazione giuslavorista di cui al D. Lgs. 81/2008, non sussista. Trattandosi di rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, al ricorrente spetta l’accesso ai dati richiesti ex art. 23[6] Legge n. 241 del 1990 in materia di diritto di accesso verso le PA.

In particolare, il ricorrente ha mosso istanza di accesso per la conoscenza dei dati contenuti nel documento di valutazione dei rischi relativi l’insalubrità ambientale e il rischio contaminazione per la presenza di fibre d’amianto in copertura, e non di accesso all’intero DVR. Tali dati, ha sottolineato il T.A.R., possono essere estrapolati dal documento e devono essere resi noti ai lavoratori che ne facciano richiesta, non solo dipendenti di una PA ma anche dipendenti di un ente privato, quale diritto a conoscere il grado di sicurezza dell’ambiente di lavoro. Sebbene il legislatore, con il combinato disposto di cui agli artt. 4 e 5 D. Lgs. 6 febbraio 2007 (attuazione della direttiva 2004/14/CE), imponga al rappresentante dei lavoratori il riserbo verso informazioni segrete riferitegli dal datore di lavoro, il Giudice Amministrativo, nel caso in esame, ha ritenuto le informazioni relative alla salubrità e sicurezza dell’ambiente di lavoro escluse dal campo di segretezza. Tale esegesi è in linea con i principi di tutela della salute e della dignità del cittadino in quanto lavoratore, tutelati dalla Carta Costituzionale a mezzo dell’art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e 35 “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”.

Trattandosi di informazioni relative alla salubrità e sicurezza ambientale, il T.A.R. ha reputato la richiesta del ricorrente meritevole di accoglimento in applicazione della disciplina del diritto ambientale di cui al D. Lgs. n. 195 del 2005 per cui tali dati sono accessibili a tutti coloro ne facciano richiesta: in particolare “lo stato dell’ambiente[7]” viene inteso quale il luogo di lavoro, nel quale il dipendente ha osservato il degrado della copertura della struttura, dovuto a “fattori quali sostanze (…) ed altri rilasci nell’ambiente che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente[8]” e compromettere “lo stato della salute e della sicurezza umana[9]” in relazione alle possibili filtrazioni delle fibre d’amianto nei manufatti, per lo scioglimento della matrice cementizia dovute alla pioggia.

Il ricorrente, secondo la pronuncia in commento, ha dunque diritto di avere accesso all’informazione ambientale che concerne “le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi[10]”, ovvero a conoscere lo stato di insalubrità ambientale del luogo di lavoro, espressa dalla valutazione del rischio amianto riportata nel DVR.

Alla luce di quanto esposto, il Giudice Amministrativo ha evidenziato che il rapporto contrattuale che lega il datore di lavoro e il ricorrente va a rafforzare la legittimazione dell’istanza mossa dal lavoratore: essendo i dati ambientali accessibili a chiunque ne faccia richiesta, anche senza dichiarazione esplicita del motivo d’interesse, ancor più legittima è l’istanza del lavoratore che, avendo anche motivato l’istanza di accesso, presta il proprio operato presso il luogo di lavoro a rischio contaminazione.

Il T.A.R. quindi, in accoglimento al ricorso, ha disposto l’annullamento dell’illegittimo diniego, condannando l’amministrazione a consentire l’accesso alla documentazione relativa al rischio amianto sul luogo di lavoro del ricorrente.

L’accesso ai documenti amministrativi, e nel caso particolare, al documento di valutazione dei rischi, è stato argomento di dibattito con l’emanazione del D. Lgs. 106/2009, che ha introdotto nuove regole di accesso ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Tale disciplina è stata applicata a numerosi procedimenti giudiziari, vista la diffusa opposizione delle imprese alla consegna del materiale di tale documento ai RLS. La giurisprudenza si è spesso pronunciata sulla questione, ritenendo illegittimo il rifiuto di consegna del documento di valutazione dei rischi (Tribunale di Pisa, 7 marzo 2003: “È, pertanto, da ritenersi antisindacale la condotta del datore di lavoro che abbia omesso, nonostante le reiterate richieste da parte del rappresentante per la sicurezza, di fornirgli i documenti e le informazioni riguardanti il piano per la sicurezza, la valutazione dei rischi, il parere del medico competente ed ogni altra comunicazione relativa ai provvedimenti che il datore intendeva adottare ai fini dell’adeguamento dei locali di servizio”). In tal modo si è affermato il pieno diritto al RLS ad avere copia del DVR, rigettando la tesi difensiva del datore di lavoro circa la presunta violazione, in caso di consegna del documento, del segreto aziendale (Tribunale di Brescia, 18 ottobre 2006; Corte d’Appello di Brescia, 27 settembre 2007, n. 414).

Il T.A.R. Sicilia (13 maggio 2003, n. 799) ha inoltre affermato, con riferimento alla pubblica amministrazione, che non solo i RLS ma tutti i dipendenti hanno diritto di ricevere copia del DVR in base al diritto di accesso agli atti amministrativi riconosciuto dalla Legge n. 241 del 1990, in quanto documento inerente ad interessi essenziali della persona. Tale pronuncia, in particolare, verte su caso analogo a quello in commento. I giudici amministrativi hanno difatti accolto un ricorso presentato da una docente, che si era vista rifiutare una domanda di accesso agli atti, riguardante la documentazione che viene predisposta dal dirigente scolastico per valutare i rischi.

Nonostante la riservatezza del DVR, il T.A.R. ha ritenuto che questa prescrizione non possa pregiudicare gli effetti della legge sulla trasparenza amministrativa, che dispone la facoltà di accedere agli atti amministrativi da parte di tutti i soggetti portatori di interesse giuridico qualificato, quale il lavoratore in servizio nell’unità produttiva a cui si riferisce il documento.

La sentenza in commento trova un precedente conforme nella pronuncia del T.A.R. Sicilia 13 maggio 2003, n. 799, secondo la quale tutti i dipendenti, e non solo i RLS, hanno diritto di ricevere copia del DVR in base al diritto di accesso agli atti amministrativi, in quanto trattasi di documento inerente interessi essenziali della persona. Recita l’art. 18[11] comma i) D. Lgs. 81/2008, che il datore di lavoro deve “informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione” a tutela della salute e sicurezza nel luoghi di lavoro. Nel momento in cui il ricorrente ha mosso l’istanza di accesso alla documentazione relativa alla valutazione del rischio amianto per evidente stato di degrado della copertura, il datore di lavoro, oltre a formalizzare il diniego di accesso, nulla ha argomentato sulla possibile esistenza del rischio, in violazione dell’art. 18 comma 3 della citata normativa, per cui il datore di lavoro ha l’obbligo di “prevedere interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare (…) la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni”. Il Giudice Amministrativo ha qualificato dunque come pienamente legittima la richiesta del lavoratore di ricevere copia del documento di valutazione dei rischi nella sola parte della valutazione del rischio amianto, con conseguente obbligo della PA di consegnare al lavoratore tutte le informazioni richieste.

L’informazione a cui il ricorrente ha chiesto accesso, correttamente qualificata dal T.A.R. quale informazione di carattere ambientale, e dunque disciplinata dalla Legge n. 241 del 1990, non può essere negata al soggetto portatore di interesse giuridico qualificato, quale è il ricorrente, essendo necessaria ad assicurare la salubrità del luogo di lavoro e la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per questo motivo il D. Lgs. 81/2008, che prevede la consegna della copia del DVR al solo rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, non è applicabile nella fattispecie in esame, in quanto la normativa sancisce, con l’art. 36[12] comma 2 lettera a), che “il datore di lavoro provvede che ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione sui rischi specifici a cui è esposto”. Inoltre, la predetta disciplina, non gode di alcun principio di specialità nei confronti della Legge n. 241/1990.

Nella prassi, difficilmente le organizzazioni dei datori di lavoro si conformano alle prescrizioni di cui all’art. 50[13] D. Lgs. 81/2008, secondo il quale il rappresentante dei lavoratori “riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative (…)” e “Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’art. 17 comma 1 lettera a)”. Di tal guisa, Confindustria ha emanato una circolare interpretativa volta a limitare gravemente il diritto di accesso del RLS al DVR, stabilendo che la consegna debba essere limitata alla sola parte del documento relativa agli aspetti di specifico interesse evidenziati nella richiesta, e che la consultazione del documento possa avvenire solo all’interno del perimetro aziendale, con riconsegna al termine della lettura. La nota tuttavia appare inconsistente, in quanto lo stesso D. Lgs. 81/2008, relativamente all’obbligo di consegna del DVR, omette di precisare le relative modalità, con l’unica limitazione di non portare il documento al di fuori dell’azienda.

Relativamente al predetto parametro, il Tribunale di Milano, con sentenza del 29 gennaio 2010, si è pronunciato sulle modalità di consultazione del DVR, evidenziando che l’obbligo di consegna da parte del datore di lavoro e il diritto del RLS di ricevere una copia del DVR non è discutibile. Quanto alle modalità di adempimento, che secondo la volontà del legislatore può avvenire sia in forma cartacea che su supporto informatico, il Tribunale ha affermato il principio per cui, trattandosi di modalità alternative, la scelta non può che essere rimessa al RLS, che dunque avrà diritto di stabilire in quale formato ottenere copia del DVR. Difatti l’obbligo di consegna “non può essere obliterato attraverso una semplice messa a disposizione o consultazione di un documento solo su supporto informatico o su computer aziendale”. Inoltre, il datore di lavoro deve consentire la consultazione del documento “per tutto il tempo che sarà necessario, tenuto conto della eventuale complessità del documento stesso”, fermo invece il limite di consultazione del DVR all’interno dell’azienda, ex D. Lgs. 106/2009.

Può dunque ritenersi precluso il divieto di accesso agli atti nel caso in esame, se non per questioni di segreto industriale, non solo le figure principali che lo condividono, ma a tutto il SPP – Servizio Prevenzione e Protezione (art. 2[14], comma 1, lettera l, del D. Lgs. 81/2008) inteso come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”.

Sarebbe auspicabile, ai fini del costante miglioramento della professionalità e della qualità della vita sul lavoro, che ogni lavoratore venisse inserito in quell’insieme di persone, mezzi e sistemi finalizzati all’attività di prevenzione, obiettivo peraltro sancito dell’art. 20[15], comma 1 del D. Lgs. 81/2008 che prevede che i lavoratori debbano “contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro” ed ancora, in caso di eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza “adoperarsi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità (…) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave o incombente”.

È fondamentale quindi che il lavoratore ricevuta formazione, informazione ed addestramento, abbia conoscenza degli argomenti esplicitati nel DVR in relazione alla valutazione dei rischi a cui risulta esposto. Basti pensare all’eventualità che lo stesso possa essere chiamato a svolgere un ruolo attivo per quanto riguarda la tutela di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

Tale concezione è in linea con quanto disciplinato dalla Legge 20 maggio 1970, n. 300, il cui art. 9[16] a fronte della quale: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze” – RLS – “hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

In conclusione, la qualità della vita nell’ambiente di lavoro può essere garantita da una partecipazione equilibrata del lavoratore alle tematiche di salute e sicurezza del luogo di lavoro, e ciò non può prescindere da un atteggiamento propositivo e collaborativo, sia da parte della direzione che da quella dei dipendenti.

[1] “Esclusione dal diritto di accesso”

[2] “Definizioni e principi in materia di accesso”

[3] “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”

[4] Caso Esselunga

[5] “Trasparenza”

[6] “Ambito di applicazione del diritto di accesso”

[7] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 1.

[8] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 2.

[9] D. Lgs. N° 195 del 2005, art. 2 lettera a), sub 6.

[10] D. Lgs. n. 195 del 2005, art. 2  lettera a), sub 3

[11] “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”

[12] “Informazione ai lavoratori”

[13] “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”

[14] “Definizioni”

[15] “Obblighi dei lavoratori”

[16] “Tutela della salute e dell’integrità fisica”

 

Il difficile periodo dell’adolescenza tra cyberbullismo e blue whale | Corso sicurezza lavoro Dalmine

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Il difficile periodo dell’adolescenza tra cyberbullismo e blue whale

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Analizzando l’agghiacciante fenomeno della Blue Whale, mi è venuto alla mente il più grande suicidio di massa del 1978 in Guyana (Sud America). 912 persone decidono di togliersi la vita ingerendo una dose letale di cianuro.

Mi domando, ma credo non solo io, come possa essere riuscito un solo uomo, a convincere così tante persone a subire soprusi, a farsi del male, ad accettare torture ed umiliazioni, fino a condurle alla morte….

Con una grande capacità persuasiva, Jones, è questo il nome del predicatore “assassino”, riusciva a modificare la percezione della realtà dei suoi seguaci, sia con convincenti sermoni, sia isolandoli dal resto della società. Egli utilizzava la cosiddetta tecnica del “piede nella porta” che consisteva nel chiedere inizialmente un piccolo favore, seguito da richieste man mano più grandi e sconvenienti, ma sempre collegate tra loro, fino ad arrivare alla richiesta di suicidio.

Sono cambiati i tempi e gli strumenti, fatto sta che la tecnica è la stessa. Regole di gioco che diventano mano a mano sempre più complesse e che inducono gli stessi giocatori a tessere una tela di cui poi saranno vittima, alterazione della realtà e dei propri confini, isolamento dalla società. Riuscire a creare un distacco sia cognitivo che emotivo dal mondo reale, è lo scopo di questi psicopatici, consentitemi di chiamarli così perché proprio non mi viene in mente un altro termine, che, costruendo false convinzioni, fanno sentire gli amministrati, vittime sacrificali predestinate, quindi di particolare valore all’interno di quella comunità mortale. Ovviamente è tutta una messa in scena per portare a compimento il loro piano diabolico.

Come nel 1978, anche la generazione 2.0 sembra vivere su un doppio binario che, grazie all’invisibilità del web, si isola dal mondo conoscibile, costruendo identità confuse e bollate che non fanno altro che si possa ripetere lo stesso copione di qualche anno fa. Dall’esterno tutto sembra andare bene e nessuno coglie segni di disagio o sofferenza. E allora, l’immagine che prepotente si affaccia nella mia mente è quella di uomini che sopravvivono in bilico tra un paradiso esteriore, fasullo, ed un inferno che si affaccia continuamente adattandosi ad una realtà corrotta, fatta di incertezze, di abusi mentali e spirituali, di pregiudizi ed ostilità.

Narcotizzarsi è l’unico modo che si ha per sopravvivere all’inferno. Alcuni decidono di farlo con l’alcol, altri con le droghe, altri infliggendosi punizioni, altri ancora sentendosi vittime sacrificali: tutto ciò consente di creare mondi e dimensioni che portano fuori dall’inferno, perché il cervello, riproducendo un’immagine di sé sfalsata ed, in qualche modo, allucinata, conduce, inesorabile, all’eutanasia mentale. Ed è proprio approfittando di questo stato che qualche “pifferaio paranoico” si insinua nella vita dei nostri ragazzi, soggiogandoli e convincendoli che l’unico modo che hanno per “avere un posto di valore nel mondo” è proprio quello di non essere al mondo.

Possiamo chiamarli curatori, predicatori, carnefici… il risultato è sempre lo stesso. In tutti questi fenomeni (suicidi di massa, blue whale, bullismo o cyber bullismo) appare evidente, come la vita venga desacralizzata, mentre la morte, virtualizzata, rappresenta l’unico modo per guadagnarsi “l’immortalità”… peccato, però, che mai nessuno sia potuto tornare indietro per vedere come davvero va a finire.

Mondi fasulli che, anziché diventare una sorta di strumento di “evasione”, diventano un altro modo per ricalcare la realtà corrotta.

Soprattutto nel web si assiste alla celebrazione della  morte, che rappresenta, nell’immaginario collettivo degli adolescenti, l’unica forma di comunicazione, l’unico modo di affermare “avete visto? Io esistevo!”.

Il mondo social e i media, d’altro canto, non fanno altro che spettacolarizzare le morti e, affrontando in maniera superficiale il suicidio di un ragazzo che ha giocato alla Blue Whale, fanno breccia nella fragilissima sensibilità degli adolescenti, spingendoli a credere che, l’unica via possibile di affermazione del se’, sia compiere un gesto che tutti possano guardare.

Il mondo degli adolescenti non è criptico, ma vivendo in una fase di passaggio piuttosto burrascosa, se vogliamo mortifera perché devono simbolicamente uccidere il bambino per far nascere l’adulto, si trovano a vivere ansie ed angosce che fanno parte del ciclo di vita. Quando però, questa naturale sfida evolutiva diventa troppo difficile, e anche gli educatori adulti fanno fatica a relazionarsi con questo nuovo Essere misterioso, subire la “fascinazione” dell’omologazione è quasi un passaggio obbligato.

Fa specie pensare che l’adolescente debba riuscire da solo a cogliere l’essenza dell’essere uomo, non come qualcosa che rimane per sempre, ma come colui che, di passaggio, ne lascia comunque traccia. È la società adulta che, ironizzando, ha espropriato la morte del tabù e degli scenari ideologici, religiosi e mitici che le erano propri, rendendola talmente tanto accessibile e quotidiana, che il nostro ruolo è divenuto quello di “contabili di decessi” e inermi spettatori.

Credo fermamente che, il vero tabù dell’educazione di oggi, sia quello di parlare della morte, ricollocandola e ridandole la giusta centralità dimensionale, perché il morire non continui ad essere concepito come una macabra affermazione del senso della vita, ma come un momento che va rispettato in tutta la sua sacralità.

Siamo riusciti ad erigere una società che si basa sulla potenza di gesti umani violenti, quale unica modalità per comunicare, inscrivendo il male di vivere nelle nostre abitudini quotidiane. Immobili ed inermi, autorizziamo che la morte, gli assassini e i suicidi entrino e la facciano da padroni nelle nostre case. I nostri ragazzi, fragili e scricchiolanti, privati così di radici autentiche, giungono, inconsciamente, alla conclusione che tutto è male e se tutto è male, forse l’unico modo per avere il bene, è nel veder morire e nel dare la morte.

La società adulta deve sentirsi colpevole perché ha depauperato i ragazzi e le ragazze di sogni, speranze, della voglia di ribellarsi e di contestare, incitandoli all’omologazione acritica ed all’appiattimento del senso della vita, in cui diversità e sconfitte non devono essere percepite come segni di inadeguatezza, ma come parti di un bricolage, necessari, affinchè si possa strutturare un individuo ed un adulto sano.

La ricerca della messa in scena della morte, come quel ragazzo che si reca sui binari mentre il treno sta per arrivare, non sono altro che tragici racconti di ciò che ha creato l’organizzazione sociale. La Blue Whale attecchisce perché trova terreno fertile nei ragazzi che sono già abituati alle rappresentazioni  violente, e vivere esperienze che li porta a superare i propri limiti e confini li avvince, scatenando energie e pulsioni insospettate.

Emergenza, così la chiamiamo…. Nel dizionario emergenza viene definita come circostanza imprevista, ma credo davvero che la Blue Whale, il cyberbullismo e tanti altri fenomeni che catturano l’attenzione dei nostri giovani, non siano altro che la tentacolare rappresentazione di tutto ciò a cui li abbiamo mal – educati, privandoli di quegli spazi e di quei luoghi, in grado di poter dare a quei “frammenti di vita”, senso, originalità e dimensioni identitarie.

Aiutiamoli a crescere perché la potenza dei gesti umani, in questo mondo, ha ancora un grandissimo valore.

 

A cura di Giuseppina Filieri – Vicepresidente Fondazione Asso.Safe