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I costi standard nell’istruzione | Sicurezza Lavoro Scuole

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I costi standard nell’istruzione

Sicurezza Lavoro Scuole

Suor Anna Monia Alfieri, si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 2001. Ha conseguito il Magistero di Teologia, indirizzo pedagogico-didattico presso l’ISSR di Milano e la laurea in Economia nell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 2007. Dal 2012 è Presidente della Fidae Lombardia e dal 2017 collabora con la Fondazione Asso.Safe al Progetto di sensibilizzazione contro il bullismo e il cyberbullismo Frena il Bullo.

Mentre si susseguono numerosi i fatti di cronaca che stigmatizzano violenze a scuola di vari studenti della Penisola, non mancano purtroppo le “ricette” di soluzioni semplicistiche al problema.

Nemmeno la scuola è indenne dal costume italiano di trasformare gli accadimenti in “fenomeni”, da curare con pillole di saggezza spiccia o direttamente con il Codice Penale: c’è, infatti, chi invoca un richiamo al contratto dei docenti per tutelarli da ragazzi bulli e genitori violenti, chi propone di chiamare i Carabinieri… Uno scenario da Far West. D’altra parte, allo stato dei fatti, non ci sono soluzioni miracolistiche.

Innanzitutto, non occorre affatto invocare nuove leggi (come se il Legislatore non avesse nulla da fare e occorresse a tutti i costi riempirgli l’agenda): sarebbe sufficiente applicare quelle che già esistono.

A che cosa serve riconoscere un diritto se poi non lo si garantisce? All’art. 3 dei princìpi fondanti della Costituzione, è scritto: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».

Ma dove sta la libertà di esercitare questo dovere e diritto? La libertà implica una possibilità di scelta, che necessariamente – se non si vuol ricadere in quella contraddizione in termini che, per dirla con le parole di Aristotele, ci rende “come dei tronchi” – domanda pluralismo educativo.

In parole povere, il genitore cittadino italiano deve scegliere una buona scuola pubblica, come è definita dalla Legge 62 del 2000: la scuola pubblica statale (cioè dallo Stato gestita e controllata) e la scuola pubblica paritaria (quella scuola che dallo Stato non è gestita, ma controllata).

Gli aggettivi “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico” non è necessariamente “statale”, cioè prescinde dal soggetto gestore.

Il San Raffaele è “pubblico”, cioè serve a tutti e quindi riceve fondi pubblici, ma non è “statale” (per sua fortuna, direbbero i maligni). Ma il genitore cittadino italiano può scegliere per il proprio figlio l’educazione che desidera? Può. Solo se è ricco.

Il ricco può scegliere, per il proprio figlio, la scuola pubblica che desidera. Il povero no.

In realtà, in Italia, la famiglia povera è considerata dallo Stato “incapace di intendere e di volere”. Può scegliere, infatti, di ricoverare il nonno al San Raffaele pagando un ticket, ma non può scegliere di educare il figlio presso una buona scuola pubblica paritaria, la quale fa parte, come la pubblica statale, del Servizio Nazionale di Istruzione. Infatti i genitori, con il loro lavoro, non riescono a pagare e le tasse per la scuola pubblica statale e la retta che fa funzionare la scuola pubblica paritaria che vorrebbero. I poveri, insomma, non ce la fanno a pagare due volte per esercitare il loro diritto di libera scelta, nonostante la Costituzione reciti: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, comma 4)».

In Italia il figlio dell’operaio e quello del portinaio non possono scegliere una buona scuola pubblica paritaria, mentre può farlo il figlio del deputato.

La famiglia povera, dunque, deve iscrivere il figlio alla scuola pubblica statale, anche se sarebbe felice di scegliere una pubblica paritaria. Dunque… lo Stato italiano ha forse applicato il secondo comma dell’art. 30: «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti»? Parrebbe di sì!

Una libertà così calpestata poteva forse non alimentare il processo di delegittimazione del ruolo dei genitori e, con loro, dei docenti?

Una scuola che negli anni ha rifiutato la valutazione e la meritocrazia, una scuola preda dei sindacati, che l’hanno ridotta ad ammortizzatore sociale, poteva forse aspettarsi un esito differente?

E oggi, pur di continuare a negare l’urgenza di garantire la libertà di scelta educativa ai genitori (assicurata invece, ad esempio, nella laica Francia), si stigmatizzano gli studenti come violenti, si rispolvera la notizia di reato e la pena, invocando i CC nelle classi… Follia, ignoranza o – peggio – malafede?

Si ricorda che l’art. 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (…)». Si ricorda inoltre che la Legge 62/2000 ha dichiarato “pubbliche” le scuole paritarie, equiparandole in tutto alle statali, esclusa – piccola svista! – la parte economica.

Il Parlamento Europeo ribadisce (risoluzione del 14 marzo 1984, art. 7): «La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Tale libertà comprende inoltre diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata». E all’art. 9 si legge, dal punto di vista del docente: «Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti, all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale».

Affermazioni riproposte dallo stesso Parlamento UE con la risoluzione dell’ottobre 2014.

Ma come potrà, oggi, lo Stato italiano – stremato da corruzione, sprechi, disonestà – permettere ai genitori poveri di scegliere le scuole paritarie?  È necessario, dunque, spendere meglio e di meno. Come?

La via maestra per assicurare una effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero Sistema Nazionale di Istruzione attraverso la definizione del costo standard di sostenibilità per allievo.

Lo dimostra scientificamente – dati alla mano – il saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione dell’on. Stefania Giannini.

In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto pubblico (statale o paritario) che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, a costo zero.

Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. Non esiste alternativa scientificamente valida.

Il fenomeno sociale odierno ci impone una riflessione non punitiva o di tutela, bensì di garanzia del diritto fondamentale dei genitori, che è quello di esercitare liberamente la propria responsabilità educativa: solo da qui potrà scaturire la legittimazione di tutte le parti coinvolte.

I sindacati, i politici, i cittadini sono disponibili ad essere seri su questo tema? Oppure ci stiamo avviando verso una campagna contro il bullismo minorile nei confronti del corpo docenti combattuta nel tribunale televisivo, con la conseguente punibilità del minore sotto i 14 anni e, a cascata, dei genitori?

La conseguenza: sovraffollamento delle carceri e defezione della classe docente. È il rischio della scuola unica di regime. O della fine della scuola. Che si spera non arrivi.

 

Suor Monia Alfieri, Esperta di politiche scolastiche

CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C) – Corso Primo Soccorso

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CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C)

Corso Primo Soccorso

L’Addetto al primo soccorso è il lavoratore incaricato dell’attuazione in azienda dei provvedimenti previsti in materia di primo soccorso ai sensi dell’art. 18 e 45 del D. Lgs. 81/08.

Il corso ha l’obiettivo di formare e informare gli addetti al pronto soccorso aziendale trasferendo ai partecipanti le opportune conoscenze di natura tecnica nonché le necessarie abilità di natura pratica.

Tutta la formazione è svolta da personale medico.

 

Il corso di Primo Soccorso si articola in tre moduli A, B e C:

Modulo A

  • Allertare il sistema di soccorso
  • Riconoscere un’emergenza sanitaria
  • Attuare gli interventi di primo soccorso
  • Conoscere i rischi specifici dell’attività svolta

Modulo B

  • Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro
  • Acquisire conoscenze generali su patologie specifiche in ambiente di lavoro

 Modulo C

  • Acquisire capacità di intervento pratico

 

Studio Samele è un Centro Convenzionato a Fondazione Asso.Safe in collaborazione con A.D.L.I. (Associazione Datori di Lavoro Italiani) e CONF.A.M.A.R. (Confederazione Autonoma dei Movimenti Associativi di Rappresentanza) nonché riconosciuto come Sede Territoriale A.D.L.I.

Tutta la formazione erogata è certificata ed approvata da:

O.N.P.A.C. (Organo Nazionale Paritetico Adli Confamar)

O.P.N.E. (Organo Paritetico Nazionale Edilizia)

Al termine del corso verrà consegnato il Programma Formativo approvato dagli Organismi Paritetici competenti, il registro presenze, le dispense, i test finali di valutazione dell’apprendimento, gli attestati di Fondazione Asso.Safe.

Sede di svolgimento: Studio Samele S.r.l., via C. Colombo, 24 – 24044 – Dalmine (BG)

 

DATE 1° corso: lunedì 26 novembre ore 8:30/14:30 e lunedì 3 dicembre ore 8:30/14:30;

DATE 2° corso: lunedì 10 dicembre ore 8:30/14:30 e lunedì 17 dicembre ore 8:30/14:30.

 

COSTO: 150.00 euro (iva esclusa)

Educare i giovani all’uso della rete: il difficile compito nell’era dei nativi digitali | Corsi sicurezza online

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Educare i giovani all’uso della rete: il difficile compito nell’era dei nativi digitali

Corsi sicurezza online

Primo smartphone a 3 anni, poi il tablet e infine il notebook o il pc. È ormai sempre più diffusa l’abitudine di dare dispositivi tecnologici già a partire da giovanissima età.

L’approccio di questi strumenti è così intuitivo che dopo aver imparato a camminare e forse ancora prima di parlare i bimbi utilizzano in totale destrezza qualsiasi smartphone o tablet.

I genitori di oggi sono cresciuti in un mondo in cui l’informatica rivestiva un ruolo molto differente. Tra gli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90 il pc non era ancora entrato stabilmente dentro le mura domestiche.

Rimaneva uno sfizio per pochi che avevano la volontà di “navigare” tra righe di comando, e impegnativi programmi che richiedevano oltreché delle competenze avanzate anche una certa predisposizione a meccanismi ancora troppo poco intuitivi.

La diffusione dei primi computer con interfaccia grafica a buon mercato (Windows 95 e 98) ha avvicinato un’utenza maggiore al mondo dei pc ma la vera rivoluzione è stata a metà degli anni 2000. Inizialmente l’arrivo della banda larga, l’ADSL ha modificato l’approccio ad internet.

Le velocità di connessione, inizialmente decuplicate e successivamente centuplicate abbinate a piani tariffari flat (che permettevano una connessione illimitata ad un costo fisso) hanno reso accessibile molto più facilmente a contenuti prima considerati impensabili.

Con le vecchie connessioni solo per visualizzare una fotografia era necessario circa 1 minuto, con la prima generazione di ADSL si è passati a 8 secondi per poi arrivare ad oggi che con le connessioni 4g o a fibra ottica è necessario meno di un decimo di secondo.

Per caricare un filmato di qualche minuto attualmente sono necessari pochi secondi quando anche solo con le prime connessioni ADSL era comunque necessario attendere circa una decina di minuti.

In contemporanea con la diffusione delle reti ad alta velocità nascevano gli smartphones diffondendo definitivamente e in maniera capillare non solo l’uso della tecnologia ma soprattutto l’utilizzo di internet.

Ma gli smartphone, così come li conosciamo oggi, hanno appena 10 anni (2007 è stato l’anno di lancio del primo Iphone) e sono quindi ancora strumenti relativamente giovani e chi oggi li utilizza tutti i giorni ne può percepire solo relativamente l’impatto che essi possono avere nella quotidianità dei più giovani poiché le applicazioni utilizzate da un adulto sono diverse da quelle utilizzate da un teenager, che sono a loro volta diverse da quelle utilizzate da un adolescente e diverse ancora da quelle utilizzate da un bimbo delle scuole elementari.

I genitori di oggi, quando erano bambini o adolescenti, utilizzavano mezzi differenti per comunicare ed è quindi normale non capire a fondo la differenza tra il mondo di ieri e quello di oggi. La differenza che intercorre tra un sms inviato alla fine degli anni ‘90 e un WhatsApp nel 2018 è enorme nonostante la forma di comunicazione possa sembrare molto simile.

Ricordiamoci di come fino a 10 anni fa ogni singolo messaggio sms avesse un costo che ci faceva pensare più di una volta se privilegiare un messaggio rispetto ad un altro lottando su pochi centesimi per avere la tariffa migliore. Inoltre non esistevano le chat di gruppo che ad oggi rappresentano forse la più grande rivoluzione dei sistemi di chat mobile.

Proprio la semplicità che ha avvicinato gli adulti all’utilizzo di queste tecnologie è stata anche il vettore che ha permesso ai più giovani di venire a contatto con questi sistemi.

Infatti l’utilizzo di schermi touch abbinati ad un sistema estremamente intuitivo ha reso l’utilizzo di funzioni avanzate, che prima erano esclusiva di utenti esperti, alla portata di tutti.

Fino a poco più di 10 anni fa caricare un video in rete richiedeva capacità davvero avanzate: non bastava entrare in un profilo di YouTube, selezionare il video desiderato e premere un pulsante. Era necessario innanzitutto avere una telecamera in grado di registrare in digitale (i telefonini all’epoca non erano in grado di garantire una qualità video accettabile), caricare il video nel proprio PC, convertire il video affinché fosse compatibile con il formato del sito che lo accoglieva, trovare infine una piattaforma online che accettasse quel video. Inoltre gli unici sistemi per poi diffonderlo in rete erano le email e i forum che all’epoca stavano vivendo la loro “età dell’oro”.

Le difficoltà erano quindi oggettive e raramente chi utilizzava la rete utilizzava i video e le immagini come mezzo di diffusione dei contenuti (condizionati anche da una rete internet ancora lenta e poco efficiente).

Inoltre internet era un mondo caraterizzato dall’anonimato. Raramente si trovava il nome reale di un utente che pubblicava contenuti.

Era più facile “nascondersi” dietro a pseudonimi più o meno fantasiosi che tutto volevano tranne che essere riconoscibili e rincoducibili al reale proprietario di un account.

Era proprio la natura anonima a rendere la rete quel grande contenitore dove tutti potevano essere qualsiasi cosa.

Oggi l’utilizzo della rete è fortemente cambiato. L’anonimato ha lasciato la strada all’esposizione di se stessi. La rete è diventata una vetrina del proprio Io, un estensione della propria personalità che serve a delineare la propria unicità.

Non è facile per un adulto capire come un adolescente possa interfacciarsi ed esprimersi grazie a questa grande “piazza” che è la rete.

La diversità di linguaggio che è percepibile nel confronto più tradizionale tra un adulto e un bimbo attraverso la parola si amplifica ancora di più con la tecnologia dove non cambia solo il messaggio trasmesso ma anche lo strumento con il quale il messaggio stesso passa da un interlocutore ed un altro.

La diffusione rapida di applicazioni di tutti i generi non rende facile il controllo dei contenuti utilizzati da un ragazzino. Nuove applicazioni, nuovi giochi, nuovi strumenti per comunicare si rinnovano quotidianamente e non si fa in tempo a conoscere il funzionamento di un’applicazione che è già stata aggiornata nuovamente aggiungendo nuove funzionalità più o meno sicure.

Ultimamente si sono poi registrati casi molto preoccupanti inerenti alcune applicazioni rivolte ad un pubblico giovane. Alcune di queste app infatti esponevano dei banner pubblicitari che rimandavano a siti con contenuti a “luci rosse”.

Quando la cosa è stata scoperta Google e Apple hanno eliminato i “pericoli” ma questo non ha impedito che qualche bimbo abbia accidentalmente avuto accesso a questi contenuti.

Il problema è comunque arginabile facendo la giusta attenzione a limitare non tanto il tempo di utilizzo di questi strumenti quanto intervenendo per limitare l’accesso a determinati contenuti a priori.

Sono sempre più diffuse applicazioni che permettono innanzitutto il monitoraggio delle attività in un determinato dispositivo limitandone orario di utilizzo e soprattutto l’accesso a siti prestabiliti.

Da anni inoltre si discute di assegnare l’estensione di dominio .xxx proprio per rendere più facile il filtraggio di certi siti ai minori. La proposta ha avuto finora poco successo vista anche l’opposizione di coloro che sono “attori” di questo, mercato.

L’impostazione di applicazioni di questo genere è alla portata di tutti ma richiede comunque un certo impegno da parte dei genitori che devono quindi superare delle difficoltà oggettive che nascono spesso da un’educazione informatica in generale ancora molto carente.

Le scuole insegnano l’informatica già dalle elementari ma spesso si limitano a spiegare solo l’utilizzo di determinati programmi senza proporre un metodo generale. Non è infatti una materia, l’informatica, che si deve limitare ad un insegnamento nozionistico dei contenuti ma che deve trasmettere primamente una metodologia nell’affrontare lo strumento tecnologico.

Nell’affrontare nel quotidiano il lavoro di responsabile informatico io stesso dico ai miei colleghi di non domandarsi mai SE esiste un programma o un sito in grado di fare una determinata cosa ma piuttosto domandarsi COME è possibile fare una determinata cosa.

La diffusione di questa mentalità passa anche attraverso il lavoro che iniziative come Frena il Bullo, dove io stesso partecipo in veste di relatore e dove cerco di trasmettere non solo nozioni utili per non fare errori banali ma anche la cultura dell’informatica.

Inoltre sempre grazie alla collaborazione nata tra Fondazione Asso.Safe, A.D.L.I. e il S.I.A.P. vengono organizzate iniziative per insegnare anche ai genitori come difendere loro stessi e i loro figli dai pericoli non solo del bullismo e del cyberbullismo ma anche della rete stessa evitando a prescindere comportamenti errati o distrazioni varie.

Non deve però passare il messaggio che la tecnologia è un male e dev’essere eliminata. La tecnologia, nelle sue varie espressioni, è uno strumento utile che ha cambiato in meglio il nostro mondo ma essendo essa uno strumento è importante saperlo usare nella maniera migliore. Anche un’auto è uno strumento molto utile ma se usata male può uccidere.

 

Per. Comm. Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

 

Industria 4.0: la rivoluzione annunciata | Consulente RSPP

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Industria 4.0: la rivoluzione annunciata

Consulente RSPP

Una rivoluzione già iniziata ha portato l’industria ad un nuovo livello tecnologico. Dall’utilizzo massivo di macchine automatizzate all’avvento di internet e dell’intelligenza artificiale. Come saranno gli sviluppi presenti e futuri della tecnologia produttiva?

Se il mondo lo guardiamo a testa in giù, è perché pensiamo che la posizione assunta dai pipistrelli per dormire sia quella più comoda. Ciò che così riusciamo a guardare, è un mondo alla rovescia, in cui i ruoli si sono incontrovertibilmente invertiti, in cui l’illecito diventa lecito, in cui i cantanti ed i comici fanno politica e dove i politici fanno spettacolo. I diritti vengono scambiati per favori, i mariti e le mogli, quando si sentono stanchi del loro rapporto, si eliminano a colpi di accetta, la cultura è diventata un contorno perché superflua e non è richiesta tra i requisiti necessari per fare successo, le buone pratiche e il buon esempio lasciano il posto a malefatte, delitti, ed è normale giudicare stupido chi si ostina ancora a credere che, in tutto ciò, esista qualcosa di buono. Siamo sicuri che parliamo di rivoluzione? Siamo sicuri che non stiamo parlando invece di involuzione? Esistono oggi rivoluzionari? Chi è un rivoluzionario?

Per me, Rivoluzionario è colui che, oggi, ha il coraggio di usare ancora le paroline magiche “grazie, scusa, per favore, buongiorno”, colui che insegna l’educazione e il rispetto, colui che prova ancora quel sano senso di riverenza per i “saggi”, colui che insegna a fare le cose con gentilezza e prova gratitudine per le cose che ottiene. Pretendere, mercificare, comprare e scambiare: queste sono le combinazioni che fanno dell’uomo del XXI secolo un essere vincente. E se da un lato assistiamo a profondi cambiamenti (politici, sociali ed economici), dall’altro stiamo assistendo ad un “umano” che nasce, cresce e si sviluppa, ascoltando istinti e pulsioni, e se un tempo con l’intellighentia veniva purgata l’utopia, oggi con la stupidità vengono alimentati i peccati.

La percepisci, ma non riesci a sintetizzarla quest’apatia letargica. Uno degli indicatori fondamentali, che ti dà l’indicazione di quanto sia presente all’interno di un contesto (lavorativo, relazionale, umano) è la mancanza di curiosità. Ecco per me, ad una involuzione corrisponde necessariamente una mancanza di curiosità. Ma questa è una storia che ricomincia ogni volta, una storia che verrà raccontata nei libri, una storia che ha in sé il peso di un’eredità. La chiameremo parabola o legenda, ma di certo, come in un sogno dai contorni sfumati, parlerà della cultura e della politica del nostro Paese.

E ci ritroviamo, così, a pieno titolo, come un fuoco d’artificio, troppo carico di ambizione e fallimento, a vivere da una parte l’involuzione 1.0 e dall’altra, la rivoluzione industriale 4.0.

Lo stupore, la curiosità, il terrore e l’entusiasmo sono sentimenti che albergano nel mio animo parlando di rivoluzione industriale. Già perché se penso a quello che ho letto nei libri di storia, mi vengono alla mente immagini di roghi, di fiamme, di gente che si ribella, di gente che lotta….

La prima rivoluzione industriale interessa il settore tessile e metallurgico, con l’introduzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. A partire dal 1870 viene convenzionalmente fatta partire la seconda rivoluzione industriale con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Ci si riferisce, invece, agli effetti dell’introduzione massiccia dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nell’industria, come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire intorno al 1950. Quest’ultima, conosciuta anche come rivoluzione digitale, segna il passaggio dalla meccanica, dalle tecnologie elettriche e da quelle analogiche alla tecnologia digitale, sviluppatasi nei Paesi più avanzati mediante l’adozione e la diffusione capillare di computer e la conservazione dei documenti in formato digitale. Che tutto il ‘900 sia stato un periodo di forti rivoluzioni e cambiamenti, lo dice anche la forte spinta alla trasformazione della struttura produttiva, e, più in generale del tessuto socio – economico. Innovazione tecnologica che ha inevitabilmente portato allo sviluppo economico della società. Terza rivoluzione, quindi, legata all’innovazione data dalla nascita dei computer, dei robot, della prima navigazione spaziale e dei satelliti.

E poi, di colpo, ci ritroviamo ad assistere ad un cambiamento epocale, la cui portata e dimensioni apre la strada a strategie, modelli e paradigmi nuovi. Stiamo parlando della Quarta Rivoluzione Industriale. Le parole chiave di questa nuova epoca sono: innovazione, ricerca, validazione, produzione e sviluppo di nuovi prodotti e servizi con il minimo comune denominatore costituito da un alto grado di automazione ed interconnessione. Si tratta della rivoluzione dell’interconnessione e dei sistemi intelligenti, delle fabbriche che, collegate in rete, fanno dialogare i macchinari, gli uomini e i prodotti con il solo obiettivo di creare un unico processo produttivo.  È espressione del profondo cambiamento che il mondo della produzione sta vivendo grazie all’integrazione delle smart technologies nei processi industriali manifatturieri. Le principali direttrici di questo fenomeno sono:

Gestione ed archiviazione di grandi quantità di dati disponibili in rete (BIG DATA), in maniera fruibile liberamente (OPEN). Tali dati vengono acquisiti da oggetti dotati della capacità di interagire tra di loro grazie ad una rete (INTERNET OF THINGS): telecomandi, elettrodomestici, automobili. Questi oggetti, opportunamente dotati di sensori, potranno essere interconnessi ad una rete, così come oggi siamo abituati a fare con smartphone o computer.

ANALITICS. Un insieme di tecniche e di algoritmi saranno necessari per estrarre dai dati (BIG DATA) delle in- formazioni utili e, in ultima analisi, ricavarne un valore. A questo proposito lo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale, può giocare un ruolo fondamentale: il machine learning, ossia l’apprendimento automatico delle macchine. Attualmente poco diffuso a livello industriale, ma si prevede una vera e propria esplosione nei prossimi mesi e anni. Secondo Fortune il 2017 sarà l’anno dell’Intelligenza artificiale. Potenziamento dell’interazione tra esseri umani e macchine, dal consolidamento del touch screen e i comandi vocali, fino allo sviluppo di sistemi di realtà aumentata per l’ottimizzazione degli spazi di lavoro e dei processi produttivi.

Additive manufacturing, costituito da stampa 3D, utilizzo di robotica avanzata, e interazioni tra automi, tramite cui grandi colossi industriali, come General Electric, sta già puntando a realizzare parti di sistemi complessi, come gli aerei a propulsione. Da dove nasce l’Industria 4.0? Da un progetto del governo tedesco che ha avuto origine nel 2012, con l’idea di accrescere la competitività dell’industria manifatturiera tedesca. A ottobre del 2012 un gruppo di lavoro formato da ricercatori e rappresentanti dell’industria presenta al governo federale tedesco una serie di raccomandazioni per l’implementazione di una strategia di sviluppo di soluzioni avanzate nell’industria manifatturiera. Ma quali sono gli effetti che ci aspettiamo da questa rivoluzione? Da un lato avremo la nascita di nuovi posti di lavoro (con  la creazione di posti di lavoro prima sconosciuti), dall’altro una notevole perdita di posti di lavoro. A Novembre 2015 il MiSE ha presentato un documento intitolato “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero”, nel quale sono state indicate 8 aree di intervento per promuovere lo sviluppo dell’industria 4.0 e trasformarlo in opportunità di lavoro e crescita. Ma ahimé, nonostante l’impegno dimostrato dal governo italiano, l’Italia appare molto indietro ed in ritardo sull’industria 4.0. Alla consapevolezza della necessità di evoluzione dimostrata dagli imprenditori, non corrisponde un’adeguata riorganizzazione delle aziende, dei processi della formazione. Mi sa che il cammino è ancora molto lungo.

Dott.ssa Giuseppina Filieri, A.D. della Fondazione Asso.Safe

Punto di Vista – Novembre 2017

Nasce il servizio 81fad.com VR Experience, la realtà virtuale applicata alla sicurezza sui luoghi di lavoro | Corsi e-learning sicurezza

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Nasce il servizio 81fad.com VR Experience, la realtà virtuale applicata alla sicurezza sui luoghi di lavoro

Corsi e-learning sicurezza

La Realtà Virtuale o VR (Virtual Reality in anglosassone) ha sempre rappresentato un obiettivo fin da quando è nato il cinema. Se alla fine dell’800 anche lo stesso cinema “tradizionale” poteva essere considerato una “Realtà Virtuale” con il passare degli anni si è cercato di rendere sempre più realistica la fruizione di contenuti video.

Il primo tentativo di realtà virtuale lo ritroviamo fin dagli anni ’50, più precisamente nel 1955 quando fu creato il Sensorama. Gli utenti erano seduti su una sedia che si muoveva insieme alla simulazione, mentre un grande schermo stereoscopico e casse stereo fornivano stimoli visivi e sonori. Vi era anche un tunnel del vento che simulava effetti d’aria e profumi. Era ovviamente uno strumento di grandi dimensioni e non uscì mai dallo stato prototipale.

A seguire furono creati numerosi altri prototipi che simulavano il mondo reale attraverso sistemi che non si discostano molto da quelli utilizzati oggi. Il principio base era sempre quello di proiettare due immagini differenti, una per occhio, che simulassero così la visione stereoscopica. I famosi occhiali con lenti rosse e ciano ne erano un primo esempio semplificato. Il primo prodotto commerciale a sfruttare un sistema stereoscopico fu il Nintendo Virtual Boy. Il prodotto aveva ovviamente scopo puramente ludico e permetteva la visualizzazione di immagini 3D monocromatiche caratterizzate da linee rosse che ricostruivano ambienti in tre dimensioni. All’epoca fu una rivoluzione dal punto di vista tecnologico soprattutto considerando che Nintendo fu in grado di commercializzare il dispositivo su larga scala cosa che prima di allora sembrava impossibile. Un’errata strategia di vendita errata insieme ad un parco titoli non all’altezza portò alla fine prematura della produzione di questo gioiello tecnologico.

Il fallimento commerciale del prodotto di Nintendo fece capire ai produttori del mondo Hi-Tech che le tecnologie non erano ancora pronte per lo sbarco nel mercato di massa ed accantonarono per molti anni lo sviluppo di sistemi stereoscopici.

Nel 2012, il lavoro di un teenager americano, portò alla rinascita dei sistemi di realtà virtuale. Il nome del progetto era Oculuis Rift, un sistema che sfruttava due schermi LCD ad alta risoluzione per proiettare una immagine stereoscopica che finalmente poteva garantire un livello di realismo tale da essere proposta al grande pubblico nuovamente come aveva fatto 20 anni prima Nintendo. Il sistema, tutt’oggi in via di sviluppo e aggiornamento, pecca soprattutto per la necessità di molta potenza di calcolo ottenibile solo collegandolo a PC di fascia medio-alta.

Nel 2014 vengono finalmente svelati nuovi sistemi che riescono a conciliare economicità e funzionalità utilizzando un sistema che per sua natura è di una semplicità disarmante. Infatti sfruttando la potenza di calcolo e i sensori sempre più precisi presenti sugli smartphone nascono i primi visori con lenti polarizzate che sfruttano per l’appunto il cellulare stesso come “schermo” il quale si divide in due parti visualizzate distintamente dall’occhio destro e dall’occhio sinistro.

Questo sistema evoluto permette finalmente di portare la tecnologia VR a persone e ambienti del tutto nuovi. Le esperienze possibili si moltiplicano con la diffusione di sistemi per la ripresa 3D specifici in grado di creare una resa eccezionale in termini di realismo e sensazione di immersione.

Proprio da questi presupposti nasce anche l’idea di portare la Realtà Virtuale anche all’interno del mondo della Salute e della Sicurezza sui luoghi di lavoro. Durante l’Expo Training 2017 infatti la Fondazione Asso.Safe ha lanciato un nuovo servizio all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, 81fad.com VR Experience è infatti un servizio offerto dalla Fondazione Asso.Safe ai propri centri convenzionati che ha come scopo sia l’informazione sui pericoli inerenti l’utilizzo di determinate attrezzature sia la formazione degli addetti che potranno verificare anche durante la fase di lezione in aula eventuali problematiche tipiche dell’utilizzo di determinati macchinari. Una visione stereoscopica sia di video che di immagini statiche permette quindi di capire meglio le necessarie misure di prevenzione di eventuali incidenti soffermandosi su aspetti che le semplici slide non possono fornire. Inoltre lo strumento può essere utile anche quando ci si interfaccia con i datori di lavoro per poter mostrare concretamente i pericoli che incorrono nell’utilizzo di determinate attrezzature. Infatti spesso che deve formare un addetto della propria ditta ignora completamente i pericoli che il suo dipendente corre quotidianamente. Si finisce con il credere che la formazione sia una mera questione formale mentre il pericolo è relegato all’alveolo delle fatalità.

La visione di un pericolo imminente attraverso la realtà virtuale permetterà a chiunque di capire questi pericoli con i “propri” occhi.

Il servizio offrirà quindi un sistema completo per la visualizzazione dei filmati in 3D che necessiterà di un semplice smartphone per funzionare.

Il servizio 81fad.com VR Experience infatti include il visore 3D personalizzato “81fad.com”, un’applicazione che permetterà di selezionare l’esperienza da visualizzare a seconda delle necessità dell’utente con un semplice tocco, la disponibilità di video a 360° in Virtual Reality in continuo aggiornamento.

Un servizio completo in grado di ottimizzare la gamma di servizi da offrire ai propri clienti e di grande impatto visivo ed esperienziale che oggi nasce all’interno della Fondazione Asso.Safe ma che rappresenta certamente il futuro da un punto di vista professionale.

7 anni fa veniva presentato il primo Ipad, e si cominciarono a vedere i primi tecnici e i primi agenti all’opera con quello che era all’epoca lo strumento futuristico per eccellenza, oggi smartphone e tablet fanno parte della nostra quotidianità così come lo saranno i visori 3D tra qualche anno. Proprio con questa ottica la Fondazione Asso.Safe ha deciso di proporre questo nuovo servizio ai propri centri per vivere già oggi la “normalità” di domani.

Per. Comm. Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

Punto di Vista – Novembre 2017