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I costi standard nell’istruzione | Sicurezza Lavoro Scuole

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I costi standard nell’istruzione

Sicurezza Lavoro Scuole

Suor Anna Monia Alfieri, si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 2001. Ha conseguito il Magistero di Teologia, indirizzo pedagogico-didattico presso l’ISSR di Milano e la laurea in Economia nell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 2007. Dal 2012 è Presidente della Fidae Lombardia e dal 2017 collabora con la Fondazione Asso.Safe al Progetto di sensibilizzazione contro il bullismo e il cyberbullismo Frena il Bullo.

Mentre si susseguono numerosi i fatti di cronaca che stigmatizzano violenze a scuola di vari studenti della Penisola, non mancano purtroppo le “ricette” di soluzioni semplicistiche al problema.

Nemmeno la scuola è indenne dal costume italiano di trasformare gli accadimenti in “fenomeni”, da curare con pillole di saggezza spiccia o direttamente con il Codice Penale: c’è, infatti, chi invoca un richiamo al contratto dei docenti per tutelarli da ragazzi bulli e genitori violenti, chi propone di chiamare i Carabinieri… Uno scenario da Far West. D’altra parte, allo stato dei fatti, non ci sono soluzioni miracolistiche.

Innanzitutto, non occorre affatto invocare nuove leggi (come se il Legislatore non avesse nulla da fare e occorresse a tutti i costi riempirgli l’agenda): sarebbe sufficiente applicare quelle che già esistono.

A che cosa serve riconoscere un diritto se poi non lo si garantisce? All’art. 3 dei princìpi fondanti della Costituzione, è scritto: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».

Ma dove sta la libertà di esercitare questo dovere e diritto? La libertà implica una possibilità di scelta, che necessariamente – se non si vuol ricadere in quella contraddizione in termini che, per dirla con le parole di Aristotele, ci rende “come dei tronchi” – domanda pluralismo educativo.

In parole povere, il genitore cittadino italiano deve scegliere una buona scuola pubblica, come è definita dalla Legge 62 del 2000: la scuola pubblica statale (cioè dallo Stato gestita e controllata) e la scuola pubblica paritaria (quella scuola che dallo Stato non è gestita, ma controllata).

Gli aggettivi “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico” non è necessariamente “statale”, cioè prescinde dal soggetto gestore.

Il San Raffaele è “pubblico”, cioè serve a tutti e quindi riceve fondi pubblici, ma non è “statale” (per sua fortuna, direbbero i maligni). Ma il genitore cittadino italiano può scegliere per il proprio figlio l’educazione che desidera? Può. Solo se è ricco.

Il ricco può scegliere, per il proprio figlio, la scuola pubblica che desidera. Il povero no.

In realtà, in Italia, la famiglia povera è considerata dallo Stato “incapace di intendere e di volere”. Può scegliere, infatti, di ricoverare il nonno al San Raffaele pagando un ticket, ma non può scegliere di educare il figlio presso una buona scuola pubblica paritaria, la quale fa parte, come la pubblica statale, del Servizio Nazionale di Istruzione. Infatti i genitori, con il loro lavoro, non riescono a pagare e le tasse per la scuola pubblica statale e la retta che fa funzionare la scuola pubblica paritaria che vorrebbero. I poveri, insomma, non ce la fanno a pagare due volte per esercitare il loro diritto di libera scelta, nonostante la Costituzione reciti: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, comma 4)».

In Italia il figlio dell’operaio e quello del portinaio non possono scegliere una buona scuola pubblica paritaria, mentre può farlo il figlio del deputato.

La famiglia povera, dunque, deve iscrivere il figlio alla scuola pubblica statale, anche se sarebbe felice di scegliere una pubblica paritaria. Dunque… lo Stato italiano ha forse applicato il secondo comma dell’art. 30: «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti»? Parrebbe di sì!

Una libertà così calpestata poteva forse non alimentare il processo di delegittimazione del ruolo dei genitori e, con loro, dei docenti?

Una scuola che negli anni ha rifiutato la valutazione e la meritocrazia, una scuola preda dei sindacati, che l’hanno ridotta ad ammortizzatore sociale, poteva forse aspettarsi un esito differente?

E oggi, pur di continuare a negare l’urgenza di garantire la libertà di scelta educativa ai genitori (assicurata invece, ad esempio, nella laica Francia), si stigmatizzano gli studenti come violenti, si rispolvera la notizia di reato e la pena, invocando i CC nelle classi… Follia, ignoranza o – peggio – malafede?

Si ricorda che l’art. 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (…)». Si ricorda inoltre che la Legge 62/2000 ha dichiarato “pubbliche” le scuole paritarie, equiparandole in tutto alle statali, esclusa – piccola svista! – la parte economica.

Il Parlamento Europeo ribadisce (risoluzione del 14 marzo 1984, art. 7): «La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Tale libertà comprende inoltre diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata». E all’art. 9 si legge, dal punto di vista del docente: «Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti, all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale».

Affermazioni riproposte dallo stesso Parlamento UE con la risoluzione dell’ottobre 2014.

Ma come potrà, oggi, lo Stato italiano – stremato da corruzione, sprechi, disonestà – permettere ai genitori poveri di scegliere le scuole paritarie?  È necessario, dunque, spendere meglio e di meno. Come?

La via maestra per assicurare una effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero Sistema Nazionale di Istruzione attraverso la definizione del costo standard di sostenibilità per allievo.

Lo dimostra scientificamente – dati alla mano – il saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione dell’on. Stefania Giannini.

In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto pubblico (statale o paritario) che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, a costo zero.

Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. Non esiste alternativa scientificamente valida.

Il fenomeno sociale odierno ci impone una riflessione non punitiva o di tutela, bensì di garanzia del diritto fondamentale dei genitori, che è quello di esercitare liberamente la propria responsabilità educativa: solo da qui potrà scaturire la legittimazione di tutte le parti coinvolte.

I sindacati, i politici, i cittadini sono disponibili ad essere seri su questo tema? Oppure ci stiamo avviando verso una campagna contro il bullismo minorile nei confronti del corpo docenti combattuta nel tribunale televisivo, con la conseguente punibilità del minore sotto i 14 anni e, a cascata, dei genitori?

La conseguenza: sovraffollamento delle carceri e defezione della classe docente. È il rischio della scuola unica di regime. O della fine della scuola. Che si spera non arrivi.

 

Suor Monia Alfieri, Esperta di politiche scolastiche

Gli spazzini del web. Quando la tecnologia non è sufficiente | Corso sicurezza lavoratori Bergamo

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Gli spazzini del web. Quando la tecnologia non è sufficiente

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Facebook, così come altre piattaforme web, hanno dato come prerogativa fin dalla loro nascita una netta censura nei confronti dei contenuti violenti e pornografici. Questa linea “editoriale” è stata adottata proprio per non portare ad una degenerazione dei contenuti che avrebbe potuto in pochi anni trasformare siti come Facebook in grandi bacheche del vizio dove l’aspetto sociale e di interazione degli utenti avrebbe avuto un’importanza marginale. La scelta è dovuta anche al tipo di utenza che popola il mondo di Facebook che è composta anche in parte da minorenni (circa il 6% del totale, 120.000 utenti) ma soprattutto per la volontà da parte di Mark Zuckerberg di tutelare al 100% la propria piattaforma. Per garantire quindi i contenuti del social più famoso del mondo intervengono 2 filtri: un primo filtro è “automatico” e gestito da un sistema di analisi computerizzata dei contenuti delle foto e un secondo filtro invece è fatto da persone reali che filtrano in base alle linee guida indicate dal social network cosa può essere pubblicato e cosa no. Il primo filtro è appunto automatizzato e si basa sul cosiddetto Intelligent Learning. In pratica il sistema è in grado di analizzare una fotografia non solo nei suoi aspetti tecnici ma anche nel suo contenuto ed è in grado di capire quando in essa sono presenti scene di sesso o di violenza. È un sistema che si basa sull’apprendimento. Il software confronta l’immagine caricata con altre presenti nel web riuscendo di volta in volta ad affinare la sua capacità di filtraggio. Fatta una prima scrematura attraverso un sistema automatico interviene in seconda battuta l’intervento umano. Infatti molte delle immagini filtrate devono essere visionate da un essere umano che in base alle linee guida dettate dal social network decide se possono essere pubblicate oppure no. Vi sono delle sfaccettature che un software non è ancora in grado di identificare con precisione. Lo scorso anno il Guardian, giornale famoso a livello mondiale, è venuta in possesso delle linee guida che vengono fornite ai cosiddetti spazzini del web. Le sfumature sono diverse sia dal punto divista sessuale che sulla violenza. Infatti si fa l’esempio di una frase rivolta verso il Presidente degli Stati Uniti Trump: se la frase è “qualcuno dovrebbe sparare a Trump” vanno rimosse, perché i capi di stato sono una categoria protetta sul social network. Al contrario, affermazioni del tipo: “muori” o “spero che qualcuno ti uccida” vengono tollerate poiché non costituiscono una minaccia credibile. Così come accade per alcune foto. I nudi sono sempre eliminati ma ad esempio scene in cui i rappresentati sono nudi ma non vengono mai inquadrati interamente rispettano la policy e quindi rimangono online nel sito. I casi possono essere quindi innumerevoli e solo il giudizio umano può stabilire alla fine cosa può e cosa non può rimanere nel social network. Queste persone vengono definite “spazzini del web”. Il loro lavoro è quello di decidere in pochi secondi se il contenuto rispetta o meno i dettami delle linee guida previste. Un lavoro che come ben spiegato dal documentario “The Moderators”, di Ciaran Cassidy e Adrian Chen, richiede una buona dose di sangue freddo. Sono migliaia le foto che vengono visualizzate che vanno dalla semplice pornografia a scene di violenza che purtroppo in alcuni casi coinvolgono anche bambini. Non mancano immagini video di suicidi che al solo pensiero fanno rabbrividire ma che tali persone sono “costrette” per lavoro a visionare ogni giorno. Questi centri sono dislocati in tutto il mondo, principalmente in India, dove persone alla prima esperienza lavorativa si occupano di decidere cosa può rimanere e cosa dev’essere rimosso dalla rete. Vi è poi una terza via che porta all’eliminazione di un contenuto. Infatti se il sistema per qualche ragione non individua un contenuto “sensibile” vi sono le segnalazioni degli utenti a metterlo in evidenza. Infatti un altro compito degli “spazzini del web” è quello di esaminare le segnalazioni da parte degli utenti. Queste sono preponderanti ad esempio negli episodi di bullismo dove molto spesso non vi è formalmente una violazione della policy dei social network, non essendo presenti nudità o violenza vera e propria, ma si evince un comportamento criminale dato dal perpetuarsi di certi comportamenti. Ad esempio la foto di uno scherzo tra adolescenti potrebbe essere classificata come un episodio normale ma se a questo fatto vi è poi un susseguirsi di azioni discriminatorie come commenti oppure il ripetersi di tali atti nei confronti di un’unica persona o da parte di un’unica persona si viene a conformare la classica situazione di cyberbullismo. La segnalazione di tali atti da parte di una o più persone porta velocemente alla cancellazione del contenuto potendo quindi bloccare “sul nascere” eventuali atti lesivi alla persona. Quello che ci deve far riflettere è come, nonostante l’evoluzione della tecnologia, vi sia ancora bisogno della sensibilità umana per capire cosa è tollerabile e cosa no in una determinata piattaforma online. Passaggi che ovviamente più andremo avanti e più verranno automatizzati ma che necessitano dell’input umano per non cadere in contraddizioni ed esasperazioni. La più famosa delle “censure” di Facebook fu in occasione della pubblicazione di un album contenente la foto di una ragazza Nord Vietnamita completamente nuda che scappava dal proprio villaggio in fiamme dopo un attacco al Napalm. Uno scatto molto famoso inserito anche in alcuni libri di storia che nella sua crudità rappresenta in maniera efficace l’orrore che contraddistinse quel conflitto. Tempo fa questo scatto venne censurato ed eliminato proprio perché non rispettava ovviamente la policy prevista da Facebook ovvero il suo contenuto rappresentava una minorenne senza vestiti. La “censura” in questa occasione colpì proprio perché non vi era stato l’intervento umano che avrebbe quindi impedito l’eliminazione considerando la foto al pari di un diritto di cronaca. Dopo questo caso, che ovviamente suscitò clamore mondiale, vi fu una modifica delle regole sui nudi sul social network più famoso al mondo che provvedeva la possibilità di inserirli nel caso in cui essi facciano parte della cronaca di una notizia. Allo stesso modo è stata consentita la pubblicazione di opere artistiche contenenti nudi integrali che in un primo momento il sistema censurava. Lo sviluppo dell’Intelligent Lear- ning, un sistema che confronta le informazioni da analizzare con i contenuti del web, porterà nei prossimi anni ad una graduale diminuzione dell’intervento umano in favore di un sempre più preciso sistema automatizzato ma fino a quel momento l’intervento degli “spazzini del web” sarà indispensabile per garantire una navigazione sicura per noi e soprattutto per i più giovani.

 

Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

Cleaning professionale: I rischi del settore | Valutazione rischi Bergamo

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Cleaning professionale: I rischi del settore

Valutazione rischi Bergamo

Contusioni, abrasioni, fratture e disturbi muscolari causati da carichi troppo pesanti: sono gli infortuni più frequenti che si verificano nel settore del cleaning. Tra gli incidenti ricorrenti anche il contatto o l’inalazione di prodotti chimici e gli infortuni a rischio biologico prevalentemente da aghi a sospetta contaminazione. I disturbi muscolo scheletrici costituiscono il 30-40 per cento delle malattie professionali del settore. Altre patologie frequenti riguardano la cute, quindi dermatiti, e l’apparato respiratorio, asma.

I rischi

I rischi per la sicurezza e la salute di chi lavora nel comparto sono diversi. Quelli dovuti a cadute dall’alto nell’uso di scale portatili, rischi di scivolamento, urto, schiacciamento, rischi di contatto con agenti chimici o biologici. E ancora movimentazione manuale di carichi e movimenti ripetitivi, e rischi da utilizzo di attrezzature elettriche.

Gli infortuni da caduta dalle scale portatili sono spesso gravi e legati a lavori svolti in quota: la pulizia dei vetri, delle tapparelle, degli androni, o durante piccole manutenzioni come il cambio di lampadine. Le scale, infatti, vengono utilizzate come luoghi dove i lavoratori svolgono attività che impegnano le due mani, spesso spostando o sollevando pesi o assumendo posture che facilitano lo sbilanciamento. Tra i danni più frequenti ci sono le abrasioni, le contusioni, le fratture agli arti inferiori e superiori.

L’infortunio più ricorrente nel settore delle pulizie è quello da “urto, schiacciamento”, in gran parte legato all’utilizzo di attrezzature ma anche agli spazi ridotti in cui, spesso, il lavoratore si trova ad operare. Rispetto al rischio di caduta per scivolamento i danni tipici sono le contusioni, le distorsioni e le lesioni agli arti superiori e inferiori.

E poi ci sono i prodotti chimici per la pulizia e la disinfezione ambientale utilizzati in questo settore. L’esposizione al rischio è correlata alla qualità dei prodotti utilizzati, alla frequenza e alla modalità con cui vengono impiegati. Nonché dalla presenza di adeguati ricambi d’aria nel luogo di lavoro.

Malattie della pelle

Dermatiti irritative e allergiche localizzate alle mani, ai polsi, agli avambracci. Si sviluppano nel tempo per esposizioni ripetute anche a quantità basse di sostanze irritanti, ed assumono la forma cronica con possibile remissione nel lungo periodo. La patologia più diffusa è sicuramente l’eczema alle mani che secondo alcuni studi rappresenta il 60-90 per cento di tutte le affezioni della pelle riscontrate nei lavoratori delle pulizie. Oltre alla presenza di sostanze irritanti vanno prese in considerazione le diminuite difese della pelle, dovute sia alle sostanze utilizzate, sia al fatto che i lavoratori delle pulizie stanno con le mani bagnate per lunghi periodi dell’orario di lavoro.

Malattie respiratorie e asma

Patologie irritative delle prime vie aeree, delle mucose e degli occhi. Secondo alcune ricerche risulta che l’incidenza di asma è cresciuta tra i lavoratori delle pulizie negli ultimi dieci anni. E che le pulizie sono la quarta attività lavorativa con il più alto rischio di asma dopo quelle degli agricoltori, dei verniciatori e degli operai dell’industria plastica. Il rischio di asma differisce a seconda delle attività e dei locali dove si svolgono i lavori di pulizia ed è più alto per le pulizie di cucine, le lucidature mobili e la pulizia dei sanitari. Questo si può spiegare con l’uso di spray e prodotti per pulire come clorina, sale di ammonio, composti di ammonio quaternario ed etanolammine.

 

A cura della redazione di Muletti Dappertutto

Imprese ed associazioni insieme per un 2019 ricco di novità | Corsi Sicurezza Lavoro Bergamo

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Imprese ed associazioni insieme per un 2019 ricco di novità

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Venezia, 14 Dicembre 2018 – Si è concluso nei migliori dei modi il Meeting Nazionale 2018 della Fondazione Asso.Safe. L’incontro ha avuto come protagonisti nomi di spicco dell’associazionismo e delle realtà imprenditoriali del paese ed è stata l’occasione per valutare i risultati del 2018 e presentare le prospettive per il 2019. L’incontro tra le esigenze delle aziende e le risposte delle associazioni, attraverso i numerosi accordi intersindacali, è stata al centro dell’incontro con la presenza di una importante rappresentanza da un lato delle aziende che da anni lavorano con la Fondazione Asso.Safe e A.D.L.I. e dall’altra una nutrita rappresentanza dell’associazione Federlavoro che di recente ha stipulato un accordo di collaborazione con la Fondazione Asso.Safe per una maggiore diffusione della cultura della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

La presenza all’evento di rappresentanti delle autorità, in particolar modo del sindaco di Santa Maria di Sala Nicola Fragomeni e di Crisitano Cafini, rappresentante del Sindacato di Polizia S.I.A.P., hanno arricchito maggiormente di prestigio un incontro che aveva anche lo scopo di avvicinare istituzioni e il mondo delle imprese.

Il Meeting Nazionale è stata anche la migliore cornice per presentare i due nuovi testimonial scelti dalla Fondazione Asso.Safe per le campagne previste nel 2019: Italo Screpanti, concorrente di Masterchef Italia 7, ex comandante di volo Alitalia, testimonial della campagna a favore dell’igiene alimentare ed incentivazione all’utilizzo del sistema H.A.C.C.P., e la Campionessa Mondiale di Muay Thai, Anna Marie Turcin, che a partire da Febbraio 2019 si occuperà della nuova campagna per l’autodifesa delle donne finanziata dalla Fondazione Asso.Safe con il patrocinio del Comune di Santa Maria di Sala (VE).

L’incontro ha poi visto susseguirsi con rapidi ma efficaci interventi inerenti i risultati appena conseguiti da A.D.L.I., attraverso la voce del Presidente Carlo Parlangeli, e dalla Fondazione Asso.Safe, rappresentata per l’occasione dall’A.D. Dott.ssa Giuseppina Filieri. Durante il loro intervento sono stati esposti i risultati del 2018 evidenziando la crescita costante che ha visto protagoniste entrambe le associazioni.

Sono quindi intervenuti, in rappresentanza del mondo dell’associazionismo il Presidente di Federlavoro Dott. Bertino Trolese, il Dott. Giuseppe Ligotti, sempre in rappresentanza di Federlavoro, il Dott. Gianpaolo Basile, responsabile di Fonditalia e inoltre sempre in nome della Fondazione Asso.Safe sono intervenuti Alberto Faggionato, presentando le novità 2019 di 81check.it, servizio dedicato alla realizzazione dei documenti di valutazione dei rischi e quest’anno abilitato anche per la realizzazione dei documenti inerenti il nuovo GDPR 2016/679 sulla privacy e il Dott. Simone Ascolese per presentare la nuova Associazione Europea dei Professionisti e delle Imprese A.E.P.I. di cui A.D.L.I. fa parte.

In rappresentanza delle imprese sono intervenuti, l’Ing. Sergio Muller, esperto in certificazioni, e il Dott. Alberto Minarelli, che ha illustrato l’evoluzione dei sistemi D.P.I. nell’ultimo secolo.

Dott.ssa Laura Faggiotto