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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano. | DVR Bergamo

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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano.

DVR Bergamo

Il polmone rappresenta l’organo più esposto ai tossici professionali costituendo inoltre la principale via di assorbimento di molte sostanze aerodisperse in ambito lavorativo.

Per capire la ragione dell’importanza dell’apparato respiratorio in ambito lavorativo basti pensare che i nostri polmoni sono costituiti da oltre 120.000 alveoli (piccole “sacchette” dove l’aria e le sostanze tossiche entrano in contatto con i capillari) che hanno una superficie interna complessiva di circa 70 mq, paragonabile a quella di un appartamento di medie dimensioni.

Questa enorme superficie di scambi fa sì che ogni tossico inalato possa essere assorbito nel sangue del lavoratore.

Ogni individuo inoltre effettua circa 17.000 atti respiratori al giorno (se è a riposo) e per tanto il volume d’aria scambiato con l’ambiente esterno giornalmente è di 8.000–20.000 litri.

Alla luce di quanto detto è evidente che ogni agente tossico presente in ambiente lavorato può determinare effetti a carico dell’apparato respiratorio e da questo andare ad interessare anche altri organi per effetto dell’assorbimento attraverso il sangue.

L’esposizione lavorativa può essere causa di una vasta gamma di malattie professionali tra le quali bronchite acuta e cronica da polveri, gas e fumi tossici, fibrosi polmonari da carbone, silice ed amianto, asma professionale (ad esempio da isocianati o polveri di cereali), malattie da iper sensibilità (polmone del contadino da inalazione di spore fungine presenti nel fieno), infezioni (ad esempio la tubercolosi) ed infine i tristemente noti tumori professionali del polmone o delle pleure (mesotelioma pleurico).

In particolare quest’ultimo assume grande rilevanza in quanto trattasi di neoplasia altamente maligna e gravata da una elevata mortalità e la cui incidenza nella popolazione generale è in aumento nonostante il bando nazionale dell’amianto (fuori produzione dal 1992) per via della lunga latenza di insorgenza (il tumore può insorgere anche a 40 anni dall’esposizione).

Tra le altre malattie merita attenzione la bronchite cronica (e l’enfisema) che può manifestarsi nei saldatori che lavorano in assenza di dispositivi di protezione (aspiratori) per effetto dell’inalazione di ossidi di metallo, la bronchite degli esposti a polveri di cemento che può evidenziarsi tra i lavoratori dei cementifici e nel comparto dell’edilizia e l’asma professionale.

Quest’ultima rappresenta una patologia emergente e spesso non diagnosticata in quanto il medico di famiglia e lo pneumologo solitamente non indagano la storia lavorativa dei soggetti visitati.

Dal momento che le malattie polmonari da lavoro possono essere anche molto gravi ed a volte letali è necessario agire in via preventiva, mantenendo salubre l’aria dell’ambiente di lavoro ed utilizzando gli appositi dispositivi di protezione individuale (mascherine/facciali filtranti adeguati alla dimensione delle particelle presenti).

È inoltre fondamentale effettuare una diagnosi precoce di eventuali malattie appena insorte per poter allontanare il lavoratore dall’esposizione nociva; a tal fine il medico competente dell’azienda effettua una visita medica mirata all’apparato respiratorio e integra l’indagine mediante la spirometria.

L’esame spirometrico si esegue con l’ausilio di uno strumento chiamato spirometro.

L’indagine è semplice, per nulla invasiva o fastidiosa ma richiede una completa collaborazione da parte del lavoratore che deve eseguire delle manovre respiratorie mentre è collegato con la bocca allo spirometro. Essa misura la funzione dei polmoni e dei bronchi in maniera semplice ed accurata.

L’indagine clinica in casi specifici può essere integrata da una radiografia del torace o (più modernamente) da una TC del torace ad alta risoluzione. Quest’ultimo esame, comportando una dose di radiazioni più elevata può essere prescritto dal medico solo in casi particolari.

Il lavoratore deve segnalare al medico competente ogni eventuale sintomo (tosse, difficoltà respiratoria, affanno) insorto in ambiente lavorativo affinché questi possa indagarne il motivo.

Ovviamente è tassativo che particolarmente coloro che lavorano esposti a tossici respiratori si astengano dal fumo di sigaretta.

Per quanto riguarda il cuore e l’apparato cardiovascolare, questo può essere il bersaglio di agenti professionali (solventi, metalli) in grado di determinare aritmie, ischemia miocardica e scompenso cardiaco. Tali effetti alle attuali esposizioni lavorative sono però divenuti fortunatamente rari.

Più comunemente può avvenire che una condizione di salute personale (ad esempio un infarto) pongano problemi di idoneità allo svolgimento di una determinata mansione che comporta ad esempio sforzi gravosi (edilizia o magazzinaggio).

In tali casi il medico competente richiederà una serie di esami (elettrocardiogramma, prova da sforzo ecocardiogramma) che sono utili a capire quale è il livello di sforzo che il lavoratore può compiere senza rischio.

Anche e soprattutto in ambito cardiovascolare è molto importante prestare attenzione alla riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare mediante riduzione dei livelli di colesterolo, controllo della pressione arteriosa, pratica di regolare attività fisica, abolizione del fumo di sigaretta.

Dott. Luca Coppeta, Professore Ordinario all’Università degli Studi di Tor Vergata

Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti | Valutazione Rischio Chimico

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Un’esperienza diretta sui pesticidi e diserbanti

Valutazione Rischio Chimico

Rutilio Segatori è nato a Milano nel 1963 e si è diplomato come perito industriale nel 1983. Per motivi famigliari si trasferisce in provincia di Cremona nel 1985 e qui, grazie alla patente di caldaista, ha iniziato a lavorare come manutentore in quest’ambito, come dipendente del comune di Robecco D’Oglio.

Fino al 1998, oltre alla manutenzione degli stabili e del depuratore, ho utilizzato sia diserbanti che pesticidi, a seconda dell’area da pulire o della struttura comunale da preservare. I diserbanti, distribuiti sui viali di ghiaia, erano utilizzati per mantenere “pulite” le aree verdi e i parchi, i prodotti granulari a lenta cessione venivano utilizzati sia nei cimiteri affinchè si potesse avere un maggior tempo di rilascio che sulle strade per mantenere puliti bordi e marciapiedi. Poi utilizzavo gli insetticidi contro mosche e zanzare sia presso la casa di riposo comunale che nelle scuole.

L’esposizione a diserbanti e a pesticidi, mi ha inevitabilmente causato dei problemi di salute. Ho consultato diversi medici, ma è solo grazie al dott. Luigi Mancini che siamo venuti a capo del problema: ero affetto da un blocco nel metabolismo dovuto all’atrazina e metabenzene. Ricordo che dissi al dott. Mancini che il problema emerso non poteva essere dovuto all’uso di diserbanti e pesticidi, in quanto noi operai, non solo eravamo in possesso delle abilitazioni necessarie per poterli usare (i patentini), ma che prima di entrare in contatto con dette sostanze, quindi in piena coscienza di ciò a cui ci esponevamo, indossavamo le protezioni necessarie e prendevamo le dovute precauzioni. Per queste ragioni proprio non capivo! Come potevo aver assorbito i principi attivi dei prodotti che utilizzavo? Il dottore mi fece notare una cosa molto semplice: “se non cresce l’erba e non ci sono insetti, vuol dire che il prodotto è presente ed agisce”. Quindi, noi operai, andando a lavorare in questi luoghi e sollevando le polveri o addirittura triturando l’erba secca, inevitabilmente respiravamo il prodotto, introducendolo così nel nostro corpo. Ero intossicato! Con l’aiuto dell’omeopatia impiegai un anno per liberarmi dell’atrazina e quasi due, per debellare il metabenzene. Proprio in quel periodo questi due principi attivi venivano eliminati dal mercato a favore del glifosate. A detta dei venditori del settore, si trattava di un prodotto rivoluzionario, a basso costo ed efficace. Sistemico perchè colpiva la radice delle erbe infestanti e selettivo perché lavorava solo sul DNA delle piante, risultando così innocuo per l’uomo. A distanza di 25 anni dalla sua comparsa in commercio, su larga scala, sta venendo a galla che si tratta di un prodotto altamente nocivo per l’uomo. I residui di glifosato infatti rimangono per lungo tempo nelle piante, ma soprattutto in quelle di mais e di grano. I trinciati di mais vengono mangiati dalle mucche che poi producono latte, il grano viene trasformato in farina: ecco spiegato perché molti bambini soffrono di intolleranze alimentari (generalmente al latte vaccino e alla pasta o ai prodotti derivati dalle farine). Ed il clima di certo non aiuta, anzi rende tutto più difficoltoso. Se pensiamo all’estate appena trascorsa, alla siccità causata dall’assenza di pioggia, non possiamo far altro che riflettere sull’alta concentrazione delle polveri che si sono disperse in aria, anche a causa di un utilizzo massivo e massiccio di macchine e mezzi agricoli sempre più veloci per le lavorazioni del terreno. I dati del 2015 dell’International Agency For Research On Cancer classificano i GLIFOSATE come cancerogeni sia per gli esseri umani che per gli animali (basti pensare quanti cani, che portiamo a fare le passeggiate nei campi e nel verde, soffrono di tumori perché annusano e toccano con il muso il terreno), mentre l’ESFA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) dichiara che il pesticida non è poi così pericoloso, non classificandolo come cancerogeno, ma che un uso improprio potrebbe causare dei danni agli occhi e potrebbe risultare tossico per gli ambienti acquatici. Peccato che queste informazioni si basino sui dati forniti dall’azienda che produce l’erbicida.

Di diverso parere sono i medici per l’ambiente ISDE (International Society of Doctors for the Environment), un’associazione non governativa che riunisce medici di varia nazionalità che mettono come problemi di tipo ecologico possono essere correlate a problematiche sanitarie. I medici di quest’ associazione dichiarano che una prolungata esposizione all’erbicida produce gravi malattie, sia che si tratti di agricoltori che vengono a contatto diretto con l’erbicida, sia che si tratti di consumatori che assumono alimenti trattati con glifosate. A causa di ciò, malattie come la SLA o il PARCHINSON sono in aumento. Assistiamo così a malesseri generali sia ai danni di alcuni calciatori che vanno a giocare sui prati di calcio trattati da erbicidi, o ad agricoltori che, durante il periodo di raccolta, soprattutto dei trinciati, accusano malattie più o meno gravi, che si accentuano maggiormente, quando sono a stretto contatto con il prodotto. Anche le persone che hanno la loro casa confinante con campi coltivati soprattutto a mais, accusano malori o malesseri, più o meno gravi. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) mette in guardia dagli effetti dannosi dei pesticidi e degli erbicidi, dichiarando che sono causa di morte per circa 200.000 persone al mondo. La Commissione Europea è chiamata ad esprimersi sul prolungamento o la revoca della licenza sull’uso del glifosate. Solo Francia, Italia, Austria, Lussemburgo, Belgio sono contrari all’uso del glifosate, mentre gli altri stati europei no. Si parla di una proroga di altri tre anni prima che venga presa una decisione definitiva. In Italia, alcuni venditori non danno più di uno o due litri al privato, alcuni comuni hanno vietato l’utilizzo di detti diserbi nelle aree urbane. In alcune regioni bisogna mantenere distanze di 20 metri dai confini del terreno, strade e fossi, in cui viene distribuito il prodotto. Alcune incentivano procedimenti alternativi come vapore e schiumogeno a base di prodotti naturali, oppure la pulizia meccanica delle erbe. Sembra quasi che qualcosa si muova. Non faccio parte né dell’ISDE, né dell’OMS, ma posso raccontarvi la storia dei miei amici/colleghi. Luigi è morto 6 anni fa con il fegato sciolto da un tumore e faceva il seppellitore. Roberto, che andrà in pensione a fine anno, 9 anni fa si sottoponeva ad un intervento di esportazione della milza, perché con un tumore. Luciano 7 anni fa, dopo appena una settimana dal suo pensionamento, riscontrava dai medici di avere gravi problemi alle valvole cardiache. Sergio, andato in pensione 8 anni fa, ulcera perforante e aneurisma al cuore. Stefano, andato in pensione 20 anni fa, aveva dei grossi problemi ai reni: sono già 7 anni che è morto. Saranno coincidenze, ma 5 operai su 6 hanno avuto problemi seri. Io sono riuscito a curami e sono riuscito ad eliminare queste tossine che si accumulano, in primis, nell’intestino, poi nel fegato, nel pancreas e nella milza. Quando si accumulano nella milza, che è il sacchetto dell’aspirapolvere del nostro corpo, e quindi si intasa, compaiono dolori articolari e tendiniti. Mi sono molto documentato in primo luogo perché dovevo disintossicarmi, ma soprattutto per capire gli effetti dannosi delle tossine aero disperse e contrastarne gli effetti sul mio corpo. Ho letto molti testi e ho cominciato a tenere un diario alimentare quotidiano: in questo modo mi sono fatto un’idea di quali sono i cibi che al mio organismo fanno male perché trattiene i veleni e ciò che fa bene e aiuta a smaltirli (come per esempio la malva, il rosmarino, il tarassaco, l’argilla) e quello che mi fa male (come il lievito, la farina, i formaggi ecc…). Ho impiegato vent’anni nello studio al contrasto ai veleni che ci circondano e per me è molto difficile raccontarlo in poche righe. Ad esempio, le piogge di questi ultimi giorni, sono benefiche perché, se le persone che vi circondano hanno iniziato a stare meglio, è perché si è abbassato il livello di polveri avvelenate disperse nell’aria che respiriamo. Una cosa è certa però: non ci sono pezzi d’aria in cui non si disperdano questi veleni, pertanto anche coloro che li progettano, li producono e li vendono li respirano. Questo per far capire come questi veleni che vanno nell’aria li respiriamo tutti, anche quelli che li producono e li vendono.

Mi auguro si cominci realmente a fare qualcosa, affinché, la salute, DIVENTI UN DIRITTO PER TUTTI.

 

Per. Ind. Rutilio Segatori, Dipendente del comune di Robecco D’Oglio

Industria 4.0: la rivoluzione annunciata | Consulente RSPP

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Industria 4.0: la rivoluzione annunciata

Consulente RSPP

Una rivoluzione già iniziata ha portato l’industria ad un nuovo livello tecnologico. Dall’utilizzo massivo di macchine automatizzate all’avvento di internet e dell’intelligenza artificiale. Come saranno gli sviluppi presenti e futuri della tecnologia produttiva?

Se il mondo lo guardiamo a testa in giù, è perché pensiamo che la posizione assunta dai pipistrelli per dormire sia quella più comoda. Ciò che così riusciamo a guardare, è un mondo alla rovescia, in cui i ruoli si sono incontrovertibilmente invertiti, in cui l’illecito diventa lecito, in cui i cantanti ed i comici fanno politica e dove i politici fanno spettacolo. I diritti vengono scambiati per favori, i mariti e le mogli, quando si sentono stanchi del loro rapporto, si eliminano a colpi di accetta, la cultura è diventata un contorno perché superflua e non è richiesta tra i requisiti necessari per fare successo, le buone pratiche e il buon esempio lasciano il posto a malefatte, delitti, ed è normale giudicare stupido chi si ostina ancora a credere che, in tutto ciò, esista qualcosa di buono. Siamo sicuri che parliamo di rivoluzione? Siamo sicuri che non stiamo parlando invece di involuzione? Esistono oggi rivoluzionari? Chi è un rivoluzionario?

Per me, Rivoluzionario è colui che, oggi, ha il coraggio di usare ancora le paroline magiche “grazie, scusa, per favore, buongiorno”, colui che insegna l’educazione e il rispetto, colui che prova ancora quel sano senso di riverenza per i “saggi”, colui che insegna a fare le cose con gentilezza e prova gratitudine per le cose che ottiene. Pretendere, mercificare, comprare e scambiare: queste sono le combinazioni che fanno dell’uomo del XXI secolo un essere vincente. E se da un lato assistiamo a profondi cambiamenti (politici, sociali ed economici), dall’altro stiamo assistendo ad un “umano” che nasce, cresce e si sviluppa, ascoltando istinti e pulsioni, e se un tempo con l’intellighentia veniva purgata l’utopia, oggi con la stupidità vengono alimentati i peccati.

La percepisci, ma non riesci a sintetizzarla quest’apatia letargica. Uno degli indicatori fondamentali, che ti dà l’indicazione di quanto sia presente all’interno di un contesto (lavorativo, relazionale, umano) è la mancanza di curiosità. Ecco per me, ad una involuzione corrisponde necessariamente una mancanza di curiosità. Ma questa è una storia che ricomincia ogni volta, una storia che verrà raccontata nei libri, una storia che ha in sé il peso di un’eredità. La chiameremo parabola o legenda, ma di certo, come in un sogno dai contorni sfumati, parlerà della cultura e della politica del nostro Paese.

E ci ritroviamo, così, a pieno titolo, come un fuoco d’artificio, troppo carico di ambizione e fallimento, a vivere da una parte l’involuzione 1.0 e dall’altra, la rivoluzione industriale 4.0.

Lo stupore, la curiosità, il terrore e l’entusiasmo sono sentimenti che albergano nel mio animo parlando di rivoluzione industriale. Già perché se penso a quello che ho letto nei libri di storia, mi vengono alla mente immagini di roghi, di fiamme, di gente che si ribella, di gente che lotta….

La prima rivoluzione industriale interessa il settore tessile e metallurgico, con l’introduzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. A partire dal 1870 viene convenzionalmente fatta partire la seconda rivoluzione industriale con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Ci si riferisce, invece, agli effetti dell’introduzione massiccia dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nell’industria, come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire intorno al 1950. Quest’ultima, conosciuta anche come rivoluzione digitale, segna il passaggio dalla meccanica, dalle tecnologie elettriche e da quelle analogiche alla tecnologia digitale, sviluppatasi nei Paesi più avanzati mediante l’adozione e la diffusione capillare di computer e la conservazione dei documenti in formato digitale. Che tutto il ‘900 sia stato un periodo di forti rivoluzioni e cambiamenti, lo dice anche la forte spinta alla trasformazione della struttura produttiva, e, più in generale del tessuto socio – economico. Innovazione tecnologica che ha inevitabilmente portato allo sviluppo economico della società. Terza rivoluzione, quindi, legata all’innovazione data dalla nascita dei computer, dei robot, della prima navigazione spaziale e dei satelliti.

E poi, di colpo, ci ritroviamo ad assistere ad un cambiamento epocale, la cui portata e dimensioni apre la strada a strategie, modelli e paradigmi nuovi. Stiamo parlando della Quarta Rivoluzione Industriale. Le parole chiave di questa nuova epoca sono: innovazione, ricerca, validazione, produzione e sviluppo di nuovi prodotti e servizi con il minimo comune denominatore costituito da un alto grado di automazione ed interconnessione. Si tratta della rivoluzione dell’interconnessione e dei sistemi intelligenti, delle fabbriche che, collegate in rete, fanno dialogare i macchinari, gli uomini e i prodotti con il solo obiettivo di creare un unico processo produttivo.  È espressione del profondo cambiamento che il mondo della produzione sta vivendo grazie all’integrazione delle smart technologies nei processi industriali manifatturieri. Le principali direttrici di questo fenomeno sono:

Gestione ed archiviazione di grandi quantità di dati disponibili in rete (BIG DATA), in maniera fruibile liberamente (OPEN). Tali dati vengono acquisiti da oggetti dotati della capacità di interagire tra di loro grazie ad una rete (INTERNET OF THINGS): telecomandi, elettrodomestici, automobili. Questi oggetti, opportunamente dotati di sensori, potranno essere interconnessi ad una rete, così come oggi siamo abituati a fare con smartphone o computer.

ANALITICS. Un insieme di tecniche e di algoritmi saranno necessari per estrarre dai dati (BIG DATA) delle in- formazioni utili e, in ultima analisi, ricavarne un valore. A questo proposito lo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale, può giocare un ruolo fondamentale: il machine learning, ossia l’apprendimento automatico delle macchine. Attualmente poco diffuso a livello industriale, ma si prevede una vera e propria esplosione nei prossimi mesi e anni. Secondo Fortune il 2017 sarà l’anno dell’Intelligenza artificiale. Potenziamento dell’interazione tra esseri umani e macchine, dal consolidamento del touch screen e i comandi vocali, fino allo sviluppo di sistemi di realtà aumentata per l’ottimizzazione degli spazi di lavoro e dei processi produttivi.

Additive manufacturing, costituito da stampa 3D, utilizzo di robotica avanzata, e interazioni tra automi, tramite cui grandi colossi industriali, come General Electric, sta già puntando a realizzare parti di sistemi complessi, come gli aerei a propulsione. Da dove nasce l’Industria 4.0? Da un progetto del governo tedesco che ha avuto origine nel 2012, con l’idea di accrescere la competitività dell’industria manifatturiera tedesca. A ottobre del 2012 un gruppo di lavoro formato da ricercatori e rappresentanti dell’industria presenta al governo federale tedesco una serie di raccomandazioni per l’implementazione di una strategia di sviluppo di soluzioni avanzate nell’industria manifatturiera. Ma quali sono gli effetti che ci aspettiamo da questa rivoluzione? Da un lato avremo la nascita di nuovi posti di lavoro (con  la creazione di posti di lavoro prima sconosciuti), dall’altro una notevole perdita di posti di lavoro. A Novembre 2015 il MiSE ha presentato un documento intitolato “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero”, nel quale sono state indicate 8 aree di intervento per promuovere lo sviluppo dell’industria 4.0 e trasformarlo in opportunità di lavoro e crescita. Ma ahimé, nonostante l’impegno dimostrato dal governo italiano, l’Italia appare molto indietro ed in ritardo sull’industria 4.0. Alla consapevolezza della necessità di evoluzione dimostrata dagli imprenditori, non corrisponde un’adeguata riorganizzazione delle aziende, dei processi della formazione. Mi sa che il cammino è ancora molto lungo.

Dott.ssa Giuseppina Filieri, A.D. della Fondazione Asso.Safe

Punto di Vista – Novembre 2017

Dai corsi universitari tramite corrispondenza allo standard SCORM | Corsi e-learning Milano

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Dai corsi universitari tramite corrispondenza allo standard SCORM

Corsi e-learning Milano

Quando sentiamo parlare di e-learning subito pensiamo ad internet e ai computer. Associamo ovviamente questo termine ad oggetti e sistemi che ben conosciamo e che utilizziamo quotidianamente ma raramente ci poniamo la questione di capire cosa c’è dietro a questa semplice parola.

Perché la rete è semplice, bastano pochi clic o qualche tocco nel nostro smartphone che accediamo a qualsiasi contenuto motori di ricerca, notizie, video, scriviamo una mail, digitiamo un testo o consultiamo la nostra rubrica.

Quando si parla di e-learning però le questioni tecniche assumono un valore molto più importante. Il sito internet che ospita dei corsi deve rispettare delle norme molto più stringenti. Proprio per questo motivo alla fine degli anni 90 si è sviluppato un sistema che avesse come scopo quello di rendere universale la fruizione di contenuti e-learning. Ma storia della formazione a distanza affonda le sue radici ben più lontane nel tempo. Addirittura alla fine dell’800 quando lo Stato di New York, negli U.S.A., autorizzò le lauree per corrispondenza.

Questo modello di formazione a distanza, di cui rimangono purtroppo poche testimonianze, era rivolto quasi esclusivamente ad un pubblico adulto e prevedeva delle lezioni inviate per posta che spesso contenevano anche istruzioni per lo studio e l’unico vero contatto tra docente e discente era il test di verifica anch’esso inviato tramite posta. Tutto il sistema di formazione a distanza di questo tipo viene generalmente definito di Prima Generazione.

Lo sviluppo dell’istruzione a distanza, quella che noi oggi chiamiamo comunemente FAD, è sempre stata dettata dai mezzi a disposizione.

Nasce così, con l’arrivo delle radio e successivamente della televisione, la Seconda Generazione della formazione a distanza. Questa è caratterizzata dall’introduzione di contenuti audio e video che rendono i contenuti più semplici da capire anche ad un pubblico non esperto.

Il sistema è comunque ancora corredato di supporti cartacei sia per approfondire i temi svolti sia per la verifica successiva dei contenuti. Inoltre ad affiancare la tecnologia televisiva nascente si introduce il supporto telefonico che rimarrà di fatto in vigore fino ad oggi come sistema di interfacciamento diretto tra docente e discente.

Lo vediamo tutt’oggi infatti nella piattaforma di e-learning 81fad.com dove ai più moderni sistemi di contatto come email e messaggi direttamente inviabili attraverso il sistema LMS viene affiancato un servizio di tutoraggio, sia tecnico che sui contenuti, per aiutare l’utente che dovesse per qualche ragione trovarsi in difficoltà.

Agli inizi degli anni ’80 viene inoltre introdotto l’utilizzo delle videocassette VHS, standard utile per la diffusione di contenuti video che così non necessitano più di vincolare il discente a determinati orari ma gli permettono una fruizione ancora più personalizzata e più simile alla concezione moderna di FAD.

Solo con l’avvento di internet a metà degli anni ’80 diventa finalmente possibile fruire delle lezioni attraverso i primi personal computer.

Le prime lezioni vengono erogate dal New Jersey Institue of Technology nel 1984 e permettono quindi di laurearsi frequentando i corsi direttamente da casa.

Negli anni 90 la rapida diffusione dei CD-ROM permette finalmente di implementare ai contenuti testuali anche video e audio in una discreta qualità aprendo quella che viene definita l’era del CBT (Computer Based Training).

Il Computer Based Training o CBT (“insegnamento basato sul computer”) è un metodo di insegnamento basato sull’uso di speciali software didattici per computer o di altro software dedicato (in forma di CD-ROM, DVD-ROM e così via).

Può essere applicato nella formazione a distanza all’interno di uno specifico progetto educativo o nel contesto di un apprendimento autodidatta.

Per ovvi motivi, si tratta di un approccio particolarmente efficace per insegnare l’uso di applicazioni software; quasi tutte le applicazioni moderne sono dotate di un tutorial in linea che si può considerare un esempio di software per il CBT. Sono tuttavia diffusi anche programmi per lo studio delle lingue o di altre materia non informatiche.

Il CBT in senso stretto può coesistere ed essere integrato con altre forme di insegnamento che impiegano il computer in altri modi, per esempio la formazione a distanza con l’e-learning o il sistema misto (frontale e informatizzato “blended learning”).

Ma è solo nel 1999 che nascono i primi sistemi LMS (Learning Managamente System – Sistemi di Gestione dell’Insegnamento).

Questi nuovi sistemi aprono nuove pos sibilità e la discussione degli esperti e dei tecnici di e-learning si sposta su un modello di sviluppo nuovo che tenta di uniformare il sistema di apprendimento online. Questa nuova ricerca porterà alla nascita del modello che ad oggi chiamiamo SCORM.

Ma come funziona?

Il sistema SCORM ha come scopo principale la standardizzazione (ma solo a livello tecnico) del percorso formativo e quindi della sua fruizione. Infatti esso non è altro che un file che è in grado, attraverso l’utilizzo di una piattaforma SCORM compatibile, come ad esempio 81fad.com, di essere esportato, importato e utilizzato in qualsiasi altra piattaforma di e-learning che sia ovviamente compatibile anch’essa con lo standard SCORM.

Le principali caratteristiche dello standard SCORM sono:

  • Essere catalogabile attraverso dei metadati (campi descrittivi predefiniti) in modo da poter essere indicizzato e ricercato all’interno dell’LMS. I campi descrittivi richiesti sono molti, non tutti obbligatori. Viene ad esempio richiesto l’autore, la versione, la data dell’ultima modifica fino ad arrivare ai vari livelli di aggregazione tra i vari oggetti. Il tutto viene archiviato nella sezione in un file chiamato xml.
  • Poter dialogare con l’LMS in cui è incluso, passandogli dei dati utili al tracciamento dell’attività del discente, ad esempio il tempo passato all’interno di una certa lezione, i risultati conseguiti in un test e i vincoli previsti per passare all’oggetto successivo. Il dialogo avviene attraverso dei dati che passano dal LO all’LMS e dall’LMS al LO. Il linguaggio con cui si comunica è il JavaScript che viene interpretato da una API (Application programming interface) che funge da ponte tra i dati che i due elementi (LMS e LO) si trasmettono.
  • Essere riusabile: l’oggetto deve essere trasportabile su qualsiasi piattaforma compatibile senza perdere di funzionalità. Questo principio è alla base dello standard in quanto, rispettando le direttive di costruzione, l’oggetto e la piattaforma non devono essere modificati per attivare le funzionalità di tracciamento e catalogazione.

Un materiale didattico SCORM è un file con estensione zip, oppure pif, che contiene all’interno diverse sezioni relative alla struttura, alla descrizione con metadati ed al suo funzionamento all’interno di un LMS.

L’attuale legge è molto rigida a rigurado di questo standard. Per essere legalmente valido lo svolgiomento di un corso dev’essere necessariamente eseguito attraverso un corso creato con lo standard SCORM che permetta quindi una tracciabilità completa del percorso eseguito dal discente.

Quindi solo una piattaforma SCORM abilitata come 81fad.com è in grado di fornire tutti gli strumenti necessari affinché la formazione rispetti le prerogative previste dall’Accordo Stato-Regioni del 7 Luglio 2017 dando quindi la certezza non solo di rispettare la norma di legge ma anche un percorso formativo corretto ed efficace.

 

Per. Comm. Alberto Faggionato, Responsabile Informatico della Fondazione Asso.Safe

È stata costituita Confidal un nuovo soggetto a garanzia del mondo del lavoro | Consulente RSPP Bergamo

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È stata costituita Confidal un nuovo soggetto a garanzia del mondo del lavoro

Consulente RSPP Bergamo

Sviluppo, crescita, sostegno alle imprese, informazione, sono solo alcune tra le priorità condivise da ADLI, ASSIDAL E UNAPRI, che hanno portato alla nascita della Confederazione Italiana Datoriale Attività Lavorative, in sigla CONFIDAL.

È vero che è dal bisogno che nascono i progetti, ma è anche vero che, avere la consapevolezza che l’arma vincente sia la sinergia, quando c’è il perseguimento di finalità comuni, che nascono le alleanze.

Ed è proprio dalla comunione di intenti tra queste tre realtà che, il 13 settembre scorso, con Atto Costitutivo, registrato presso l’Agenzia delle Entrate a Pescara il 19 settembre, ha preso vita CONFIDAL.

La premessa assunta dalle parti che hanno sottoscritto l’intesa, è che, avere una visione integrata tra mondo del Lavoro, mondo dell’Educazione, mondo del Sociale, e non ultimo, mondo delle Norme, sia fondamentale per la crescita e lo sviluppo di una cultura della sicurezza.

La domanda di partenza è se esista un progetto integrato che tenga conto di questi elementi, quali parti fondanti di un patto o di un’alleanza.

Certo che esiste ed è frutto della prima evidenza emersa dalle riflessioni delle tre associazioni: in Italia la “tutela” non esiste. Esistono, invece, le TUTELE, come realtà molteplici e diversificate, in contesti, a loro volta caratterizzati da ricchezze, complessità e differenze, derivanti dai diversi servizi offerti dalle associazioni che cooperano attivamente. Siamo da sempre convinti che far rete sia l’unico diktat, l’unica modalità affinché i progetti trovino una fattiva realizzazione, al di là di un forte impegno personale e associativo.

E se nel nostro paese si sta sempre di più diffondendo la cattiva abitudine  del binge drinking (bere fuori pasto), allo stesso modo si dovrebbero diffondere reti, fatte di persone, associazioni, realtà che, pur mantenendo una vita propria, possano unirsi per dare al mondo del lavoro (in questo caso ai datori di lavoro), input, informazioni, progetti, risorse e tutto quanto possa “essere a tutela del datore di lavoro”.

CONFIDAL si pone quindi come obiettivo la condivisione delle esperienze e conoscenze, siano esse di tipo tecnico, scientifiche o organizzative personali, non solo per una sistematizzazione e valorizzazione delle esperienze di successo, ma affinché si possano garantire la stipula e la manutenzione dei “patti educativi all’interno delle aziende”.

Essere in grado di mappare bisogni, valutare gli interventi più efficaci da adottare all’interno delle aziende, tenendo conto delle esigenze dei singoli e sulla base dell’andamento di mercato, sono solo alcune tra le capacità dei professionisti che fanno parte della confederazione.

È solo tenendo conto di tutti questi fattori che si è capaci di individuare, raccogliere dando vita alle buone prassi da realizzare all’interno delle aziende.

Dal lavoro di progettazione, a quello della formazione, emerge una forte necessità di rilancio della riflessione, sull’aspetto della “informazione per far prevenzione” affinché si ragioni “a monte” e non solo “a valle”.

L’intervento della norma della sicurezza sul lavoro è visto, in molti casi, come una “toppa” sul buco creato dalle stesse istituzioni, come una “corsa al recupero degli ultimi”. Il risultato, in questo modo, è l’assenza di azioni “pensate per i penultimi” e la impossibilità di insegnare a ragionare sugli strumenti e le modalità di prevenzione, quale elemento strategico che abitua e consente alle aziende di tenere in sé, molti di coloro che, altrimenti sarebbero “persi”.

Confidal rappresenta una prima occasione di confronto per riflettere e provare ad immaginare una governance partecipata ed adeguatamente articolata. È necessario iniziare a ragionare su un doppio livello: da un lato una struttura – confederazione, di coordinamento centrale, dall’altro il coinvolgimento delle autonomie associative, che ne fanno parte.

Le azioni, quelle più efficaci, sono frutto di una partecipazione progettata e condivisa fra le associazioni costituendi la confederazione e i soci che ne fanno parte.

Il lavoro di prevenzione, di informazione, di diffusione di una cultura alla sicurezza rappresenta un campo tutto da coltivare e al quale occorre dedicare energie.

Si tratta di cogliere la sfida a monte degli infortuni, rendendo visibile che attraverso la riscrittura di buone prassi per ogni azienda (e non un mendace copia incolla), i datori di lavoro sono in grado di trovare soluzioni di prevenzione e protezione anche per quei rischi che, apparentemente, sono senza soluzione di continuità. Queste esperienze di coloro che fanno parte della confederazione sono esempi di “relazione protocollatatra i professionisti (formatori, tecnici, consulenti, ecc) e le aziende.

Cos’è una “relazione protocollata?” Un rapporto, ad esempio, di collaborazione fra un consulente -formatore e un’azienda, che consente di ricostruire e riscrivere un progetto formativo, basato su dei dati oggettivi (assenze per malattie, turn over, alta incidenza di infortuni, assenteismo, ecc), capace di guardare alle persone, e alle loro specificità.

Confidal è tutto questo.

 

Carlo Parlangeli, Presidente di A.D.L.I.