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Effetti del demansionamento del dipendente | Corsi sicurezza Dalmine

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Effetti del demansionamento del dipendente

Corsi sicurezza Dalmine

I Giudici di legittimità, Sezione Lavoro, si sono pronunciati, con sentenza 20123/2017, in merito alla vicenda di due lavoratori licenziati illegittimamente.

I due, impugnando il predetto provvedimento, avevano ottenuto il diritto al reintegro nel posto di lavoro, al quale il datore aveva tuttavia dato seguito con largo ritardo. Inoltre il datore, adducendo una importante riorganizzazione aziendale, avvenuta successivamente all’impugnato licenziamento, aveva assegnato i lavoratori a mansioni inferiori a quelle svolte dagli stessi in precedenza, in quanto le stesse non risultavano più disponibili al momento del reintegro dei dipendenti.

Tale condotta appare sicuramente censurabile ed illegittima, ed origina in capo al lavoratore demansionato il diritto al risarcimento del danno.

Il datore difatti, per sottrarsi all’obbligo risarcitorio nei confronti dei dipendenti, avrebbe dovuto dimostrare non solo che il riassetto organizzativo abbia di fatto eliminato alcune mansioni, bensì che tali mansioni siano state eliminate per cause a lui non imputabile. Ma soprattutto, il datore deve provare la impossibilità di assegnare il lavoratore a mansioni alternative ed equivalenti a quelle svolte in precedenza; a mente dell’art. 2103 c.c., infatti, “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”. Il dipendente dunque non può essere ragionevolmente chiamato a sopportare le conseguenze delle sorti aziendali, laddove risultino per lui pregiudizievoli.

Sulla scorta delle citate considerazioni, pertanto, in difetto di mancato assolvimento dell’onere della prova -da parte del datore- nei termini suddetti, allo stesso incombe l’onere del risarcimento del danno patito dal lavoratore per l’avvenuto demansionamento.

Danno da amianto e responsabilità del datore di lavoro | Corso Primo Soccorso Bergamo

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Danno da amianto e responsabilità del datore di lavoro

Corso Primo Soccorso Bergamo

Il Giudice di Legittimità, Sezione Lavoro, si è espresso, a mezzo della sentenza 19270/2017, in materia di danno da amianto patito dal lavoratore.

La pronuncia merita un approfondimento, anche in considerazione del fatto che usualmente è il Giudice Penale che viene investito della questione, derivando sovente dalla esposizione a materie tossiche e nocive una lesione fisica al lavoratore, o, nei casi più gravi, la morte.

Nei giudizi civili fulcro della valutazione è il nesso eziologico tra l’ambiente lavorativo e la malattia o morte del lavoratore. In particolare, rispetto all’ambito penale, il nesso causale che deve essere accertato appare meno rigoroso, essendo richiesto, al fine dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dall’interessato o dai di lui eredi, un qualificato grado di probabilità che il morbo ovvero il decesso siano da imputare all’attività lavorativa svolta in ambiente insalubre (ex multis, Cass. Sez. Lav., 18246/2009).

La sentenza in commento, conformandosi ai principi di diritto dominanti sul punto, evidenzia che l’accertamento dell’esposizione -da parte del lavoratore- ad un ambiente in cui sono presenti polveri di amianto, è sufficiente a fondare una pronuncia di condanna nei confronti del datore, con relativo accoglimento della domanda di risarcimento danno ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma che come noto impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie alla salvaguardia dell’integrità fisica del lavoratore.

Nel caso in esame è stato appurato che il lavoratore, deceduto per carcinoma polmonare, soffriva di precedente patologia polmonare ed era fumatore, cause sicuramente idonee a cagionare l’insorgenza del cancro; ancora, a mezzo CTU è stato accertato che l’esposizione ad amianto non poteva essere la causa esclusiva del carcinoma. Tuttavia, secondo la S.C., il solo aumento della probabilità di contrarre la malattia per esposizione a sostanze nocive è già di per sé solo meritevole di tutela, quale causa altamente probabile del morbo. Secondo tale esegesi, non possono che conseguirne la prova sufficiente del nesso causale tra attività lavorativa e malattia, la responsabilità del datore per non avere impedito il fatto -essendo la pericolosità dell’amianto nota da decenni- nonchè il diritto degli eredi al risarcimento del danno.

Cancellazione di società di capitali e debiti sociali | Responsabile sicurezza Bergamo

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Cancellazione di società di capitali e debiti sociali

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La giurisprudenza di legittimità è tornata recentemente a pronunciarsi, con diverse sentenze, in merito alla cancellazione delle società di capitali, con particolare riguardo alla sorte dei debiti sociali pendenti.

A mente dell’art. 2495 c.c., difatti, dopo la cancellazione della società di capitali “i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. Secondo il dettato normativo pertanto, solo nella eventualità che i soci abbiano riscosso un qualunque importo a seguito dello scioglimento, possono essere chiamati a rispondere nei limiti di detta cifra.

La giurisprudenza maggioritaria da tempo si è mostrata in linea con l’esplicita intenzione del legislatore (ex multis Cass., 2444/2017).

Una voce fuori dal coro invero è rappresentata dalla sentenza 9094/2017, sempre emanata della Suprema Corte, secondo la quale i soci succedono alla società nei debiti pregressi, indipendentemente dalla riscossione o meno del riparto in sede di bilancio finale, con conseguente interesse ad agire del creditore insoddisfatto, per vedere riconosciuto il proprio diritto e dimostrare l’esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione.

Tale esegesi sembra tuttavia destinata a rimanere una interpretazione piuttosto isolata sul punto; difatti la Corte di Cassazione è tornata nuovamente in argomento, precisando che solo e soltanto laddove il creditore (ex art. 2697 c.c.) dimostri che vi sia stato un attivo da liquidare, ripartito tra i soci, egli possa rivalersi sui predetti, che assurgono quindi a legittimati passivi in sede di contenzioso.