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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano. | DVR Bergamo

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Patologie cardiache e respiratorie. Chi sono i lavoratori più esposti e come si manifestano.

DVR Bergamo

Il polmone rappresenta l’organo più esposto ai tossici professionali costituendo inoltre la principale via di assorbimento di molte sostanze aerodisperse in ambito lavorativo.

Per capire la ragione dell’importanza dell’apparato respiratorio in ambito lavorativo basti pensare che i nostri polmoni sono costituiti da oltre 120.000 alveoli (piccole “sacchette” dove l’aria e le sostanze tossiche entrano in contatto con i capillari) che hanno una superficie interna complessiva di circa 70 mq, paragonabile a quella di un appartamento di medie dimensioni.

Questa enorme superficie di scambi fa sì che ogni tossico inalato possa essere assorbito nel sangue del lavoratore.

Ogni individuo inoltre effettua circa 17.000 atti respiratori al giorno (se è a riposo) e per tanto il volume d’aria scambiato con l’ambiente esterno giornalmente è di 8.000–20.000 litri.

Alla luce di quanto detto è evidente che ogni agente tossico presente in ambiente lavorato può determinare effetti a carico dell’apparato respiratorio e da questo andare ad interessare anche altri organi per effetto dell’assorbimento attraverso il sangue.

L’esposizione lavorativa può essere causa di una vasta gamma di malattie professionali tra le quali bronchite acuta e cronica da polveri, gas e fumi tossici, fibrosi polmonari da carbone, silice ed amianto, asma professionale (ad esempio da isocianati o polveri di cereali), malattie da iper sensibilità (polmone del contadino da inalazione di spore fungine presenti nel fieno), infezioni (ad esempio la tubercolosi) ed infine i tristemente noti tumori professionali del polmone o delle pleure (mesotelioma pleurico).

In particolare quest’ultimo assume grande rilevanza in quanto trattasi di neoplasia altamente maligna e gravata da una elevata mortalità e la cui incidenza nella popolazione generale è in aumento nonostante il bando nazionale dell’amianto (fuori produzione dal 1992) per via della lunga latenza di insorgenza (il tumore può insorgere anche a 40 anni dall’esposizione).

Tra le altre malattie merita attenzione la bronchite cronica (e l’enfisema) che può manifestarsi nei saldatori che lavorano in assenza di dispositivi di protezione (aspiratori) per effetto dell’inalazione di ossidi di metallo, la bronchite degli esposti a polveri di cemento che può evidenziarsi tra i lavoratori dei cementifici e nel comparto dell’edilizia e l’asma professionale.

Quest’ultima rappresenta una patologia emergente e spesso non diagnosticata in quanto il medico di famiglia e lo pneumologo solitamente non indagano la storia lavorativa dei soggetti visitati.

Dal momento che le malattie polmonari da lavoro possono essere anche molto gravi ed a volte letali è necessario agire in via preventiva, mantenendo salubre l’aria dell’ambiente di lavoro ed utilizzando gli appositi dispositivi di protezione individuale (mascherine/facciali filtranti adeguati alla dimensione delle particelle presenti).

È inoltre fondamentale effettuare una diagnosi precoce di eventuali malattie appena insorte per poter allontanare il lavoratore dall’esposizione nociva; a tal fine il medico competente dell’azienda effettua una visita medica mirata all’apparato respiratorio e integra l’indagine mediante la spirometria.

L’esame spirometrico si esegue con l’ausilio di uno strumento chiamato spirometro.

L’indagine è semplice, per nulla invasiva o fastidiosa ma richiede una completa collaborazione da parte del lavoratore che deve eseguire delle manovre respiratorie mentre è collegato con la bocca allo spirometro. Essa misura la funzione dei polmoni e dei bronchi in maniera semplice ed accurata.

L’indagine clinica in casi specifici può essere integrata da una radiografia del torace o (più modernamente) da una TC del torace ad alta risoluzione. Quest’ultimo esame, comportando una dose di radiazioni più elevata può essere prescritto dal medico solo in casi particolari.

Il lavoratore deve segnalare al medico competente ogni eventuale sintomo (tosse, difficoltà respiratoria, affanno) insorto in ambiente lavorativo affinché questi possa indagarne il motivo.

Ovviamente è tassativo che particolarmente coloro che lavorano esposti a tossici respiratori si astengano dal fumo di sigaretta.

Per quanto riguarda il cuore e l’apparato cardiovascolare, questo può essere il bersaglio di agenti professionali (solventi, metalli) in grado di determinare aritmie, ischemia miocardica e scompenso cardiaco. Tali effetti alle attuali esposizioni lavorative sono però divenuti fortunatamente rari.

Più comunemente può avvenire che una condizione di salute personale (ad esempio un infarto) pongano problemi di idoneità allo svolgimento di una determinata mansione che comporta ad esempio sforzi gravosi (edilizia o magazzinaggio).

In tali casi il medico competente richiederà una serie di esami (elettrocardiogramma, prova da sforzo ecocardiogramma) che sono utili a capire quale è il livello di sforzo che il lavoratore può compiere senza rischio.

Anche e soprattutto in ambito cardiovascolare è molto importante prestare attenzione alla riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare mediante riduzione dei livelli di colesterolo, controllo della pressione arteriosa, pratica di regolare attività fisica, abolizione del fumo di sigaretta.

Dott. Luca Coppeta, Professore Ordinario all’Università degli Studi di Tor Vergata

La vendemmia, come in questi anni sono cambiate le attività di raccolta dell’uva – RSPP Bergamo

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La vendemmia, come in questi anni sono cambiate le attività di raccolta dell’uva

RSPP Bergamo

L’afa dell’estate ha ceduto il passato all’aria mite di settembre, le foglie degli alberi ci raccontano che non è più tempo di festa, e le giornate, sempre più corte, ci ricordano che l’autunno è ormai alle porte.

Gli odori di questo mese però, non fanno altro che ricordarmi che questo per me, da piccola, era un periodo di festa.

C’era la vendemmia! E la vendemmia ai tempi di mio nonno, metteva tutti in fermento.

Organizzare gli uomini e le donne per la raccolta, il rimorchio dietro il vecchio trattore per trasportare l’uva, il lavaggio dei tini. Io, invece, mi preoccupavo di quali indumenti e di quali scarpe avrei dovuto indossare e mi accertavo che ci fossero un paio di forbici anche per me. La sveglia era all’alba e alle quattro del mattino era ancora buio.

Le gocce di brina sulle viti brillavano, e gli acini dei grandi grappoli d’uva, mi sembravano preziosi gioielli.

Percorrevo la “carrara” (dialetto salentino), un corridoio di terreno che divideva in due i campi in cui c’erano i filari, con mio fratello e i miei cugini, seguendo le voci delle donne, che già a quell’ora ridevano e scherzavano, raccontando aneddoti divertenti e barzellette. Con un secchio bianco in mano e le forbici, fiera, sceglievo un filare. Io e mio cugino dividevamo il filare.

Dovevo fare attenzione con le forbici e stare attenta a non tagliarmi, altrimenti non avrei più potuto vendemmiare.

Gli uomini, invece, avevano già disposto i tini neri nei filari, in modo che i secchi d’uva potessero essere svuotati e successivamente riempiti.

Sento ancora addosso la brina delle viti che mi bagna, l’odore e, al tempo stesso, il peso dei grappoli. E che dolore alla mano a forza di tagliare, la schiena e le gambe, a mezzogiorno, mi facevano male! Oltre al vociare delle donne, sentivo il rumore delle forbici, che prepotente si univa all’unisono a ricordarci che la fine del filare era ancora lontano.

Gli uomini, invece, avevano il compito di portare fuori i tini e svuotarli nel grande carrello posto dietro al trattore. I tini venivano sollevati da due uomini e posti sulla spalla di uno dei due (tra collo e braccio).

Questi avevano il compito di trasportare il “cofano” (così veniva chiamato in dialetto il tino pieno d’uva). I più piccoli si divertivano a pressare l’uva all’interno del tino, affinché il carico potesse diventare più pesante.

Quanto mi faceva ridere vederli imprecare perché il tino era pesantissimo.

 Ogni tino poteva contenere dai 50 ai 60 kg d’uva.

Ricordo che per evitare che il tino poggiasse direttamente sulla spalla, avevano una protezione, di materiale soffice avvolta in un pezzo di sacco di juta, cucito al centro, ai cui lati era stato fissato uno spago (si metteva sotto il braccio opposto a quello sul quale si sarebbe posto il carico). Aveva la forma di una mezza luna.

Mio nonno coordinava le operazioni di carico e scarico, accertandosi che durante lo svuotamento dei tini nel grande carro, l’uva non cadesse per terra. Mia nonna, invece, coordinava le donne nel lavoro di raccolta.

Di tanto in tanto mi capitava di vederla andare, col secchio in mano, qua e là tra i filari: raccoglieva l’uva migliore che sarebbe stata posta per ultima sopra il rimorchio, prima del trasporto in cantina. In questo modo la gradazione dell’uva sarebbe stata più alta e di conseguenza anche la retribuzione.

Era molto scaltra e si muoveva velocemente: non ho mai capito come facesse a terminare prima delle altre donne il suo filare, che non si dovevano accorgere di questo stratagemma che aveva ideato. Credo che neanche mio nonno ne fosse al corrente.

Mio nonno, prima di congedare le raccoglitrici, controllava tra i filari, e, se vedeva degli acini d’uva caduti e lasciati per terra, erano davvero guai. Urlava che erano grandi come fichi fioroni (culumbi, diceva lui), si metteva a raccoglierli e noi bambini, dovevamo, appresso a lui, fare la stessa cosa.

Alle undici e mezza arrivava l’attesa “pagnotta” con mortadella e provola: che bello era mangiarla con le mani ancora sporche d’uva, seduti al fresco sotto un albero. Era il nostro compenso!

Questi tesori di inestimabile valore, e per me sono ricordi preziosissimi, ma solo oggi, pesandoci, mi rendo conto a quanti rischi ci si esponeva, incoscientemente. È vero, parliamo di trent’anni fa, e di certo, allora, la priorità era il raccolto e non la messa in sicurezza delle persone.

Con la mente ritorno a quei giorni e vedo persone come muletti, donne chine sotto le viti a tagliare, con la schiena arcuata, il fresco e l’umido del mattino, che penetra nelle ossa, il caldo di metà giornata che toglie il respiro, il trasporto su strada del raccolto su un mezzo forse non troppo a norma.

Le modalità di raccolta dell’uva, a distanza di molti anni, sono ancora prevalentemente di tipo manuale, e, se anche sono cambiate alcune condizioni lavorative, di fatto l’esposizione ai rischi degli operatori, è pressoché invariata.

Se un tempo le attività agricole non rientravano all’interno di categorie o classi lavorative considerate a rischio, o all’interno di una determinazione tale da rendere la subordinazione tra titolare e dipendente (ricordiamo che le aziende agricole a conduzione familiare non rientravano, fino a pochissimo tempo fa, nella definizione di azienda data dal Testo Unico) una condizione lavorativa (quindi l’espletamento di una mansione), da mettere in sicurezza, oggi diventa di prioritaria importanza considerare gli agricoltori alla stregua di qualsiasi altro lavoratore. Questo vale anche per il personale cosiddetto “avventizio”.

All’interno di detta categoria rientrano anche i lavoratori, definiti stagionali, perché svolgono la stessa attività, presso la stessa azienda, per un numero di giornate non superiori a cinquanta nell’arco dell’anno.

Unica condizione è che le lavorazioni in cui vengono impiegati, siano semplici e generiche e non richiedano requisiti professionali specifici.

Con la pubblicazione del Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 riguardante la “Semplificazione in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo” vengono definiti due punti importanti:

  • La formazione del personale
  • La Sorveglianza Sanitaria e la visita preventiva

A seguito dell’art. 3 del D.M. 23 marzo 2013, per la formazione del personale stagionale, si propone una metodologia specifica per ottemperare a tale obbligo, affinché il processo di apprendimento possa essere non solo potenziato, ma anche mirato alla specifica mansione e possa, contestualmente, essere facilmente gestito dall’azienda agricola.

Tale metodologia prevede una formazione ed un addestramento da effettuarsi prima dell’inizio dell’attività lavorativa.

L’applicazione di questa metodica, definisce e sottolinea tre elementi chiave che, a mio avviso, dovrebbero essere adottati per tutte le realtà lavorative:

Effettuare la formazione specifica calibrandola sulla singola realtà aziendale. La formazione e la sicurezza, quali elementi integrati alla cultura del lavoro, prevedono l’attivazione di un processo di apprendimento che dovrebbe avvenire, non solo mediante la fruizione di lezioni in aula, ma dovrebbe essere necessariamente contestualizzato alle attività di lavoro.

Pertanto le informazioni devono essere utili al lavoratore nello scenario operativo e non essere dei meri riferimenti normativi generali ed aspecifici.

Per quanto concerne la Sorveglianza Sanitaria e la Visita Preventiva, è lo stesso Decreto Interministeriale a definire l’obbligo di Visita se, dalla valutazione dei rischi emerge che, il lavoratore stagionale, durante l’espletamento della mansione è esposto a dei rischi specifici. Tenendo conto dei rischi cui è esposto il lavoratore addetto alla vendemmia manuale (movimentazione manuale dei carichi, tagli agli arti superiori, movimenti ripetitivi, esposizione e clima severo caldo, scivolamenti e/o cadute a livello, cadute dall’alto, investimenti, rischio biologico) è necessario che il datore di lavoro li sottoponga alla visita preventiva.

Con questo non intendo dire che il datore di lavoro debba scegliere addetti alti, belli, forti e con un sorriso smagliante, ma uomini e donne che possano svolgere un lavoro che, seppur nella sua semplicità, possa ridurre al minimo i rischi cui, gioco forza, sono esposti.

Se da un lato le aziende agricole fanno fatica a “digerire l’obbligo normativo”, dall’altro ci troviamo con costi di raccolta altissimi e mancanza di personale avventizio da poter impiegare nelle operazioni di raccolta.

Per queste ragioni, pur prediligendo, a tutt’oggi, una vendemmia di tipo manuale, si sta facendo strada, e a grandi passi, soprattutto nelle grandi realtà viticole, la vendemmia meccanizzata.

Le vendemmiatrici, ce ne sono di diversi tipi sul mercato a seconda del tipo di coltura e terreno su cui verranno utilizzate, risolvono il problema dell’organizzazione e della gestione del personale, limitando le problematiche connesse alla sicurezza sul lavoro, ai rapporti fra gli operai e quelle relative alla manodopera. Inoltre sono in grado di velocizzare le operazioni di raccolta.

Di tipo semovente o trainato e lavorando avanzando nell’interfilare, oppure a cavallo del filare (scavallatrici), in base alle forme di allevamento, operano uno scuotimento della parete produttiva del vigneto, potendo così, in un’unica operazione, provvedere al distacco degli acini, alla separazione delle foglie e al caricamento del prodotto in un apposito serbatoio.

L’addetto all’uso della vendemmiatrice è comunque esposto a rischi specifici, quali ad esempio: rischio biologico, rischio meccanico connesso alle fasi di scarico, carico e regolazione della macchina, rischi connessi all’utilizzo della trattrice agricola.

Quindi, anche per gli “autisti” addetti alla conduzione della vendemmiatrice, il titolare dell’azienda agricola, deve provvedere alla messa in sicurezza dell’operatore ed alla verifica dell’idoneità psicofisica per la conduzione del mezzo. Se da un lato, quindi, cerchiamo, attraverso la meccanizzazione e la tecnologia di dare la giusta innovazione, dall’altro, rimaniamo ancorati a sistemi di lavoro fin troppo tradizionali, e a gap culturali, che, a volte non ci consentono di comprendere che, avere una persona sana e formata, significa investire su una risorsa che permette di risparmiare tempo e di conseguenza portano ad avere una diminuzione dei costi.

La saggezza e la sapienza dei contadini di un tempo, sono passati, oggi, nelle mani di viticoltori specializzati che, oltre alla custodia delle tradizioni non possono dimenticare che, nella pratica agricola, la custodia dell’uomo è di fondamentale importanza.

Che sia manuale o meccanica, la vendemmia rimane il momento dell’anno che ha sapore di antico, di mani che raccolgono, di piedi che pestano, di odori e colori che seducono, di risate di bimbi che, festosi, corrono su e giù per i filari. Questo è il vero patrimonio dell’umanità.

Dott.ssa Giuseppina Filieri, A.D. della Fondazione Asso.Safe

CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C) – Corso Primo Soccorso

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CORSO ADDETTO PRIMO SOCCORSO (aziende gruppo B e C)

Corso Primo Soccorso

L’Addetto al primo soccorso è il lavoratore incaricato dell’attuazione in azienda dei provvedimenti previsti in materia di primo soccorso ai sensi dell’art. 18 e 45 del D. Lgs. 81/08.

Il corso ha l’obiettivo di formare e informare gli addetti al pronto soccorso aziendale trasferendo ai partecipanti le opportune conoscenze di natura tecnica nonché le necessarie abilità di natura pratica.

Tutta la formazione è svolta da personale medico.

 

Il corso di Primo Soccorso si articola in tre moduli A, B e C:

Modulo A

  • Allertare il sistema di soccorso
  • Riconoscere un’emergenza sanitaria
  • Attuare gli interventi di primo soccorso
  • Conoscere i rischi specifici dell’attività svolta

Modulo B

  • Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro
  • Acquisire conoscenze generali su patologie specifiche in ambiente di lavoro

 Modulo C

  • Acquisire capacità di intervento pratico

 

Studio Samele è un Centro Convenzionato a Fondazione Asso.Safe in collaborazione con A.D.L.I. (Associazione Datori di Lavoro Italiani) e CONF.A.M.A.R. (Confederazione Autonoma dei Movimenti Associativi di Rappresentanza) nonché riconosciuto come Sede Territoriale A.D.L.I.

Tutta la formazione erogata è certificata ed approvata da:

O.N.P.A.C. (Organo Nazionale Paritetico Adli Confamar)

O.P.N.E. (Organo Paritetico Nazionale Edilizia)

Al termine del corso verrà consegnato il Programma Formativo approvato dagli Organismi Paritetici competenti, il registro presenze, le dispense, i test finali di valutazione dell’apprendimento, gli attestati di Fondazione Asso.Safe.

Sede di svolgimento: Studio Samele S.r.l., via C. Colombo, 24 – 24044 – Dalmine (BG)

 

DATE 1° corso: lunedì 26 novembre ore 8:30/14:30 e lunedì 3 dicembre ore 8:30/14:30;

DATE 2° corso: lunedì 10 dicembre ore 8:30/14:30 e lunedì 17 dicembre ore 8:30/14:30.

 

COSTO: 150.00 euro (iva esclusa)